Il Leoncavallo compie 40 anni

Lo scorso 18 novembre ricorreva il 40° anniversario dell'occupazione del Leoncavallo. Lo ricordiamo tramite le parole di Primo Moroni e di Paolo Molena. Ricordi tratti dal Libro Bianco sul Leoncavallo a cura della federazione Milanese di Democrazia Proletaria ()
Leoncavallo
Il ricordo di Primo Moroni (editorialista e libraio della Libreria Calusca)
 
Il Leoncavallo, sin dal suo nascere ha caratteristiche dissimili da quelle rintracciabili nei nascenti circoli Autogestiti del Proletariato Giovanile.
L'occupazione del  Leoncavallo e'  stata un'occupazione  unitaria, diretta espressione  di organismi politici adulti, formatisi negli
 anni successivi  al '68.  L'occupazione del Leoncavallo avviene in un quartiere  di storiche  e  importanti  tradizioni  operaie:  il
 quarticre  Crescenzago,   viale  Padova,   Lambrate   che   e   un prolungamento cittadino della mitica "Stalingrado d'Italia" (Sesto S.G.). In  questa zona  vi sono le piu' importanti fabbriche della citta'.
 Lo  stabile   occupato  e'   una  fabbrica  dismessa  di  prodotti farmaceutici che copre 3.600 mq, si tratta d'una delle piu' grosse occupazioni di  Milano. A  partecipare all'occupazione  vi sono  i diffusissimi Comitati  di Caseggiato,  i collettivi  anti-fascisti della  zona,  Lotta  Continua,  il  Movimento  Lavoratori  per  il Socialismo, Avanguardia Opcraia, ecc.
La scelta  da parte di tutte queste forze d'occupare unitariamenie lo stabile avviene perche' ci si era resi conto che l'ottica della fabbrica aveva invaso il sociale e che quindi bisognava creare dei luoghi  di   riferimento  nei   quartieri  che   funzionassero  da
 cuscinetto tra  le organizzazioni e la societa' civile. Nascono lo "Stadera" in  piazza Abiategrasso, "La Casermetta" a Baggio, molti altri centri  tra i  quali il Leoncavallo la cui caratteristica e' quella di rispecchiare l'intera composizione sociale d'un pezzo di citta': una  composizione operaia,  proletaria, popolare  a  forte spessore di memoria di sinistra, di classe.
I quartieri  adiacenti, va  infalti ricordato,  hanno  una  grossa storia di  lotta antifascista che risale alla resistenza; si pensi che la "Volante Rossa", che nei tardi anni '40 costituiva la parte "dura" del  servizio d'ordine del PCI, sorge alla sezione 'Martiri Oscuri' del PCI di Lambrate.
La fisionomia quindi del Leoncavallo e' quella di essere un centro di rilevanza  cittadina, ma fortemente radicato nel quartiere, che raccoglie al  suo interno  una presenza  proletaria molto forte, e viene  utilizzato   come  Agora'  dall'eterogeneita'  delle  forze politiche  che   lo  compongono.   La  presenza  giovanile  nuova, diffusissima  neli'hinterland  della  metropoli,  non  emerge  dal Leoncavallo: il  comitato di  gestione e' per lo piu' composto dai militanti delle organizzazioni in crisi.
Questo risultera'  col tempo  un limite in quanto non furono colti gli elementi  anche se  solo in  fase  embrionale  d'una  crescita politica  di  questa  nuova  generazione  che  inizia  a  prendere coscienza della propria realta' di proletari espulsi dalla citta'.
Milano e'  una grande  centrifuga che  spinge verso la periferia i soggetti deboli;  non a  caso nascono  a Bollate  piuttosto che  a Quartoggiaro le teorizzazioni degli indiani metropolitani, giovani espulsi nlle  periferie che  vanno a  riappropriarsi dei territori
 dell' "uomo bianco", il centro cittadino.
Le prime  iniziative sono  assemblee e  feste, non  essendo ancora diffusa in modo generalizzato la cultura dei concerti.

