Anatomia di una caduta
In un’aula di tribunale si consuma l’esito serrato di un conflitto che solo nel dramma sembra trovare la sua giustificazione.
(Massimo Cecconi)14/11/2023
Il dramma si consuma in un’isolata baia di montagna nei pressi di Grenoble, quando un uomo precipita da una finestra e si schianta sulla neve.
Con lui vivono nella casa la moglie, il figlio ipovedente e un cane.
La complessità delle indagini si spinge a incriminare la moglie dell’uomo per omicidio.
Per oltre due ore il pregevole film di Justine Triet, vincitore dell’ultima edizione del Festival di Cannes, si trasferisce in un’aula di tribunale dove il dibattimento deve portare inesorabilmente a un verdetto il cui esito qui sarebbe scorretto rilevare.
Nel corso del dibattito si viene informati che i rapporti di coppia non erano esemplari, ciascuno dei coniugi aveva avuto modo di lamentare il comportamento dell’altro.
Al marito viene imputata negligenza nella vicenda che ha portato alla cecità del figlio, alla moglie non si risparmiano accuse per la sua determinazione all’indipendenza e alla libertà, anche sessuale.
Figura determinante è la angosciata fragilità del figlio che interpreta accoratamente la chiave di volta della vicenda, senza schierarsi, almeno apparentemente, con nessuno dei due genitori.
Grazie a una sceneggiatura esemplare, il film si muove su diversi piani raccontando e non negando le verità dei protagonisti anche se contrapposte e contraddittorie. Anzi è proprio questa ambiguità a dare forza al dibattito giudiziario che si avvale della insinuante provocazione del pubblico ministero e della risoluta antitesi dell’avvocato difensore.
Le tesi conflittuali di omicidio/suicidio trovano soluzione in un finale altamente emotivo.
Buon film di drammatica introspezione, ben recitato e diretto nei limiti di un intrattenimento un po’ fine a se stesso. Da vedere, comunque.
In programmazione all’Arcobaleno Film Center
Con lui vivono nella casa la moglie, il figlio ipovedente e un cane.
La complessità delle indagini si spinge a incriminare la moglie dell’uomo per omicidio.
Per oltre due ore il pregevole film di Justine Triet, vincitore dell’ultima edizione del Festival di Cannes, si trasferisce in un’aula di tribunale dove il dibattimento deve portare inesorabilmente a un verdetto il cui esito qui sarebbe scorretto rilevare.
Nel corso del dibattito si viene informati che i rapporti di coppia non erano esemplari, ciascuno dei coniugi aveva avuto modo di lamentare il comportamento dell’altro.
Al marito viene imputata negligenza nella vicenda che ha portato alla cecità del figlio, alla moglie non si risparmiano accuse per la sua determinazione all’indipendenza e alla libertà, anche sessuale.
Figura determinante è la angosciata fragilità del figlio che interpreta accoratamente la chiave di volta della vicenda, senza schierarsi, almeno apparentemente, con nessuno dei due genitori.
Grazie a una sceneggiatura esemplare, il film si muove su diversi piani raccontando e non negando le verità dei protagonisti anche se contrapposte e contraddittorie. Anzi è proprio questa ambiguità a dare forza al dibattito giudiziario che si avvale della insinuante provocazione del pubblico ministero e della risoluta antitesi dell’avvocato difensore.
Le tesi conflittuali di omicidio/suicidio trovano soluzione in un finale altamente emotivo.
Buon film di drammatica introspezione, ben recitato e diretto nei limiti di un intrattenimento un po’ fine a se stesso. Da vedere, comunque.
In programmazione all’Arcobaleno Film Center
