Le Olimpiadi del 1936

Avete tempo sino al 22 dicembre per andare a vedere al Teatro Menotti uno spettacolo che intreccia sport e storia con grande respiro narrativo. Non fatevi distrarre troppo dal clima natalizio, lo spettacolo vale il viaggio. ()
Buffa 1936

Torna a grande richiesta, come si diceva un tempo, uno spettacolo che coniuga, con grande maestria narrativa, storia e sport in modo avvincente e coinvolgente.

Sul palco del Teatro Menotti, Federico Buffa, volto della tv sportiva di Sky, interpreta Wolfgang Fürstner, vicecomandante del Villaggio olimpico alle Olimpiadi del 1936. Una delle tante tragiche figure della Germania di quegli anni, finito suicida pochi giorni dopo la fine dei giochi olimpici.

Buffa/Fürstner racconta una storia che forse, almeno in gran parte, è conosciuta ai più ma che, attraverso le sue parole, assume valori diversi, molto più vicini alla realtà.

La voce del protagonista racconta, in un lungo monologo sostenuta da una adeguata colonna sonora, le vicende umane di atleti e non durante una delle Olimpiadi più anomale di tutti i tempi, nel macabro sfavillio della Berlino del 1936 quando già si sentono sempre più vicini gli echi della tragedia che di lì a poco si abbatterà sul mondo intero.

Olimpiadi macchiate, ad esempio, dallo scoppio della guerra civile in Spagna e dall’invasione sanguinosa della Corea da parte del Giappone.

Proprio questa vicenda offre lo spunto per raccontare la vicenda di Sohn Kee-chung, l’atleta che vinse la maratona, la gara per eccellenza di ogni gioco olimpico, costretto a indossare la maglia del Giappone lui che era coreano del nord. Aberrante.

Come parimenti aberrante, per certi versi, è la storia apparentemente gloriosa di Jesse Owens, il nero che osò sfidare Hitler e il mondo intero vincendo con record quattro ori olimpici.

Storia di razzismo profondo non solo da parte dei nazisti ma anche da parte degli stessi americani che, subito dopo le Olimpiadi, emarginarono l’atleta e lo riabilitarono solo molti anni dopo.

Bella storia invece quella del suo rapporto sportivo e umano con il saltatore tedesco Luz Long che, nella gara olimpica in cui finì secondo alle spalle dell’americano, arrivò persino a dare consigli al suo rivale.

Nella foto che ritrae il podio di quella gara, Owens saluta il pubblico portandosi la mano alla fronte, mentre Long ostenta il tragico saluto a braccio teso, quasi a preludio della sua morte che avverrà in guerra nel 1943, sul fronte siciliano.

Mentre Owens, rientrato a NewYork dopo i quattro ori olimpici, non riuscirà a trovare una camera d’albergo per lui e la moglie perché di pelle nera.

Tra le tante altre storie raccontate da Buffa c’è anche quella di Leni Riefensthal, la grande regista tedesca, si dice amante di Hitler, che filmò le Olimpiadi e ne lasciò per sempre il senso più glorioso e, al contempo, più tragico. La regista, personaggio controverso e ambiguo, riuscì a mascherare la sua adesione al nazismo e uscì quasi indenne dalla sua rovinosa caduta.

Storie, storie, storie tante storie raccontate da Buffa con savoir-faire di grande affabulatore in oltre due ore di spettacolo che scivolano via, una volta tanto, con vero piacere.

Con lui sul palco la bella voce di Cecilia Gragnani, che interpreta canzoni d’epoca, e il pianoforte sapiente di Alessandro Nidi, anche direttore musicale, e la fisarmonica di Nadio Marenco. Regia di Emilio Russo e Caterina Spadaro per una produzione di Tieffe Teatro.

Sul grande schermo, che sta alle spalle degli artisti, scorrono le grandiose immagini girate dalla Riefensthal: l’esaltante ed estenuante gara del salto il lungo vinta da Owens e le fasi salienti della maratona vinte dal giapponese, pardon coreano, Sohn Kee-chung.

Affrettatevi gente.



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