 
Il ricordo di Paolo Molena (ex professore alla Quintino di Vona, divulgatore di robotica e della montagna)

Il Centro sociale Leoncavallo fu occupato da organismi di quartiere. Una parte dei compagni proveniva dall’esperienza del comitato di quartiere “Casoretto’. Nel “Casoretto” – formatosi nel ’73 grazie ad un gruppo al quale appartenevo, proveniente da una prima esperienza di doposcuola che tenevamo in un oratorio – confluirono molti compagni i cui percorsi erano riconducibili a tre posizioni: noi, che gestivamo i doposcuola; un gruppo di simpatizzanti di Avanguardia Operaia; un gruppo che era molto orientato sulle pratiche dell’antifascismo militante.
La convivenza di queste realtà si dimostrò col tempo difficile.
Noi del doposcuola eravamo stati sfrattati da due luoghi che ci avevano affittato in zona, quando fummo “invitati” ad uscire dall’oratorio. Per noi era vitale trovare una sede in cui proseguire le nostre attività. Per questo maturammo l’idea d’occupare un luogo in zona.
Furono quindi presi i contatti con i compagni simpatizzanti di AO che sapevamo avere in mente un’iniziativa analoga. Ma, una volta occupato il Centro Sociale, le divisioni che erano sorte all’interno del “Casoretto” si riproposero nel tempo; dopo l’occupazione anche i compagni rimasti nel Comitato di quartiere originario entrarono a far parte del Centro Sociale dando vita alla Commissione Palestra.
All’interno del Centro Sociale Leoncavallo, in realtà c’era un dibattito molto ampio; è falsa l’idea del Leoncavallo come il Centro monoliticamente gestito, dai “duri”: basti pensare che tentammo da subito di avere un contatto con le istituzioni, e vi riuscimmo.
Dopo l’occupazione, infatti, fu inviato il Presidente del Consiglio di zona 11 – avvocato Giancarlo Boria – perché visitasse l’area e verificasse l’effettivo stato di abbandono degli edifici. L’avvocato Boria si prestò all’incontro e, resosi conto dell’utilità che quegli stabili occupati potevano avere, si prese l’impegno di presentare la cosa al Consiglio di zona.
Ci tengo a precisare che i rapporti con il Consiglio di zona furono buoni anche perché il suddetto presidente era una persona molto disponibile,tanto che quando fu “silurato” dal PSI, il suo partito, il Leoncavallo inviò una lettera di protesta al PSl.
Il Consiglio di zona raccolse e fece propria la proposta da noi avanzata, di vincolare l’area del Leoncavallo a servizi collettivi; nel 1975 si discutesse infatti la variante generale al Piano Regolatore. Questo fu il nostro primo impegno politico, credo che sia stato proprio quel vincolo a permettere al Centro di durare quattordici anni senza essere sgomberato; tornerò su questa faccenda più avanti.
Nelle diverse Commissioni che si andavano formando nel Centro, si rispecchiavano gli interessi dei singoli occupanti; le attività di “Scuola Popolare” e doposcuola ripresero immediatamente.
La Commissiune Cultura organizzò da subito delle grossissime iniziative che ebbero una risonanza a livello Cittadino. Il “Teatro Quartiere Leoncavallo” era in stretto contatto con la zona; ottenne anche dei finanziamenti e sulle pagine dei giornali locali apparivano gli spettacoli organizzati.
Il Leoncavallo aveva come caratteristica il fatto di essere autonomo dai partiti o da qualsivoglia organizzazione, anche se i militanti di queste vi intervenivano in prima persona. Il Leoncavallo in realtà non poteva esercitare la funzione di mediazione e dibattito tra le organizzazioni in quanto in quel periodo il dialogo era pressoché nullo. Come linea politica cercammo sempre di tenere i gruppi organizzati fuori dal Centro.
