Come salvare (forse) Città Studi
(Giuseppe Caravita)02/10/2015
I giochi sembrano (quasi) fatti. Entro il 31 ottobre, la fatidica data di chiusura dell’Expo, tutti (Comune di Milano, Regione Lombardia, Fondazione Fiera e soprattutto il Governo) vogliono alla cerimonia di chiusura l’annuncio del dopo Expo. Il progetto operativo per trasformare quel milione di metri quadri super-attrezzati di Rho in un grande campus scientifico e tecnologico, evitando il disastro di un’area disabitata, e poi in rovina, tipo olimpiadi invernali di Torino.
Non poco è stato già fatto. In luglio Cassa Depositi e Prestiti e Demanio hanno presentato un progetto, con cifre e grafici. Ancora prima, in febbraio, il rettore della Statale, Gianluca Vago, aveva per primo lanciato l’idea di trasportare le facoltà scientifiche dell’ateneo (Fisica, Chimica, Biologia, Agraria, Veterinaria, Informatica, Scienze naturali e Matematica) da Città Studi nell’area Expo. Una proposta salutata con entusiasmo da Assolombarda, interessata a un connesso parco tecnologico e a un sistema di incubatori di nuove imprese. Tutto recepito nel piano di Cdp, salvo un punto. Che nella società responsabile dell’area, l’Arexpo, non siede il governo, ma solo il Comune, la Regione, la Fondazione Fiera e altri soggetti pubblici minori. Ma il piano da un miliardo (venuti meno gli investimenti privati sulle aree) ha bisogno di un regista forte, di un “dominus”, come l’ha chiamato il sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
Nei prossimi giorni, così, si deciderà l’entrata in Arexpo dei rappresentati governativi, quasi certamente del ministero dell’Economia e della Cdp. E subito dopo sarà la volta di un protocollo operativo tra Arexpo e l’Università Statale di Milano. A quel punto l’annuncio per il 31 sarà possibile e credibile. E il progetto potrà decollare, con 500 milioni di investimenti sul polo universitario e oltre 200 sull’area tecnologica, oltre ai 300 necessari per le strutture aggiuntive (agenzie pubbliche, aree residenziali e sportive) del nuovo campus.
Tutto bene? Si e no. Si se consideriamo che l’abbandono al degrado dell’area Expo sarebbe stata una ferita gravissima per Milano e l’Italia. E un danno economico per centinaia di milioni (375) per il Comune e la Regione (che hanno comprato a fin troppo caro prezzo quelle aree da Cabassi, spinte dalla solita emergenza).
Si perché la realizzazione, se ben fatta e gestita (ripeto, se ben fatta e gestita), del nuovo campus di ricerca e innovazione potrebbe divenire un polo finalmente attrattivo per tanti giovani qualificati costretti a emigrare.
No, se guardiamo a ciò che questa operazione lascia dietro di sé. Ovvero l’abbandono di Città Studi, con un’area svuotata di dipartimenti e studenti valutata dalla Cdp in 180 milioni.
Eppure qui basterebbe usare la logica per trovare una soluzione. Città Studi, oltre che dalla migrazione della sue facoltà scientifiche, è oggi oggetto di un’altra migrazione. Quella che passa sotto il nome di Città della Salute. Ovvero il trasferimento di due istituti sanitari di rilievo internazionale, il neurologico Besta e l’Istituto Nazionale dei Tumori (Int), in una nuova sede comune, dopo varie vicissitudini individuata dalla Regione Lombardia nell’area Falck di Sesto S. Giovanni.
Qui tutti gli esperti, però, convengono su un punto. L’Int non ha quasi nessuna necessità di muoversi dalla sua sede attuale (la sua maggiore criticità è il controllo della falda freatica sottostante) e ha strutture moderne. Chi ha davvero bisogno di una nuova sede è il vetusto fabbricato del Besta.
Ma, guarda caso, con la migrazione all’Expo della Statale si apre davanti a lui, sul marciapiede opposto di via Celoria, un grande spazio libero, che arriverà fino a Via Venezian, ai muri dell’Int.
La città della Salute, secondo il progetto di Renzo Piano a Sesto, dovrebbe costare la bellezza di mezzo miliardo di euri di danaro pubblico. Quanto invece costerebbe la nascita di una nuova sede del Besta sull’altro lato di Via Celoria? 80-100 milioni? Duecento metri di trasferimento contro 30 chilometri fanno la differenza. E l’area di Via Celoria potrebbe sì divenire una vera città della salute, con nuovi ambulatori dell’Int, e centri di ricerca nelle neuroscienze.
Non solo. Il Politecnico potrebbe fare la sua parte, con la sua nuova possibile aula magna e altre strutture. Alla fine avremmo una Città Studi non snaturata, senza ipermercati o cemento residenziale, con un campus più grande e una rafforzata vocazione sulle scienze della vita.
Il progetto del nuovo campus sull'area Expo