Discriminazione e violenza: diritti violati e politiche nell'UE (I parte)


Sul tema della discriminazione e violenza di genere per la DG EMPLOYMENT/DG JUSTICE della Commissione Europea, sono stati fatti significativi studi realizzati dall'IRPS. Riportiamo una sintesi relativa alla violenza sulle donne (prima parte) e alla discriminazione di genere nell’ambito delle minoranze etniche e comunità ROM (seconda parte) tutti con specifica attenzione alle politiche messe in atto dai paesi e a livello della UE per affrontarle.
()
Anti ViolenceButtons web
La violenza sulle donne
È la più diffusa e universale forma di violazione dei diritti umani e come tale è riconosciuta da numerose organizzazioni internazionali. La violenza contro le donne viene in prevalenza esercitata tra le mura domestiche, ma un’altra forma di violenza, quella legata alle pratiche culturali tradizionali dannose per le donne (come i crimini commessi in nome dell'onore, la mutilazione genitale femminile, i matrimoni forzati, e la violenza legata alla dote) sono generalmente perpetrate nell’ambito familiare o nel contesto più ampio della comunità di appartenenza.

La mutilazione genitale femminile (MGF), viene internazionalmente considerata una violazione diritti delle donne e delle ragazze e una violazione dei principi base della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, anche se solo di recente è stata inserita nel diritto penale in un numero crescente di paesi tra cui Austria, Belgio, Danimarca, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito. La MGF è una pratica comune in molte zone tribali dell'Africa e non è collegata di per sé alla fede islamica come è dimostrato dalla presa di posizione del Consiglio Supremo di Ricerca Islamica Al-Azhar del Cairo, nel novembre 2006 che ha definito le MGF quali pratiche dannose, senza alcun fondamento nella legge islamica e che pertanto non dovrebbero essere praticate.

Norme religiose e culturali sono spesso usate come pretesto per limitare il movimento delle donne, la loro interazione sociale e visibilità. Ogni forma di violenza contro le donne deriva da una struttura sociale basata sulla disuguaglianza tra i sessi, da volontà di dominio e controllo che porta ad una violazione di un diritto fondamentale quello del rispetto per la integrità della persona.

Anche se la violenza contro le donne non conosce barriere geografiche, culturali o etniche, diversi studi hanno dimostrato che determinati gruppi di donne sono particolarmente colpite: le donne immigrate ed appartenenti a minoranze etniche, donne richiedenti asilo, rifugiate, donne disabili, le donne che vivono in istituti, prostitute, le donne vittime della tratta, ecc. Questi gruppi, oltre ad avere maggiore probabilità di subire violenze hanno maggiore difficoltà ad uscire dalla situazione di violenza e ad accedere ai servizi di supporto.

Illustrazione: Antonella Eberlin, da Donne in Quota

La condizione delle donne immigrate dipendenti dal permesso di soggiorno del marito
L'inasprimento recente dei requisiti di ammissibilità per la residenza e per i permessi di lavoro ha penalizzato in modo particolare le donne immigrate extracomunitarie. La legislazione in materia di ricongiungimento familiare in particolare ha determinato un rafforzamento della dipendenza delle donne dagli uomini, donne che rimangono vincolate nell’ambito di matrimoni infelici e violenti, in quanto in caso di divorzio, la donna in molti paesi perde il diritto alla permanenza nel paese e deve fare ritorno nel paese d’origine con tutte le conseguenze del caso. Anche la normativa relativa alla eleggibilità per le prestazioni sociali in molti paesi è collegata alla residenza permanente e alla cittadinanza.

In molti paesi sono solo i servizi sanitari di emergenza a essere disponibili per gli immigrati clandestini e con permesso temporaneo.
Nella maggior parte dei casi la permanenza nel paese dipende dall’ottenimento di un permesso di lavoro e il soggiorno temporaneo viene rinnovato solo se la persona è in possesso di un contratto di lavoro.
Si tratta di una norma che penalizza soprattutto le donne, che di solito operano in settori scarsamente retribuiti e non regolamentati (come il lavoro domestico) e nell'economia sommersa e che rischiano di perdere il diritto alla residenza temporanea a causa di difficoltà nel dimostrare una occupazione regolare continuativa.
In alcuni casi sono previste eccezioni solamente per le donne immigrate clandestine durante la gravidanza (come in Italia) e per le donne vittime della tratta di esseri umani (in Spagna, Italia e Portogallo per esempio).

L’attuale approccio nelle politiche europee
Il riconoscimento internazionale di VAW come una violazione dei diritti umani è il risultato di anni di campagne dedicate realizzate dalle attiviste per i diritti delle donne. Mentre negli anni 80 e 90 la violenza contro le donne nella normativa era presente principalmente come forma di violazione dei diritti umani, a partire dagli anni 90 è stato introdotto anche il concetto di discriminazione delle donne e violenza di genere che affonda le radici nelle disuguaglianze socio-economiche di genere e pregiudizi culturali sui ruoli di genere.

Questa evoluzione è stata particolarmente significativa nell'influenzare l'approccio adottato da parte delle istituzioni internazionali e dai paesi europei che ha portato a passare da un focus più ‘legale’ e di penalizzazione a un approccio più globale che coinvolge la prevenzione e la promozione di campagne di sensibilizzazione e di azioni di sostegno alle vittime, della loro tutela e reinserimento sociale.

In questo senso si colloca la recentissima (2011) Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence, che fornisce un quadro normativo coerente ed integrato di prevenzione, protezione delle vittime che possa anche portare al superamento della diffusa 'impunità dei colpevoli.
Tutte le istituzioni europee si sono mosse in questa direzione: Parlamento, Commissione, Consiglio d’Europa. È stato anche istituito dalla Commissione l’European Institute for Gender Equality che sta focalizzando molto del suo lavoro sul tema della violenza sulle donne.

