Afghanistan: il grande gioco

In scena sino al 5 febbraio all’Elfo Puccini un resoconto drammaturgico, tra storia e politica, del travaglio di un paese in guerra ormai da due secoli. ()
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Coraggiosa la scelta di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani di portare in Italia la prima parte (la seconda è attesa per la prossima stagione) di un’opera complessa ideata e realizzata in origine dal Trycicle Theater di Londra. Undici autori di lingua e cultura anglosassone che raccontano con drammatico piglio cronache e storie di un paese martoriato da se stesso e dagli interessi delle potenze politiche e militari del mondo.

L’Afghanistan è evidentemente un territorio-chiave, ritenuto fondamentale per gli equilibri mondiali.

Non a caso inglesi, russi, americani e varie missioni Nato, che hanno coinvolto e coinvolgono anche contingenti militari italiani, si sono interessati di questo paese estremo.

La proposta drammaturgica del teatro dell’Elfo non è consueta per i nostri palcoscenici sui quali raramente vengono proposti argomenti di storia internazionale. Ben venga senza dubbio questa nuova esperienza che può e deve aiutare a capire ciò che è accaduto e che sta ancora accadendo in quella lontana parte del mondo. Vanno in scena dunque cinque episodi che raccontano con efficacia ciò che è successo in Afghanistan dal 1842 al 1996.

Nel primo episodio, “Trombe alle porte di Jalalabad” di Stephen Jeffreys si consuma il dramma delle truppe inglesi assediate nella fortezza dopo aver sfidato le tribù afgane. In “La linea di Durand” di Ron Hutchinson, forse l’episodio più debole, il segretario degli esteri dell’India britannica (1886-1894) cerca di convincere l’emiro Abdur Rahman a sottoscrivere la definizione dei confini del paese. Un salto di qualche anno e in “Questo è il momento” di Joy Wilkinson si racconta la fuga notturna a bordo di una Rolls Royce, in un paesaggio ostilmente ricoperto di neve, del re riformatore Amanullah Khan (il suo regno si colloca tra il 1919 e il 1929) con moglie e suocero al seguito. Per la cronaca il re morirà in esilio a Zurigo nel 1960.

In anni più recenti si colloca “Legna per il fuoco” di Lee Blessing dove entra in scena con prepotenza la CIA alle prese con alleati pachistani per contenere all’URSS il potere sull’Afghanistan.

L’ultimo episodio, “Minigonne di Kabul” racconta le ultime tragiche ore di vita di Najibullah, presidente comunista tra il 1987 e il 1992 di quel tormentato paese.

I cinque episodi bene raccontano la complessità della storia afgana e le pesantissime ingerenze delle potenze straniere in quello che venne definito “il grande gioco” e che ora, sembra rinnovarsi con “il nuovo grande gioco” che vede l’Afghanistan ancora al centro delle interessate attenzioni della politica mondiale alle prese con l’estremismo talebano.

Qualche passaggio didascalico di troppo non disturba il ritmo narrativo. Nella coralità degli interpreti, sembra forse sacrificarsi qualche necessaria forte individualità. Meno convincente l’ambientazione scenica in un centro di prima accoglienza.

Quasi tre ore di spettacolo (intervallo compreso) non hanno affatto annoiato il pubblico della prima. Ad applaudire, tra gli altri, l’assessore Filippo Del Corno che alle novità è molto attento.

Da vedere. Con merito.



Afghanistan: il grande gioco

Autori vari

Regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani

Con Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Leonardo Lidi, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri

(a cura della Redazione)



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