A proposito di Oscar

Il premio attribuito come miglior film a “Coda-I segni del cuore” solleva numerosi dubbi sull’attendibilità di una competizione che denuncia sempre più i suoi limiti e le sue contorsioni all’insegna del “politicamente corretto”. Ovvero, il trionfo dell’ipocrisia. ()
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Sgomberiamo il terreno. I film che partecipano alla lotteria degli Oscar non sono in assoluto i migliori film realizzati nell’anno di pertinenza. Solo alcuni rientrano nella categoria super e accade spesso che non vincano nessuna statuetta o che non vengano neppure selezionati.
La recente premiazione, a cui stampa, rete e media televisivi hanno dato abbondante risalto anche per via di uno sberlone rifilato da Will Smith a un presentatore, non smentisce la tradizione.
Miglior film per i membri dell’Academy è stato “Coda” a cui, nell’edizione italiana, è stato aggiunto, anche qui come spesso accade, un banalissimo co-titolo, “I segni del cuore”, che la dice lunga su quale messaggio si voglia far passare.

“Coda” è l’acronimo di “Children of Deaf Adults”, vale a dire “figli di genitori sordi” ed è questo l’argomento che il film affronta.
Per altro l’opera non brilla per originalità poiché è il rifacimento USA di “La famiglia Bélier”, un film francese senza pretese del 2014, che a suo tempo aveva riscosso un certo successo anche dalle nostre parti.
In attesa che “Coda” approdi nelle sale cinematografiche, per ora è visibile solo su Sky e Now, è certo che il film non abbia riscosso grande fiducia neppure da parte dei distributori.
Chi avesse occasione di vederlo, si metta l’animo in pace. “Coda” è un film modesto per soggetto, sceneggiatura e interpretazioni. La sua forza, si fa per dire, sta solo nel tema che affronta. La disabilità, qui presentata con lacrimevole romanticismo, è l’equivoco, per via dell’esasperazione del concetto di “politicamente corretto”, che ha spinto il film alla vittoria.

In un’annata certo non memorabile, nella categoria “miglior film”, erano presenti comunque opere di tutto rispetto come “Drive My Car” di Teruhisa Yamamoto, “Licorice Piazza” di Paul T. Anderson, “Il potere del cane” di Jane Campion e persino “Belfast” di Kenneth Branagh.
Tutti film nei confronti del quale “Coda” impallidisce o dovrebbe impallidire. E ancora. Se andate a verificare tutti i film che hanno vinto l’Oscar in quella categoria è veramente difficile trovarne un altro di pari modestia.
A onor del vero, “Drive My Car” ha vinto il premio come miglior film internazionale, con buona pace del nostro “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino che ha dovuto giustamente accontentarsi della nomination, mentre a Jane Campion è andato l’Oscar come migliore regista per “Il potere del cane”.
Quanto meno un risarcimento dello sgarro subito nella categoria principale.
La caritatevole storia che racconta “Coda”, realizzato da Sian Heder, una regista al suo secondo cortometraggio, è talmente pregna di buonismo a buon mercato, appunto, tanto da far perdere la giusta dimensione delle autentiche problematiche di una disabilità che, in quanto tale, è ben drammaticamente altro da ciò che il film vorrebbe far credere o rappresentare.
E’ forse meno imbarazzante che Troy Kotsur, attore non udente, abbia poi vinto il premio come miglior attore non protagonista.
Per il resto anche la premiazione di quest’anno ha confermato la regola secondo cui il buon cinema snobba ed è snobbato dalla statuetta dorata.

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