Discriminazione e violenza di genere nelle comunità Rom e nelle minoranze etniche: diritti violati e politiche nell'UE (II parte)


La seconda e conclusiva parte dello studio sul tema della discriminazione e violenza di genere per la DG EMPLOYMENT/DG JUSTICE della Commissione Europea realizzato dall'IRPS è concentrato sulla discriminazione di genere nell’ambito delle minoranze etniche e comunità Rom, con specifica attenzione alle politiche messe in atto dai paesi e a livello della UE per affrontarle.
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La doppia discriminazione a cui sono sottoposte le donne Rom
Le crescenti e allarmanti violazioni dei diritti umani commesse nei confronti delle donne Rom e appartenenti alle minoranze etniche, nonché le modalità con cui garantire il pieno godimento dei loro diritti, sono tematiche di spicco che negli ultimi anni vengono affrontate nell’ambito di studi e conferenze a livello europeo.

La comunità Rom in Europa è stata stimata in oltre 10 milioni di persone: è la più grande minoranza etnico/culturale d’Europa. Alcune istituzioni (come il Consiglio d'Europa, OSCE, ecc) riconoscono quattro/cinque gruppi principali, che possono essere ulteriormente suddivisi in diversi sottogruppi, distinti per specializzazione professionale, origine territoriale, cultura, religione, lingua, modello di insediamento, ecc.
Le differenze culturali e storiche tra le sotto-comunità hanno un forte impatto sullo status giuridico, sulle opportunità e sulla qualità della vita delle persone, e in modo particolarmente rilevante sul loro livello di integrazione nella comunità nazionale, anche se la maggior parte delle comunità subiscono le stesse discriminazioni in tutta Europa, nell’accesso all’occupazione, all'istruzione, alla sanità e alla casa.

Il rapporto tra etnia e genere è particolarmente complesso per le donne Rom sia all’interno della propria comunità sia nei rapporti con l’esterno. Dovendosi confrontare al di fuori della propria comunità di appartenenza con un ambiente estremamente ostile, arrivano ad accettare il ruolo che ad esse viene assegnato dalla propria cultura, percepita come minacciata. La discriminazione a cui sono sottoposte assume dunque una valenza ancora più accentuata e multifattoriale, derivante dalla contemporanea presenza di elementi legati all’etnia di appartenenza e alla discriminazione di genere.

Nonostante la mancanza di dati statistici, vi è ampio accordo tra gli esperti europei che hanno partecipato allo studio sull’ampiezza di tali fenomeni di discriminazione nelle varie comunità nazionali analizzate in diversi ambiti:
- accesso all’educazione. Il basso livello di istruzione delle donne Rom non è solo legato a una forma di discriminazione dall’esterno della comunità (che esiste ma influisce nella stessa misura su maschi e femmine) quanto soprattutto alle norme e tradizioni di molte comunità che impongono alle ragazze di lasciare la scuola molto presto (comunque entro i 12 anni) per assumere i ruoli tradizionali all’interno della comunità (matrimoni precoci, accudimento di familiari, ecc).
Le poche donne Rom che riescono a raggiungere un elevato livello di istruzione subiscono una duplice forma di discriminazione: da parte della maggioranza della popolazione e dal proprio gruppo per non aver rispettato le tradizioni della propria comunità;
- l’accesso al mercato del lavoro a sua volta, è penalizzato dal bassissimo livello di istruzione delle donne, dalle frequenti gravidanze e dal maschilismo di molte comunità che fa sì che le famiglie non consentano alle donne di accettare lavori alternativi a quelli da svolgere all’interno della comunità.
Un aspetto interessante da considerare riportato nei rapporti di Finlandia e Regno Unito riguarda il ruolo giocato dall’abbigliamento tradizionale delle donne Rom: tutti quei lavori che richiedono di indossare una divisa o un abbigliamento consono alla professione impongono alla donna Rom di alcune Comunità una scelta tra emancipazione e tradizione;

- relativamente all’accesso ai servizi sanitari i rapporti nazionali hanno evidenziato la diffusione dei pregiudizi tra il personale sanitario o parasanitario che porta in alcuni casi alla segregazione delle donne Rom in spazi a sé nell’ambito degli ospedali e dei reparti maternità: un esempio significativo viene dall’Ungheria dove persistono forti pregiudizi tra gli operatori della sanità rispetto ai costumi, alle tradizioni e al modello di fertilità delle donne Rom. L’Ungheria è infatti uno dei paesi in cui sono stati denunciati alla Corte di Strasburgo fenomeni di sterilizzazione forzata.

L’ambito nel quale la discriminazione nei confronti delle donne è più accentuato sembra tuttavia risiedere all’interno delle comunità Rom stesse, ed è legato al ruolo attribuito loro nella cultura e nella struttura familiare propria dei Rom. La donna innanzitutto ha un ruolo marginale all’interno della famiglia tradizionale, che nella maggior parte delle Comunità è completamente patriarcale: tradizionalmente l’uomo rappresenta la famiglia e si occupa dei ‘rapporti con l’esterno’, mentre il ruolo della donna è principalmente quello di prendersi cura della casa e della famiglia ed ha la responsabilità di trasmettere la cultura e le tradizioni Rom alle generazioni successive.

Le ragazze assumono i ruoli riservati alle donne adulte all’età di 11 anni: a questa età in molte comunità è previsto che si sposino e abbiano numerosi figli. In tale contesto è molto difficile che esse abbiano la possibilità di affacciarsi sul mercato del lavoro. È certamente vero che le relazioni tra uomini e donne differiscono tra i gruppi e le nazionalità: in alcune comunità infatti i giovani Rom stanno diventando sempre più liberi di scegliere le loro mogli, mentre in altre comunità (un esempio è quello dei gruppi provenienti dalla Romania che vivono in Belgio), sono ancora i genitori dei figli maschi a scegliere le loro future nuore: si tratta spesso di matrimoni ‘tradizionali’ che vengono contratti a seguito di un congruo risarcimento economico ai familiari delle ragazze.
Non avendo valore legale, questi matrimoni lasciano completamente prive di diritti e supporto le ragazze in caso di separazione, e, come evidenziato dallo studio, questo è particolarmente drammatico nel caso ci siano figli. Divorzi e separazioni sono molto rari nelle comunità Rom e in molte di esse le ragazze si trovano in una condizione di particolare svantaggio dato che il padre normalmente ottiene dalla comunità la custodia dei figli che vengono poi accuditi dalle nonne paterne. I figli possono anche restare con le madri, ma la decisione viene comunque presa dai padri. Questa sembra essere la principale ragione per la quale le donne evitano di lasciare i mariti anche in situazioni familiari molto difficili nelle quali le donne sono vittime di violenza domestica. In alcune realtà le donne Rom non sono neppure libere di uscire dall’accampamento (o dalla casa, nei paesi nei quali sono state attuate politiche di alloggi sociali che hanno coinvolto i gruppi Rom - un esempio è la Finlandia) senza la supervisione della suocera o comunque della donna, che ne ha la tutela (che è poi anche la garante della sua verginità).
Dal rapporto emerge una riflessione inquietante: una struttura così fortemente patriarcale porta in molti casi alla subordinazione della donna e all’accettazione sociale della violenza domestica quale naturale componente della dinamica familiare. Una situazione di particolare difficoltà è quella delle donne sole: vedove, separate e madri sole scappate da situazioni di violenza, che si trovano ad affrontare situazioni di grave deprivazione anche economica e che le espongono fortemente al rischio di essere sfruttate in attività criminali o più semplicemente nel mercato nero e clandestino.

La condizione delle donne immigrate dipendenti dal permesso di soggiorno del marito
L'inasprimento recente dei requisiti di ammissibilità per la residenza e per i permessi di lavoro ha penalizzato in modo particolare le donne immigrate extracomunitarie. La legislazione in materia di ricongiungimento familiare in particolare ha determinato un rafforzamento della dipendenza delle donne dagli uomini, donne che rimangono vincolate nell’ambito di matrimoni infelici e violenti, in quanto in caso di divorzio, la donna in molti paesi perde il diritto alla permanenza nel paese e deve fare ritorno nel paese d’origine con tutte le conseguenze del caso.
Anche la normativa relativa alla eleggibilità per le prestazioni sociali in molti paesi è collegata alla residenza permanente e alla cittadinanza. In molti paesi sono solo i servizi sanitari di emergenza ad essere disponibili per gli immigrati clandestini e con permesso temporaneo. Nella maggior parte dei casi la permanenza nel paese dipende dall’ottenimento di un permesso di lavoro e il soggiorno temporaneo viene rinnovato solo se la persona è in possesso di un contratto di lavoro. Si tratta di una norma che penalizza soprattutto le donne, che di solito operano in settori scarsamente retribuiti e non regolamentati (come il lavoro domestico) e nell'economia sommersa e che rischiano di perdere il diritto alla residenza temporanea a causa di difficoltà nel dimostrare una occupazione regolare continuativa. In alcuni casi sono previste eccezioni solamente per le donne immigrate clandestine durante la gravidanza (come in Italia) e per le donne vittime della tratta di esseri umani (in Spagna, Italia e Portogallo per esempio).

Le politiche di integrazione attraverso l'occupazione
La distanza dei Rom dal mercato del lavoro sembrerebbe essere troppo ampia perché le normali politiche occupazionali possano essere in grado di colmarle: in alcuni paesi europei vengono promossi programmi specifici orientati ad individuare e superare le barriere specifiche al lavoro che i Rom incontrano, sostenendo programmi di riduzione del numero degli ‘unemployables’ (i "non occupabili"): aumentare l'occupazione della popolazione Rom è evidentemente un obiettivo di lungo termine e può essere raggiunto solo attraverso un programma integrato di aumento del livello di istruzione e di contemporanea riduzione dell'attrattiva esercitata dall’accesso alle prestazioni sociali, con la promozione di politiche attive piuttosto che di politiche di sostegno passivo, individuando quelle più efficaci soprattutto se inter-connesse non solo con il sistema di assistenza sociale, ma anche con l'istruzione e le politiche abitative. In alcuni paesi il privato fa la sua parte promuovendo precorsi di inserimento lavorativo dei Rom nell’ambito di progetti di Responsabilità sociale di impresa; vengono inoltre promossi incentivi rivolti ai datori di lavoro che impiegano Rom e campagne informative per creare un ambiente di lavoro privo di discriminazioni sociali. Vengono anche sostenuti progetti di autoimprenditorialità tra i Rom, in particolare tra le donne ROM per aiutarle a integrare le loro competenze nel settore del lavoro formale: per quanto riguarda le donne molte sono le esperienze di valorizzazione della loro lingua madre e competenze culturali laddove le donne Rom vengono coinvolti come traduttrici o mediatrici nel settore sanitario o legale, o offrendo loro incentivi per la produzione di prodotti culturali, tra cui cibo, arti e mestieri, ecc.
Un esempio locale viene dalla Spagna dove è stato realizzato il Proyecto Clavel, un processo di regolarizzazione di una attività dell'economia sommersa, sviluppata nel sud della Spagna (Siviglia), nel quadro di un progetto EQUAL. Un’attività "tipica" per le donne Rom - vendere fiori come ambulanti - è stato selezionato per un piano di regolarizzazione, che ha previsto la realizzazione di attività di formazione e supporto tecnico e che ha avuto come esito l’inserimento nel mercato del lavoro formale, la regolarizzazione e l’aumento del reddito delle 20 donne partecipanti al progetto.

Le politiche di integrazione attraverso l'istruzione
Il tema dell’istruzione in Europa è in genere affrontato in termini di desegregazione attraverso programmi di inclusione scolastica volta ad accrescere il livello medio di istruzione dei bambini e dei giovani, evitando la creazione di classi separate, considerando la partecipazione alla vita scolastica normale un prerequisito per un effettivo inserimento sociale. Per sostenere l'accesso alla scuola e all’istruzione dei bambini Rom, molti paesi europei mettono a disposizione risorse per promuovere percorsi formativi rivolti al personale scolastico e per la promozione di progetti di istruzione informale. In diversi paesi esistono programmi rivolti al sostegno all’integrazione scolastica dei bambini, mentre molto meno diffusi sono i programmi scolastici ed educativi rivolti ai Rom adulti.
Secondo la letteratura si tratta dell’anello chiave, volto da un lato a rompere la riproduzione intergenerazionale delle disuguaglianze sociali dei Rom e dall’altro quale tassello fondamentale di una politica attiva dell'occupazione. Le iniziative educative dovrebbero quindi essere intrecciate con azioni di sostegno che coinvolgano sia la salute che il supporto psicologico alle madri e ai bambini. Questo è il caso per esempio di un'iniziativa integrata di sostegno sociale per i bambini Rom lanciato in Romania da una fondazione privata: la Fondazione Phillip gestisce una serie di programmi integrati (istruzione, assistenza medico-sociale, assistenza psicologica e programmi di doposcuola) per affrontare i complessi bisogni dei minori Rom e delle loro famiglie.
Il centro diurno offre il supporto ai bambini per aiutarli a migliorare il loro rendimento scolastico garantendo nel contempo l'assistenza socio-sanitaria. I bambini inoltre beneficiano di un pasto gratuito e questo fa si che molti genitori Rom siano incentivati a mandare i figli a scuola per poter garantire ai bambini almeno un pasto completo al giorno. Ai bambini inoltre vengono forniti tutti gli accessori e l’abbigliamento necessario per frequentare la scuola. Il personale mantiene contatti permanenti con le famiglie Rom, al fine di migliorare il rapporto bambino-genitore riuscendo nel contempo a espandere le attività del centro diurno all'interno della comunità locale.
I bambini assistiti dal progetto hanno compiuto progressi visibili in termini di frequenza scolastica, con un forte abbattimento dell’abbandono scolastico, mostrando inoltre anche un notevole miglioramento nel rendimento scolastico. I risultati evidenziano anche un miglior livello di integrazione sociale e di sviluppo di abilità sociali delle comunità in cui il progetto è stato implementato.

Le politiche di integrazione attraverso servizi sociali e sanitari
Uno studio comparativo ERRC / NUMENA (2007) pone l'accento su quattro possibili linee di intervento volte a sviluppare una maggiore "inclusione sanitaria" delle minoranze Rom:
a) la mediazione nell’accesso alle prestazioni sanitarie: si è visto in molte esperienze che attraverso il coinvolgimento attivo di donne mediatrici, soprattutto presso le strutture ospedaliere, è possibile aumentare la fiducia reciproca, per facilitare la comunicazione tra personale sanitario e pazienti Rom (in particolare delle donne dalle quali molti termini attinenti alla sfera del corpo sono considerate tabù);

b) la formazione dei medici: sono stati attivati in molti paesi programmi di formazione rivolti a medici ed infermieri orientati alla lotta contro la discriminazione e programmi di approfondimento delle specificità culturali delle comunità Rom;

c) iniziative preventive e di promozione di stili di vita sani da realizzare presso i campi rom: si tratta di iniziative che, favorendo il reciproco affidamento, possono agevolare l’accesso alle strutture sanitarie da parte di chi normalmente non vi accederebbe. Molte esperienze in tal senso sono state promosse negli ultimi anni anche in Italia col supporto delle Asl e delle ONG. A Roma ad esempio sono stati avviati interventi in numerosi campi Rom, creando direttamente sul posto centri per l’assistenza sanitaria di base e servizi di assistenza sociale con particolare attenzione ai bambini, con il supporto della ASL e della associazione Opera Nomadi, tramite mediatori culturali Rom addestrati per questo scopo. L'elemento innovativo è il grande coinvolgimento delle donne Rom quali principali interlocutrici tra le loro comunità e gli operatori sanitari e sociali. La formazione volta ad approfondire la conoscenza della cultura Rom e delle relative esigenze è stata una condizione preliminare per ottenere la fiducia e l'impegno dei Rom.

Chiara Crepaldi
Ricercatrice IRS (Istituto per la Ricerca Sociale di Milano)
ccrepaldi@irsonline.it

In press: Prospettive Sociali e Sanitarie: n.7/12 (luglio)
http://pss.irsonline.it



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