Anche per questo motivo ci appiopparono l’appellativo di “autonomi”, noi in realtà eravamo autonomi dalla logica di spartizione del movimento, ma ospitavamo tutti i compagni organizzati o meno che fossero – purché volessero lavorare.
Nel comitato di gestione c’era una varietà enorme di posizioni: dai “filoistituzionali”, ai “cattolici”, all’ala dura che riteneva impossibile il dialogo con le istituzioni. C’erano una serie di esperienze molto diversificate compatte nel proponimento che le organizzazioni non dovessero entrarci; ognuno portava le proprie idee, esperienze e modi di pensare, ma in quanto persona senza rappresentare il gruppo.
Questo era il carattere che ci contraddistingueva; tale linea emerse anche durante i funerali di Fausto e Iaio. La sera prima dei funerali si riunì infatti il comitato di gestione del centro che doveva assumersi la responsabilità del funerale. Era un periodo di estrema tensione – erano i giorni del rapimento Moro e noi dovevamo decidere come condurre il corteo.
Da quella riunione emerse l’indicazione di mandare un comunicato tramite Radio Popolare che invitava tutte le organizzazioni a manifestare, ma senza simboli di partito. Fu fatto pervenire un comunicato delle BR che esprimeva solidarietà con noi; la cosa ci creò, tra l’altro, non pochi problemi.
Stralcio del comunicato delle Brigate Rosse:
“… I proletari hanno dimostrato anche a Milano di saper scegliere i propri amici e i propri nemici, i propri interessi da quelli dei padroni!
La manifestazione dei 40.000 dello sciopero per Moro, organizzata intorno alle forze reazionarie come la DC, ha avuto giusta risposta dai 100.000 proletari in piazza per la morte dei compagni Fausto e Iaio, assassinati dai sicari del regime”.
Erano stati uccisi due compagni e i funerali dovevano essere un momento d’unione dei militanti; quindi chiedemmo di portare solo bandiere rosse e striscioni operai. L’indicazione fu rispettata; infatti quando il solito gruppuscolo (marxista-leninista-maoista, ecc.) tentò di aprire lo striscione fu bloccato dall’opposizione della gente.
Quei funerali furono una cosa imponente, furono dei veri funerali di movimento.
Dal ’78 in poi la caratteristica del Leoncavallo, di non essere legato a gruppi politici, iniziò a crearci dei problemi. Il Centro era il luogo d’incontro tra i compagni più diversi, compagni che avrebbero compiuto in seguito scelte politiche dissimili tra loro. Soprattutto noi che provenivamo da esperienze politiche precedenti, stentavamo a capire certe posizioni che si stavano affermando; ma la linea di non esclusione di nessuno dal Centro era unanimemente accettata.
Erano anni, quelli tra il ’78 e l’80, molto pesanti che imponevano spesso ai compagni delle scelte molto dolorose. Mi ricordo che se negli anni attorno al ’73 fenomeni come le BR venivano accolti con una certa simpatia (alcuni ne avevano un’immagine alla Robin Hood), più avanti ci fu tra i compagni anche chi iniziò a prenderla in considerazione. Anche in quel periodo continuavano però le attività del Centro; anzi se ne aprirono delle nuove.
Un compagno che praticava l’agopuntura aprì un centro di medicina alternativa all’interno dello stabile occupato; continuava l’attività della palestra, della Scuola Popolare, del doposcuola.
Ma tra il ’78 e l’80 il Leoncavallo perse tutto il vecchio gruppo di occupazione.
Noi della scuola popolare fummo gli ultimi ad andarcene: l’esperienza delle scuole popolari stava terminando e la nostra funzione con essa. Alcuni compagni hanno messo su famiglia, altri hanno continuato a far politica, altri non so.
Tra l’80 e l’81 il Centro cambia completamente la sua gestione grazie all’arrivo di nuovi gruppi giovanili. Io da allora ci sono andato pochissimo.
La notizia dello sgombero non mi ha colto di sorpresa, in quanto, pur non seguendo più alcuna attività del Centro mi sono occupato delle questioni legate all’area urbanistica del Leoncavallo.
Nell’85 dei compagni mi hanno chiesto di stendere un documento sulle questioni legali con l’immobiliare. Me l’aspettavo lo sgombero, perché mi sono reso conto che l’immobiliare si trovava in una posizione di forza e che era molto improbabile che un magistrato esitasse nel firmare l’ordine di sgombero.
Quando stesi quel documento, consigliai ai compagni di contattare le istituzioni per convincerle a chiedere la revisione del piano per quell’area. A mio avviso, l’immobiliare ha vinto sul piano legale per una serie di falsità; ha vinto perché l’avvocato del Comune non ha fatto il suo lavoro”, l’ha lasciata vincere.
Come dicevo in precedenza, il vincolo dell’area a servizi collettivi in realtà era stato chiesto subito al Consiglio di zona e ciò fu infatti deliberato. In teoria tale vincolo doveva apparire nella prima versione del Piano Regolatore, ma per un “errore” – mai chiarito – commesso dall’ufficio tecnico del Comune, tale vincolo non comparve nella prima versione della Variante del Piano, così l’area non fu vincolata.
La cosa – tra l’altro – fu molto strana perché la si dava per certa; infatti l’autorevole rivista “Urbanistica” uscì includendo il vincolo dell’area ai servizi collettivi. Quando ci si accorse dell’accaduto, lo facemmo presente al Consiglio di zona il quale ci disse che c’era la possibilità di fare delle controindicazioni al piano e richiedere nuovamente il vincolo; la cosa fu ottenuta.
Tra l’altro nel 1980 l’immobiliare avanzò la proposta di usufruire gran parte dello stabile, lasciandoci solo due edifici fatiscenti; ovviamente la proposta fu rifiutata.
L’immobiliare proseguì nelle sue operazioni legali: presentò ricorso al TAR e lo vinse, la cosa altrettanto accadde al Consiglio di Stato. Il gioco fatto dall’immobiliare è stato quello di presentare la prima Variante al Piano Regolare dove il vincolo non appariva ed ha accusato il Consiglio di zona di avere ceduto agli “estremisti” che occupavano il Centro senza fornire alcuna ragione del perché di tale scelta. Se la difesa del Comune fosse stata seria, avrebbe dovuto ricostruire la storia del vincolo “misteriosamente dimenticata”.
Un altro punto di forza sostenuto dall’immobiliare fu che sul Piano Regolatore la zona adiacente al Centro era ricca di servizi; posizione che formalmente era vera, ma nella realtà la cosa era facilmente confutabile. In realtà due indirizzi politici seguiti durante la stesura della Variante al Piano, hanno fregato il Centro:
a) nel ’75 si parlava d’abbandonare il tram come mezzo di trasporto urbano, per favorirne altri; questo comportava lo smantellamento dell’officina tramviaria adiacente al Leoncavallo ed il Consiglio di Zona presentò la richiesta di adibirla ad area di servizi.
Quindi guardando il Piano Regolatore si vede un’enorme area adibita a servizi, ma in realtà l’officina tramviaria non sarà assolutamente smantellata. Così solo il Centro Leoncavallo rimaneva l’unica area collettivamente usufruibile dagli abitanti.
b) L’altro errore risiede nell’illusione fortemente radicata tra la sinistra dell’epoca di mantenere le fabbriche in città. Il Leoncavallo così era una realtà un po’ “eretica” perché sorgeva su uno stabile di proprietà di un’industria farmaceutica.
In realtà le industrie se ne sono andate egualmente, ma le loro aree non sono state vincolate, così la speculazione del terziario se ne è appropriata. La politica comunale non ha voluto restituire quelle aree ai cittadini, ed i privati oggi le “valorizzano” a loro piacere.
Il Comune poteva, nel caso specifico del Leoncavallo, impegnarsi seriamente nel recuperare il vincolo in passato fatto sparire, ed evitare, così lo sgombero; fra l’altro è una lotta che si può condurre ancora.

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