Vivere

Un film deludente che non sfrutta appieno tutte le sue potenzialità narrative. ()
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Certo, non si può solo vivere di film coreani sottolineati in curdo ma se vi capitasse di vedere film fragili come “Vivere” di Francesca Archibugi, un pensierino potreste anche farlo.
Paradosso a parte, “Vivere” è un film senza capo né coda che gira su se stesso senza lasciare traccia alcuna non si dice di contenuti, che sarebbe persino eccessivo, ma quantomeno di percorso narrativo.
Nella caotica Roma dei giorni nostri, si raccontano le vicende di una sorta di famiglia allargata in cui gran parte dei componenti è affetta da sindromi varie sia psichiche che fisiche.

C’è l’inguaribile ed esecrabile Peter Pan, il voyeur impenitente, l’irreprensibile anziano frequentatore di viados, la ragazzina tanto per bene con il sangue bollente, la sciroccata inconcludente e rassegnata al peggio. E chi più ne ha, più ne metta.
La trama esile esile è composta da episodi messi insieme in qualche modo, senza credibilità o plausibilità.
Sorprende un po’ che per confezionare questo prodotto si siano messi alla regia Francesca Archibugi, lontanissima dalla sua particolare grazia di “Mignon è partita” e “Il grande cocomero”, alla sceneggiatura, oltre alla stessa Archibugi, Paolo Virzì e Francesco Piccolo, all’interpretazione Micaela Ramazzotti, Adriano Giannini, Massimo Ghini, Enrico Montesano. Nella parte dell’inquietante guardone si cimenta Marcello Fonte, il più che inquietante protagonista di “Dogman” di Matteo Garrone, miglior attore a Cannes 2018.

Tanto rumore per nulla?
Ennesima riprova della deriva estrema del cinema italiano. Vedere per credere.

In programmazione al cinema Plinius

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