Un incontro con lo storico del jazz Claudio Sessa

Gli abbiamo chiesto dei suoi libri, della sua attività didattica e della sua vita in zona 3. ()
kazz
Claudio Sessa è critico musicale e storico del jazz. Ha scritto diversi libri e condotto programmi radiofonici, è stato Direttore del mensile Musica Jazz, collabora al Corriere della Sera e al suo inserto La lettura, ha insegnato e insegna Storia del jazz presso vari Conservatori.
Recentemente, Il Saggiatore ha pubblicato una ristampa del suo libro Improvviso singolare. Un secolo di jazz, che prosegue una trilogia iniziata con Le età del jazz. I contemporanei e dovrebbe concludersi con un volume dedicato agli strumenti del jazz e, ovviamente, ai principali esecutori.

Improvviso singolare traccia una panoramica dalla nascita del jazz fino ad oggi, evidenziando i fili conduttori di una musica in continua evoluzione, dal Dixieland allo Swing e al Bebop, dal Cool al Free Jazz fino alle più recenti avanguardie. La ricostruzione storica è affiancata dalla guida all’ascolto di quasi duecento brani scelti fra quelli degli artisti più significativi, tra cui: Louis Armstrong, Jelly Roll Morton, Duke Ellington, Benny Goodman, Billie Holiday, Lester Young, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Thelonious Monk, Miles Davis, John Coltrane, Ornette Coleman, Albert Ayler, Keith Jarrett, Anthony Braxton, John Zorn.Abbiamo chiesto a Sessa il perché di un titolo così insolito per il libro e del modo in cui è impostato il libro stesso.

Abbiamo chiesto a Sessa il perché di un titolo così insolito per il libro e del modo in cui è impostato il libro stesso.

Il titolo è nato assieme all’editore e deriva dalle caratteristiche del jazz: di essere una musica basata sull’improvvisazione e al contempo unica perché riesce a fare sintesi tra individualismo ed espressione collettiva, tradizione e sperimentazioni.
Nel libro non parto dalle vite dei singoli artisti ma dalla loro musica, dall’ascolto di brani emblematici tratti dai dischi da loro incisi. Questa scelta deriva certo dalla mia attività didattica (ai Conservatori di Trieste e La Spezia prima, a quello di Cuneo ora) ma anche da un’abitudine agli ascolti collettivi con amici appassionati, ad esempio in un locale di Milano gestito dal trombettista Luca Calabrese. E più recentemente, dal 2015, tengo cicli di incontri basati su ascolti musicali alla Biblioteca rionale di Crescenzago, con un pubblico affezionato e partecipe. Abbiamo ripreso giusto quest’inverno dopo una lunga interruzione dovuta in parte alla pandemia e in parte a lavori di ristrutturazione della biblioteca stessa.

Tornando al libro, l’idea è che anche da casa si possa affiancare alla lettura l’ascolto dei brani di cui si parla.

Dal libro emerge che il jazz non è solamente «musica afroamericana». Tuttavia grande spazio è dedicato alla storia degli Stati Uniti, ai suoi eventi sociali ed economici.

Fin dalle origini, il jazz fu frutto di una «triangolazione» culturale fra Africa, Europa e America, come scrive l’amico e grande pianista Franco D’Andrea nella sua introduzione. In seguito, dagli Anni Cinquanta e Sessanta, nacquero in tutto il mondo, a partire dall’Europa, linguaggi jazzistici autonomi. Molti musicisti si trasferirono dall’America in Europa, suonando con strumentisti europei e da ciò nacque spesso una musica con radici proprie. Il primo fu Eric Dolphy, il quale ebbe però la sfortuna di morire di lì a poco, proprio nel nostro continente.
Ma è negli States che il jazz a fine Ottocento nasce e poi si sviluppa. E le vicende economiche di quel Paese sono state determinanti per l’attività dei gruppi e delle orchestre jazz, soprattutto per la possibilità di lasciare testimonianze discografiche.


Claudio Sessa vive in zona 3, a Città Studi. Gli chiediamo se vuol dirci qualcosa in proposito.

Abito qui, non distante da Piazza Piola, fin dagli Anni Settanta. Ho sempre trovato la zona comoda per i miei spostamenti in città e anche per i miei viaggi di lavoro, essendo collocata tra due stazioni ferroviarie, Centrale e Lambrate. E’ un quartiere prevalentemente residenziale, con pochi negozi. Però ci sono la Facoltà di Architettura e il Politecnico: trovo divertente questa aria studentesca, frizzante e poliglotta, un po’ parigina.

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