L’attuale approccio nelle politiche nazionali in Europa
I paesi nordici, soprattutto, ma anche alcuni di quelli occidentali, hanno una lunga tradizione normativa sul tema e hanno sviluppato servizi specializzati di supporto alle donne vittime di violenza, spesso finanziati dalle istituzioni pubbliche a livello nazionale e locale.
Questi paesi hanno dimostrato una attenzione crescente negli ultimi anni al tema delle forme di violenza legate alle pratiche culturali tradizionali e a quelle esercitate sui gruppi di donne più vulnerabili, quelle appartenenti a minoranze etniche e alle donne migranti, le donne disabili e le lesbiche.
Nei Paesi dell'Europa meridionale e orientale al contrario l'attenzione a questo problema è più recente, come recente è l'aumento della consapevolezza sociale della necessità di affrontare le forme di violenza che per lungo tempo sono state considerate normalità all'interno delle famiglie.  

Photo: Donna Ferrato, Living with the enemy

   In questi Paesi i movimenti femminili, le ONG e le organizzazioni internazionali, così come i programmi europei hanno avuto un ruolo molto importante nel richiamare l'attenzione dei politici e della popolazione sul tema.
Gli abusi sessuali e fisici della violenza domestica sono ora penalizzati in tutti i paesi europei, ma ci sono ancora delle lacune nella protezione delle donne in alcuni paesi, per esempio dove è necessaria la denuncia della vittima al fine di procedere, o dove l'atto violento potrebbe non essere punibile se perpetrato con il "consenso" della persona lesa o del suo genitore / tutore.
Oltre alle misure legislative, quasi tutti i paesi europei negli ultimi anni hanno adottato strategie politiche integrate spesso redigendo i piani d'azione nazionali (PAN) prendendo in considerazione tutte le forme di violenza contro le donne, o con piani d'azione separati per le diverse forme di violenza. In Italia non esiste un PAN, ma piani regionali di azione, la legge del 2003 sulla tratta, la legge sullo stalking del 2009.

Gli interventi implementati
Per quanto riguarda i tipi di interventi implementati, nei paesi europei vi è una crescente attenzione alle misure di prevenzione e servizi di supporto, mentre i programmi di reinserimento mirati specificamente alle donne vittime di violenza sono meno diffusi, oppure si tratta di programmi più generali di tutela delle donne appartenenti a gruppi svantaggiati e non direttamente le donne vittime di violenza.

Oltre ai programmi che promuovono l'uguaglianza di genere e misure per sostenere la raccolta dati e lo sviluppo di indicatori sulla violenza contro le donne, le principali misure preventive adottate sono:
• programmi di sensibilizzazione presso ospedali, scuole e luoghi di lavoro,
• progetti di formazione destinati agli operatori sanitari e sociali perché imparino a riconoscere i segnali della violenza e a trattare e gestire la persona e il problema, ma anche progetti rivolti ad altri operatori in contatto con le vittime (come la polizia, giudici, avvocati, insegnanti, professionisti dei media)
• programmi di trattamento per i soggetti violenti. I programmi di prevenzione sempre più spesso tendono a coinvolgere gli uomini, gli adolescenti, le autorità religiose e le organizzazioni dei datori di lavoro, con l’obiettivo di cambiare comportamenti profondamente radicati.

Il supporto di emergenza per le donne vittime di violenza è fornito da rifugi delle donne e le linee telefoniche di aiuto, disponibili in tutti i Paesi dell'UE che forniscono aiuti provvisori in termini di alloggio ed assistenza, supporto e assistenza legale alle donne e ai loro bambini vittime di violenza.

I trattamenti sanitari specifici sono abbastanza diffusi, mentre i servizi di assistenza specializzati sulle forme di violenza sessuale e stupro e per le vittime di violenza legata a culture tradizionali sono meno comuni. La diffusione di rifugi per donne è cresciuta in tutti i paesi ma nella maggior parte di essi non riesce a coprire il fabbisogno.
Nel complesso, solo il 37,5% dei posti necessari (secondo quanto previsto dagli standard del Consiglio d’Europa) sono effettivamente disponibili. La copertura è particolarmente bassa in paesi dell'Europa meridionale e orientale e nelle zone rurali. Inoltre, anche se negli ultimi anni si è registrata una evoluzione positiva, vi è ancora poca attenzione alle esigenze specifiche delle minoranze etniche e le donne immigrate.

Relativamente alle misure per il reinserimento sociale delle donne vittime di violenza in molti paesi vengono promossi programmi di creazione di alloggi a prezzi accessibili, di promozione dell'accesso all’occupazione e alla formazione. In molti paesi tali programmi sono organizzati dalle autorità locali e dalle ONG.

Le ONG giocano un ruolo importante nella creazione e gestione di rifugi, linee telefoniche di aiuto e nonché nelle attività di lobbying per promuovere lo sviluppo della legislazione in materia. In alcuni Paesi le ONG sono addirittura gli unici soggetti attivi.

Il grosso problema è anche che la mancanza di finanziamenti stabili riduce la continuità del servizio e impedisce pianificazione a lungo termine.

Chiara Crepaldi 
Ricercatrice IRS (Istituto per la Ricerca Sociale di Milano), ccrepaldi@irsonline.it

In press: Prospettive Sociali e Sanitarie: n.7/12 (luglio)
http://pss.irsonline.it

Articoli o termini correlati

Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha