Animali selvatici

Un villaggio della Transilvania vale il mondo intero per manifestazioni di razzismo, intolleranza e misoneismo. ()
animali selvatici immagine

Se c’è un film nelle sale che vale la pena di essere visto, questo è senz’altro Animali selvatici. Ci mette difronte ad una società dilaniata da conflitti sociali, pregiudizi, xenofobia e ignoranza. Sembra parlare di un villaggio della Transilvania ma è uno specchio per tutti noi, con i conflitti che dilagano nel mondo.

L’antefatto ci presenta Matthias (Marin Grigore) che lavora in una grande mattatoio in Germania. Apostrofato come “zingaro sfaticato” assesta una potente testata al collega che lo ha insultato e lascia il lavoro per tornarsene a Recia, il suo paese in Romania. Qui ha una moglie, Ana (Macrina Barladeanu), colpevole in quanto femmina di dare un’educazione troppo protettiva al figlio Rudi (Mark Adward Blenyesi) spaventato da qualcosa che ha visto nel bosco mentre andava a scuola, tanto da togliergli la parola. Matthias vuole farne un Uomo, cioè un maschilista senza paura. Ma al paese ritrova anche l’amante Csilla (Judith State) che nel frattempo è diventata dirigente del locale panificio e che insieme alla proprietaria sta cercando personale da assumere per poter accedere ai finanziamenti dell’Unione Europea. Ma nessuno a Recia è disposto ad accettare la modesta paga offerta, preferiscono emigrare o vivere di sussidi. Così le due donne per salvare il panificio decidono di assumere tre lavoratori dallo Sri Lanka. Matthias dovrà occuparsi anche del padre Otto (Andrei Finti) che non sta bene e ha bisogno di una R.M.N. (Risonanza Magnetica Nucleare), un esame che indaga a fondo quello che non si vede sotto la corteccia cerebrale. R.M.N. è il titolo originale, come un esame che indaga sui lati nascosti della società del piccolo villaggio, che emergeranno durante una lunga assemblea degli abitanti in rivolta perché i cingalesi, gli immigrati, gli stranieri “rubano il lavoro, portano malattie, sono sporchi, sono tutti terroristi, sono tutti mussulmani…” e tutto il campionario. Questa assemblea è girata in un’unica inquadratura, camera fissa che gioca soltanto sulla messa a fuoco di chi parla di volta in volta lasciando fuori campo il moderatore (?) dalla parte della cinepresa. Una sequenza di un quarto d’ora di cui non vi accorgerete nemmeno perché tiene inchiodati e partecipi ad ascoltare quelle voci che forse anche noi abbiamo ascoltato per strada, sull’autobus o al supermercato.

Eppure nella Transilvania multietnica convivono rumeni, ungheresi, rom e tedeschi in una apparente accettazione del diverso. Nel film si parlano tutte queste lingue oltre al francese, l’inglese e il cingalese.

«Il tempo passato, percepito come attendibile, il tempo presente, vissuto come caotico e il tempo futuro, ritenuto feroce. È un film che parla di intolleranza e discriminazione, di pregiudizio e stereotipi, di autorità e libertà, di codardia e di coraggio, di sopravvivenza, globalizzazione, dell’individuo e delle masse, del destino personale rispetto a quello collettivo» dichiara il regista Cristian Mungiu.

Il finale onirico o surreale ma decisamente criptico si presta a interpretazioni personali, come un’appendice destinata a creare il caos.

Implacabile.


In programmazione al cinema Palestrina



Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha