Ricostruire il proprio futuro

Coworking, Cobaby e Community. È la via indicata da "Piano C", un’associazione, una community, un laboratorio che fa incontrare donne e lavoro. È un modo nuovo di lavorare, ricco di energie e proposte innovative.
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Quando arriva il momento in cui una donna affronta i dubbi sulla propria realizzazione, sulla valorizzazione delle proprie capacità rispetto al lavoro e ha bisogno di riorganizzarsi, ecco  il progetto dell'Associazione “Piano C ” che, a Milano, propone incontri strutturati per il mondo del lavoro dal punto di vista femminile.

Intervista a Cristina Coppellotti, Project Manager di C to Work a cura di Maria Antonietta Pellegrini.

“Piano C” si rivolge solamente o principalmente a giovani donne?
Il “Piano C ” si rivolge alle donne, tutte, in qualsiasi fase della loro vita. Si rivolge anche alle famiglie e quindi anche ai bimbi che ne fanno parte e ai papà che vogliono conciliare meglio vita familiare e lavoro.
In particolare, il progetto C to Work, uno dei progetti più importanti dell’Associazione Piano C, si rivolge alle donne, disoccupate o inoccupate, che vogliano rimettersi in gioco aggiornando le proprie competenze, lavorando in gruppo ad un progetto operativo e inserendosi in un network strategico. Le donne vengono selezionate in modo tale da creare un gruppo eterogeneo, per età, formazione, competenze. Crediamo infatti che la differenza sia generativa. Quindi la partecipazione è aperta a tutte coloro che non stanno lavorando, nessuna esclusa!  La data della prossima call  verrà definita nelle prossime settimane.

Quante persone formano un gruppo per il percorso?

Ogni percorso C to Work prevede la partecipazione di 10 donne. Per le attività di gruppo saranno poi suddivise in sottogruppi per facilitare la collaborazione e la partecipazione di tutte. Viceversa, durante gli incontri formativi, saranno presenti nel gruppo esteso.

Che tipo di donne frequenta i seminari e quale scolarizzazione posseggono?
Come anticipavo prima, non c’è una risposta univoca: i gruppi che formiamo sono abbastanza eterogenei dal punto di vista sociale. Il grado di scolarizzazione è in media abbastanza elevato, ma non uniforme: nella precedente edizione, per esempio, alcune partecipanti erano diplomate, altre laureate e altre ancora erano in possesso di master e dottorati. Non ci sono però prerequisiti in ingresso: se ci colpiranno le sue risposte, non avremo problemi ad inserire nel gruppo anche chi ha un livello di scolarizzazione inferiore.

Devono presentare curricoli specifici e sono seminari aperti?
Non solo non è richiesto un titolo di studio specifico, ma nemmeno un’area specifica di competenze. Idealmente ci piace avere persone portatrici di background differenti e, infatti, nella precedente edizione tra le partecipanti c’erano donne con esperienza nel settore marketing, così come antropologhe o professioniste nel settore ambientale o nell’urbanistica. Tutte hanno saputo dare un contributo diverso ma ugualmente prezioso nell’economia del progetto.

Vi prendono parte anche donne immigrate?
Nei percorsi precedenti non è accaduto, ma ci piacerebbe molto avere la possibilità di arricchire i nostri gruppi di lavoro anche con persone portatrici di diverse culture e storie differenti.

Ci sono già stati risultati di storie di successo?
Delle 10 partecipanti in uscita, 8 hanno migliorato o rivoluzionato la propria condizione lavorativa, trovando un lavoro, aprendo attività in proprio, allargando il proprio portfolio clienti, riuscendo ad inserirsi in progetti già esistenti. Non possiamo prenderci tutto il merito di questo risultato, perché loro, le partecipanti al percorso, sono state le prime a crederci e a mettersi in gioco.
Sicuramente, però, tutti noi abbiamo contribuito a far crescere in loro la fiducia in se stesse, a garantire uno spazio di sperimentazione di se' e dei propri contenuti e un modo per fare sentire la propria voce.

Quali mutamenti di utenza, di richieste, di aspettative lavorative sono avvenuti in questi ultimi 10 anni?
Oggi le donne esprimono maggiore determinazione rispetto alle proprie aspettative o al contrario la crisi economica ha pesato nella percezione di se stesse e sono più propense a compromessi di minore orario lavorativo o minore retribuzione?
L’impressione è che la crisi abbia inciso molto sull’occupazione femminile. Se già prima della crisi la disoccupazione e il precariato pesavano più sulle donne che sugli uomini, i recenti tagli alle politiche assistenziali e di welfare hanno contribuito a ridurre ulteriormente la presenza femminile sul luogo di lavoro.

È  percepibile o ammesso un cambiamento di aspettative o la fiducia nel futuro resta invece molto alta?
Tra le persone che incontriamo o coloro che si rivolgono a Piano C è spesso percepibile un sentimento di sfiducia e un significativo abbassamento delle aspettative. Piano C però cerca proprio di lavorare su questo, cercando di ridare a chi si affida a noi la fiducia di potercela fare e proponendo loro nuovi modelli di lavoro e nuovi strumenti di conciliazione. Allo stesso modo ci rivolgiamo alle istituzioni portando avanti iniziative di advocacy per cercare di cambiare le cose “dall’alto”.



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