Non Una di Meno

Martedì 21 novembre alla Casa delle Donne di Milano “Non una di meno” ha presentato alla stampa la sua piattaforma politica e strategica , elaborazione di decine di assemblee cittadine, 5 assemblee nazionali e 9 tavoli tematici.  “Contro la violenza sulle donne abbiamo un piano”. ()
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La conferenza stampa dell’Associazione Non una di meno, che si è formata un anno fa e che è riuscita ad organizzare lo sciopero delle donne dello scorso 8 marzo, è stata condotta dalla giornalista Chiara Ronzoni di Radio Popolare, che ha intervistato le attiviste milanesi sul Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e tutte le forme di violenza di genere.

Una donna ogni 3 giorni viene ammazzata in Italia. 

Un anno fa Non una di meno si impegnò a creare un piano alternativo a quello del governo per contrastare la violenza. Ma questa violenza sulle donne non va trattata solo come un’emergenza, in realtà è un piano strutturale della società per tenere sottomesse le donne. La proposta statale è di un inasprimento delle pene, la risposta di Non una di meno è che si tratta di un problema culturale creato dalla cultura patriarcale. Questi mesi hanno visto la rinascita del femminismo, che è tornato forte e vivace e trasversale alle generazioni: l’8 marzo scorso ha visto scendere in piazza donne d’ogni età. Di seguito la dinamica degli interventi.

Carlotta Cossutta : dalle discussioni collettive di quest’anno è nato un esempio di scrittura collettiva, per proporre soluzioni su come stare insieme e nei territori. Il nostro documento “Abbiamo un piano” propone indirizzi di forza politica sia di lungo periodo, che più immediati. Servono tempo e risorse, di conseguenza ci rivolgiamo agli enti locali, affinché siano adeguatamente finanziati i centri antiviolenza e sia ripristinata l’educazione sessuale nelle scuole; il cambiamento culturale può avvenire attraverso una scuola che educhi al rispetto degli individui, alla parità dei generi.

Eleonora Cirante : che cosa si può tenere e cosa no del piano nazionale della salute? L’universalità del nostro servizio sanitario è messa in discussione dai tagli alla sanità. La medicina non è mai stata amica delle donne, poiché la relazione medico-paziente contiene una relazione di potere; il risultato è che la medicina non è in grado di affrontare un punto delicato: i servizi che garantiscano alla donna il diritto di scelta rispetto ad aborto farmacologico, procreazione e riproduzione. Occorre più Stato, ma meno invadente e più garantista. Vediamo tutti la difficoltà che la legge 194 sull’aborto incontra per essere applicata, ma i diritti vanno rispettati, la donna ha consapevolezza dei propri diritti e doveri e lo Stato deve riconoscere la sua libertà di scelta.

Silvia Carabelli : i media e la comunicazione quando trattano della violenza sulle donne definiscono l’agire maschile come se fosse un gesto impulsivo e parlano di “atto d’amore” “di raptus di gelosia”. Chi agisce violenza viene sempre giustificato perché disoccupato, perché è stato lasciato, perché è malato; in realtà si tratta di un rapporto sociale e culturale. Le relazioni tra donna e uomo sono parte del problema: è il macismo l’elemento fuori tempo e luogo della relazione. È importante l’osservazione e l’analisi dei dati per poter produrre discorso, autodeterminazione, dobbiamo cambiare le parole anche tra di noi. Uno dei nostri obiettivi deve comprendere le migrazioni, dobbiamo includere senza creare barriere, studiare la situazione delle donne migranti, perché Non una di meno è un movimento internazionale e si confronta anche con il razzismo. Bisogna smascherare gli stereotipi della strumentalizzazione politica, perché il capitalismo ha bisogno di manodopera di riserva, in nero, di invisibili che, non avendo diritti, siano ricattabili. Quindi, in certi casi, le barriere sono permeabili per persone senza diritti. È un razzismo sociale. Occorre cambiare la Bossi-Fini, approvare lo ius soli, modificare la legge Minniti. Dobbiamo ricordare le 26 donne trovate morte sul barcone approdato a Salerno: avevano tutte subito violenza.

Manuela Olivi : come si lega la crisi economica alla violenza sulle donne? Il problema non viene percepito in modo strutturale, ma il tema del lavoro femminile non è solo legato allo stato sociale e al reddito; nella precarietà e frammentarietà del lavoro le donne perdono la possibilità all’autodeterminazione, il diritto all’uguaglianza, alla maternità e alla salute. Meno si guadagna e meno si avrà in futuro. Lo sciopero delle donne è uno strumento che va rivendicato; l’azione politica delle donne deve essere al centro dei centri antiviolenza, che sono una risorsa, ma devono essere chiare le competenze e vogliamo seguire direttamente il piano di reinserimento.

Il governo, senza consultare nessuno ha fatto un decreto legge : o si ignora il problema o lo si costruisce. La legge c’è già, è la convenzione di Istanbul sulla parità di genere, noi chiediamo che sia quella la legge di riferimento, perché internazionale. Ciò che è importante è la cultura di chi interpreta la legge.

Rita Cassan : corpi, territori e spazi urbani, nei nostri incontri abbiamo imposto 9 punti legati al corpo e alla violenza ambientale. Siamo transfemministe, transnazionali; mettiamo in discussione il binarismo uomo-donna, potere e dominio-rispetto della natura; ci opponiamo a porre l’uomo al centro della terra e allo sfruttamento dissennato delle risorse. Liberazione però vuol dire anche possibilità di definire il proprio genere. Non più il femminismo, bensì i femminismi, è necessario superare l’ ottica nazionale, organizzarsi e connettersi.

Nei centri antiviolenza istituzionali e nelle scuole rivendichiamo il diritto a formarci come femministe. Chi forma chi? Chiediamo autoformazione, confronto con colleghi e personale specializzato, perché questo determina un grosso lavoro sul linguaggio; studenti e docenti insieme devono potersi rivolgere a centri e realtà del territorio che propongono un progetto di questo indirizzo.

Questo nostro opuscolo : deve essere uno strumento di empowering che permetta a tutte di definire le direzioni e lottare. Solidarismo è il punto comune di questi tavoli. Il piano non è considerato un punto d’arrivo, bensì una partenza. Il piano va fatto vivere da tutte noi.


Poco dopo le 19, la conferenza è terminata e si è formato un corteo diretto in via Solferino al Corriere della Sera.


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