Tarantinate milanesi

Di Nazzareno Mazzini abbiamo recentemente recensito il suo bel libro “La nebbia non c’è più. Passeggiata lungo i film di Milano”. Riceviamo e pubblichiamo ora questa sua dissertazione sui film poliziotteschi ambientati nella nostra città (mc). ()
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Il genere poliziesco all’italiana, il poliziottesco come venne ironicamente chiamato, si allunga per una ventina d’anni, dai tardi anni sessanta ai primi anni ottanta: ha ascendenti nobili americani (Serpico, Callaghan, bracci violenti, ecc.) e discendenti spesso ignobili. Deriva il suo nome dalla presenza costante di un poliziotto, normalmente ispettore di polizia o maresciallo dei carabinieri, particolarmente deciso a “fare giustizia” lottando contro i delinquenti, naturalmente, ma anche contro leggi e superiori. I poliziotteschi ricordano sia nelle storie sia nei cast, che spesso sono presi paro paro dai set dei cowboy, gli spaghetti western.

In fondo, nel genere vi si possono inserire, forzando un po’ i confini verso l’alto, anche Banditi a Milanodi Lizzani del ’68 sulla banda Cavallero, film con piglio documentaristico, con Thomas Milian, che qui fa il commissario e un grandissimo Gianmaria Volonté, che più tardi ritroviamo nel celeberrimo film di Petri Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto del ’70, forse il più nobile poliziottesco della storia.

Negli anni settanta (anni di diffuso impegno politico, ma anche anni cupi, di piombo, appunto) i poliziotteschi medi avevano fama di filmetti qualunquisti, a volte un po’ fascisti. Di sicuro i film di questo genere sono stati numerosissimi in quegli anni, con esiti diseguali di pubblico e cassetta, ambientati in molte città italiane, a Roma soprattutto; il romanissimo maresciallo Monnezza Thomas Milian (doppiato magistralmente da Ferruccio Amendola) almeno in un film di Sergio Corbucci, Delitto a Porta Romana, ’80, fa comunque una trasferta a Milano. In questa pellicola vediamo una serie di gustose vignette milanesi, da san Siro, dove inizia il film, a Niguarda dove lavora l’infermiere Vituccio, alias l’indimenticabile Lino Patruno, passando per un inseguimento in pattini a rotelle per le vie del centro.

Milian è un attore statunitense nato a Cuba, dalla carriera lunghissima (sia chiaro: è ancora vivo) che io ricordo in film di Visconti, Antonioni, Spielberg, Soderbergh. Milian, e qui veniamo a noi, era stato un vilaintremendo in Milano odia: la polizia non può sparare, di Umberto Lenzi, nel ’74, con musica di Morricone, uno dei più significativi film del genere: si chiamava Giulio Sacchi e univa ferocia e sadismo in imprese di rapimenti e violenza alla Arancia meccanica. Negli USA ebbe un discreto successo col titolo (sic!) Almost human, quasi umano. Il buono, il poliziotto, era interpretato da Henry Silva, attore newyorkese dalla faccia singolare, che di solito faceva il cattivo. Giulio Sacchi/Thomas Milian abitava in una casa popolare a Greco e, quando fuggiva, lo faceva per viale Palmanova o giù di lì (foto di copertina).

Nella scena finale (quella in cui il poliziotto affronta e uccide il cattivo) siamo esattamente in viale Palmanova al numero 8 e si riconosce un bar che forse non c’è più.


I film di Lenzi e Corbucci, ma soprattutto quelli di Ferdinando Di Leo, che era pugliese, hanno avuto una nuova vita dopo che Quentin Tarantino li ha promossi a sua fonte d’ispirazione. Uno in particolare è ancora vivo, Milano Calibro 9, che è del ‘72 e fa parte di una trilogia che attinge direttamente ai bei noirdel giallista milanese-ucraino Giorgio Scerbanenco, che pare abitasse in Piazza Piola. Il plotè davvero intrigante, la musica di Bakalov, suonata dal gruppo degli Osanna, ebbe un grandissimo e meritato successo, il cast è perfetto: insomma un film di genere in confezione di lusso, per l’epoca. I primi tre minuti, quelli che precedono i titoli di testa, come si usava negli anni settanta, sono strepitosi: fra l’altro ci vediamo ampi squarci di città, dalla Torre Branca alla Darsena, dai piccioni in piazza Duomo ai vagoni della metropolitana rossa. Mario Adorf usa un rasoio da barba per sgozzare un presunto traditore seduto con ampia bavaglia bianca sulla poltrona girevole di un barbiere. Quentin ha trovata geniale questa scena e, pare, l’ha ripresa in qualche parte di non so quale dei suoi film.

Curiosamente parla di mafia a Milano come fosse un’assoluta novità: bei tempi! Il cattivo è detto “l’americano” (che americano era davvero: è il grande caratterista Lionel Stander), il buono ha la faccia facciosa di Gastone Moschin che nessuno può dimenticare in Signore e signoridi Germi, di qualche anno prima, e in Amici miei di Monicelli che è invece del ’75. Ugo Piazza/Moschin ha una parte che, lì per lì, non sembra la sua: ma non è così. Si muove con sorniona determinazione, le prende, le dà e, fino a pochi minuti prima della fine, appare vincente. Nel film ci sono anche un’attrice, Barbara Bouchet, e un attore, Mario Adorf, entrambi di lingua madre tedesca, che a partire da quegli anni si italianizzano vieppiù. Lalap dancedella Bouchet è particolarmente osée: lancerà la bionda nel magico mondo della commedia sexy all’italiana, ma non solo, visto che appare nientemeno che in Gangs of New York di Scorsese, nel 2002. Adorf è la mano armata del cattivo americano, ma alla fine quasi si riscatta riconoscendo l’intelligenza e la capacità di Ugo Piazza. Dove vuole scappare, a colpo riuscito, Ugo Piazza? A Beirut, allora sicura come la Svizzera.


In questa Milano degli inizi anni settanta si respira ancora il boom, ma si leggono già nelle strade e nei dialoghi la crisi sociale e la lotta politica: ad esempio è singolare lo scontro tra i due commissari di polizia, quello duro vecchio stile, tendenzialmente violento e un po’ fascista, interpretato da Frank Wolff,e quello democratico e progressista, Luigi Pistilli, difensore deicontestatori.Milano è un po’ Manhattan con la Torre Velasca, il Pirellone, il grattacielo del Comune e dell’INPS in Melchiorre Gioia. E come grande metropoli merita gangster adeguati …

Minga dômà in piasa del Dôm ghé i delinquent e i dôn, nel noster picôl a Lambràghe n’è che moeur masà, cantava Svampa/Brassens.


(Nazzareno Mazzini)