After work

Che ne sarà del lavoro in un prossimo futuro? Le macchine sostituiranno definitivamente l’uomo? Interrogativi inquietanti in un documentario che fa riflettere. ()
after work immagine
Cosa faremmo se non dovessimo più lavorare?
O anche, cosa faremo se non potremo più lavorare?
Non stiamo parlando di disoccupazione, che pure ha la sua rilevanza.

Il documentario di Erik Gandini si interroga su un futuro che si prospetta molto prossimo poiché il lavoro come fino ad ora lo abbiamo concepito sarà svolto dalla tecnologia, da robot, da algoritmi, da entità futuribili che già occupano i nostri spazi vitali. Ma il lavoro è uno spazio vitale? Per molti fa parte della propria identità, non solo un mezzo per sopravvivere ma per esistere.
Gandini ha fatto un giro in quattro paesi del mondo per indagare i differenti rapporti delle persone con il lavoro. Negli Stati Uniti la dedizione è totale: i dati del 2018 dicono che il 55% dei lavoratori ha rinunciato alle ferie pagate di cui avrebbero avuto diritto. Entro 10 anni il 47% dei lavoratori sarà sostituito da macchine.
La Corea del Sud è il paese in cui si lavora di più al mondo con conseguenze disastrose: suicidi, malattie, morti per eccesso di lavoro. Il ministro del lavoro Kim Joung Joo ha dovuto prendere provvedimenti introducendo un PC-off, un sistema di spegnimento automatico dei computer alle 18 e riducendo le ore lavorative settimanali da 68 a un massimo di 52.
In Kuvait tutto il contrario. La ricchezza del paese dovuta al petrolio è tale da avere un surplus di personale impiegato per non lavorare. Donne e uomini seduti in uffici percepiscono uno stipendio per non fare nulla almeno 6 ore al giorno e senza nessun rischio di licenziamento. Il loro lavoro è non lavorare.
E in Italia? Il nostro paese si distingue per il più alto tasso di NEET (Neither in Employment, Education or Training) cioè disoccupati volontari di cui deteniamo il primato in Europa con il 28,9%. Probabilmente più che la mancanza di interesse si calcola che cercare lavoro è più costoso che non lavorare. Ma anche chi è disposto ad accettare qualsiasi lavoro non percepisce uno stipendio dignitoso. Altri possono vivere senza lavorare per le ricchezze che glielo consentono. Sono tanti gli aspetti che esplora il documentario di Gandini ma senza dare risposte né da parte dell’autore, né di nomi illustri inseriti brevemente (Yuval Noah Harari, Noam Chomsky, Elon Musk, Luca Ricolfi, Yanis Varoufakis). Non stiamo parlando di fantascienza, è quello che ci aspetta nei prossimi 20anni al massimo, ma il futuro è già in atto. Anche soltanto pensare a quanti posti di lavoro sono stati cancellati per obbligare noi a svolgere gratuitamente a casa lavori che prima svolgeva un impiegato (la banca, i documenti, lo spid, le prenotazioni, i biglietti…) ma mettendolo sul piatto come una comodità per l’utente che può non uscire più di casa. E qui mi fermo per non affrontare il discorso del cinema e delle sale.
“After Work” non è un film-doc indimenticabile, ma porta dati reali e possiamo considerarlo un pretesto per interrogarci su “chi siamo e dove andiamo”. C’è chi nel lavoro trovava soddisfazione, chi l’ha vissuto come un incubo, certamente contribuiva a formare una nostra identità. Senza lavoro, chi saremo? Se ci fosse un reddito universale di cittadinanza e tutti i compiti venissero svolti da automi, saremmo più felici? Saremmo pronti a riempire uno spazio-tempo libero?
Essendo stato fino ad ora determinante per la nostra identità potremo fare a meno del lavoro rischiando di diventare irrilevanti?
Come sintetizza lo storico Harari:“Essere irrilevanti è peggio che essere sfruttati.”
Sintetico.

In programmazione al cinema Palestrina

Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha