La violenza maschile sulle donne. Un convegno, "Le parole non bastano". Bisogna andare oltre.

Il 21 e il 22 novembre a Milano presso la Sala Conferenze di Palazzo Reale, donne e uomini si sono confrontati sui temi inerenti la violenza maschile sulle donne per interrogare la città, nelle sue soggettività di cittadini-cittadine e di rappresentanza istituzionale. Un percorso intrapreso affinché la questione della violenza contro le donne non si riduca esclusivamente a una gestione in carico alla “cittadella dei servizi", relegata in un ambito di cura, giocata esclusivamente in chiave tecnico specialistica. ()
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Consideriamo questo articolo non un resoconto ma una modalità per dare risonanza all’articolata e ricca narrazione che, a partire dalla pratica del sé, nata con il movimento femminista, si è raccontata durante le due giornate.

Casa delle Donne Maltrattate e Maschile Plurale hanno messo in gioco un dialogo intrecciato tra maschile e femminile, per tessere un simbolico che ha dato voce a una pratica della differenza nella relazione intima e pubblica.
L’audace sfida ad andare oltre le parole è affermare che la violenza maschile degli uomini contro le donne è sia questione strutturante il contratto sociale che riguarda il maschile, sia un fenomeno trasversale nelle culture patriarcali del mondo. Ma anche che, una relazione tra i generi, è possibile a partire da sé stessi-stesse.

Da alcuni anni la Casa delle Donne Maltrattate e L’Associazione Maschile Plurale si confrontano con uomini che, interrogandosi, hanno costruito un pensiero che segna una differenza sulla questione della violenza maschile sulle donne. Non tutti gli uomini basano le loro relazioni di coppia, amicali, di cittadinanza sul senso del possesso, della gelosia, della dipendenza o di potere.
In un ambiente strutturato per accogliere convegni impostati su una struttura di comunicazione verticale focalizzata a segnare la differenza tra chi disserta e chi ascolta, la tessitura narrativa basata sulla circolarità del dialogo tra relatori e relatrici non è stata semplice da giocare.
In un convegno dialogante che sfida le parole per costruire una cittadinanza, tenendo conto del passo e del respiro delle donne e del passo e del respiro degli uomini, le parole escono dall’usura del già detto e acquistano valenza soprattutto se stimolate da domande aperte alla curiosità dell’altro-altra.

È questa la struttura della giornata. Un Uomo e Una donna, attraverso domande reciproche fanno emergere, nel qui e ora, della pratica relazionale quello che, di quel dialogo, si fa questione per entrambi.
Con questa formula si sono giocati sia Sara Valmaggi (Vice-presidente Consiglio Regionale Lombardia) sia Pierfrancesco Majorino (Assessore alle Politiche sociali e Cultura della salute del Comune di Milano.

Nel loro interrogarsi hanno messo come punto comune la necessità di leggi e servizi ma facendo un salto di qualità. Un salto di qualità nell’ascoltare le istanze delle donne per quanto concerne la regione Lombardia che troppo tardivamente ha approvato una legge in tema di violenza sulle donne, un salto di qualità nei servizi che il Comune di Milano offre e nelle pratiche di comunicazione.
Se “il linguaggio da curva si fa sistema” occorre una responsabilità corale nella e della città a partire dal dire "No" a derive "securitarie" per attivare consapevolezza attraverso una attenta formazione civile e culturale dei cittadini.

È un lavoro di pazienza, sottolinea Alessio Miceli di Maschile plurale, un lavoro che ci getta all’aperto sotto il cielo della nuda vita per allargare i confini a partire da se stessi, per sospendere giudizi e stereotipi per uscire dalle gabbie culturali e dare agio alla felicità. Duro e paziente cammino per costruire legami d’amore per la comunità che avviene nel qui e ora delle relazioni.
E di questo cammino sono stati testimoni appassionati e coinvolgenti Beppe Pavan (Uomini in cammino), Adriana Sbrogiò e Marco Cazzaniga (Identità e differenza), Katia Ricci e Giuseppe Bernard (La Merlettaia).
È interessante soffermare l’ascolto su quelle interrogazioni che si sono chieste come dare cittadinanza alla differenza di genere e alla differenza dei generi e delle soggettività simboliche all’interno delle istituzioni.

Numerosi gli interventi ma alcuni in particolare aiutano a comprendere il percorso tracciato per andare oltre “la cittadella della cura”.

La prima voce è quella di Lucia Portis, antropologa, narrando del lavoro a quattro mani svolto con Massimo M. Greco e su quali sono le aspettative, fin dal primo impatto con i servizi anti violenza, delle donne che l'hanno subita; un percorso dove è stato messo in gioco la scrittura di testimonianza di vita. Sono nate 40 lettere che donano a chi opera nei servizi di cura l’inquietante interrogativo dell’omertà pubblica e non solo privata, di come e attraverso quali aree di inconsapevolezza si creano complicità non sospette, di come stereotipi tecnico specialistici ci impediscano di vedere ed ascoltare.

Altre voci, del magistrato Fabio Roia e di Fulvia Colombini (Segreteria Regionale Cgil Lombardia), evidenziano come le modalità e le prassi professionali possano costituire uno stereotipo che si sovrappone a quello di genere impedendo di fatto una relazione che sia scambio tra saperi ed esperienza. Occorre costruire reti di rappresentanza, di esperienze e professionalità non esclusivamente focalizzate sulle specializzazioni ma pronte a mettere come fattore comune la relazione tra soggetti a partire da un cambio di passo culturale.
Occorre ragionare su come costruiamo preconcetti attraverso linguaggi (es. giuridico, sindacale) e su come questi costruiscano la nostra realtà quotidiana. Come siano tracciati codici e modelli proiettati poi sulle relazioni quotidiane e professionali.

È una cittadinanza che si pone la questione della sua educazione civile e interrogandosi non solo sulla radice violenta, non solo sul rancore ma anche sull’amore: su come rendere possibile una saggezza dell’amore.
Andare oltre le parole significa anche non “parlare di” o “pensare di” ma “parlare con”, pensare con l’altro-altra.
Occorre respiro, passo, occorre allargare i confini soggettivi e di cittadinanza.
Una vera sfida.

Marina Mariani
Counselor Centro Problemi Donna



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