Come sarà il primo bilancio partecipativo di Milano

Nella gara indetta dal Comune per il bilancio partecipativo da 9 milioni di euro (il maggiore finora in Italia) che partirà a breve Avventura Urbana e Irs sono in testa. Ed ecco come Jolanda Romano, leader della squadra, descrive il prossimo percorso. Ascolto diffuso, poche votazioni, molto lavoro di commissione, molta risoluzione di conflitti e proposte finali generalizzate su cui votare. Modello Torino.
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romano

Iolanda Romano (Avventura Urbana) e Erica Melloni-Irs spiegano il loro progetto di bilancio partecipativo a Milano in occasione dell’incontro dei Comitati per Milano tenutosi all’Acli-Lambrate sabato 9 maggio.

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Come sapete abbiamo partecipato, noi di Avventura Urbana con capofila Irs, al bando del Comune sul bilancio partecipativo. L’aggiudicazione di questa gara non è ancora completata, e quindi noi speriamo di poterla vincere, ed essere parte attiva in questo cambiamento.

Sono molto contenta di essere qui in un circolo Acli-Arci…, parte del nostro raggruppamento.

Per costruire un’esperienza di successo noi abbiamo pensato a un raggruppamento inclusivo di soggetti di prossimità, radicati sul territorio. Con circoli, mailing list, una consuetudine di partecipazione.

Nel caso di Milano il bilancio partecipato prevede un milione di euro per zona. Tanto.

E sulla gara Qui siamo in pole position.

Erica. Preciso che il bilancio partecipativo è solo per interventi infrastrutturali, non formazione, progetti sociali. Ma solo opere pubbliche.

Romano. Interventi in conto capitale, quindi. La connotazione metodologica della nostra proposta si basa proprio su questo. L’idea di moltiplicare le risorse. Cosa avviene normalmente in un bilancio partecipativo, più o meno in tutto il mondo? Si fanno assemblee pubbliche, si raccolgono idee-progette e queste vengono messe a voto, sulla cittadinanza allargata. Nel caso di Milano è stato scelto di utilizzare anche il voto elettronico, e messo nel disciplinare di bando.

A nostro avviso questa modalità di lavoro, di creare progetti vincenti e progetti perdenti, è sbagliata. Perché alla fine introduce un elemento inutilmente conflittuale tra le idee dei cittadini facendo prevalere con un criterio unicamente quantitativo alcune idee su altre. Il criterio quantitativo cosa si porta dietro? Ovviamente la capacità di mobilitare voti. E quindi di fare lobbies, relazioni. Certo, c’è anche l’articolazione dei territori.

Nel nostro comitato scientifico noi abbiamo Luigi Bobbio e Bruno Dente, che sono due dei maggiori esperti di politiche pubbliche in Italia e non solo, che hanno studiato molti altri casi, in Italia e Europa. E questo meccanismo di fare dei vincitori e vinti, come se fosse una lotteria, finisce per privilegiare non necessariamente i progetti migliori per il territorio. Da una parte quelli più sponsorizzati, dall’altra quelli sostenuti da gruppi già forti, che tendono a fare pressioni per i loro campi di calcio, piuttosto che la sede del loro circolo, il giardinetto per un gruppo di famiglie.

Secondo noi non è un approccio interessante, va bene per il Brasile dove c’è una democrazia completamente nuova, ma non per noi, con un tessuto sociale consolidato.

E quindi abbimo fatto una proposta nella quale non si va dai progetti al voto. Ma si fa un’attività molto articolata di ascolto in tutte le zone e tutti i quartieri, attraverso i circoli del raggruppamento, ovvero Arci e Acli. E in più tutti coloro che vorranno offrirsi per organizzare degli eventi, dove metteremo a disposizione un facilitatore e strumenti informativi. Perché si arrivi là non soltanto pensando alla buca sotto casa, ma si capisca come è fatto un bilancio, cosa significa un investimento in conto capitale piuttosto che una spesa corrente.

Quandi una batteria di incontri a spron battuto per enfatizzare al massimo l’ascolto dei bisogni. Che non vuol dire la raccolta dei progetti. Perché più bisogni possono essere soddisfatti da uno stesso progetto. Mentre tanti progetti è difficile metterli assieme, finiscono per entrare in competizione.

Quindi il nucleo metodologico della nostra proposta è di cercare di capire le esigenze più diffuse, attraverso la fase di ascolto. Faremo poi una fase che abbiamo chiamato deliberativa, ovvero di co-progettazione con i cittadini, una parte dei cittadini, una selezione dei cittadini dei diversi contesti, scelti per provenienza, faremo dei gruppi un po’ tipo questo (ndr una ventina di persone), uno per ogni zona. E, sulla base delle esigenze, i cittadini dovranno farsi interpreti dei bisogni emersi anche da altri cittadini e costruire dei progetti che dovranno rispondere il più possibile a tutte le esigenze. E’ un’operazione che richiede un’attività di facilitazione, e di mediazione dei conflitti un po’ esperta, perché bisogna portare le persone a ragionare da “questo è il mio progetto e mi batto per questo” a quante sono le esigenze dei cittadini che vivono nella mia zona, vediamo come insieme possiamo risolverle.

Vi faccio un esempio pratico, perchè questo noi l’abbiamo realizzato nella città di Torino. Ma lì l’approccio metodologico non era stato definito dall’inizio ma aggiustato via via. E lì avevamo una commissione deliberativa di cittadini estratti a sorte ds una lista su 15 persone. E c’era la mamma parte del comitato dei genitori del giardino Buscaglione che voleva spendere tutti i 500 mila euro sui giardini, c’era il signore che voleva metterli solo sulle spallette della Dora, c’era quello che voleva la casa del quartiere…

Con una testa un voto avremmo avuto una dispersione di questo tesoretto su tanti piccoli impegni. Invece abbiamo lavorato su tre proposte, tutte all’unanimità. E nella tre c’erano le esigenze un po’ di tutti. Degli anziani, degli stranieri, dei bambini, della mobilità sostenibile, delle energie rinnovabili. Della partecipazione.

Questa la filosofia del nostro progetto.

Il bilancio partecipativo è infine importante perché è uno strumento ciclico. Si fa ogni anno. Quindi è una opportunità immensa. Per l’ascolto dei bisogni. Molti non potranno essere soddisfatti dal primo giro di 9 milioni di euro. Ma con l’anno successivo che costruisce sul precedente, anche in base alla valutazione di ciò che ha fatto l’amministrazione. Diventa uno strumento strategico.

A Torino la circoscrizione (l’analogo del consiglio di zona milanese) abbiamo deciso di tenerla fuori dalla fase deliberativa. I consiglieri potevano partecipare alle assemblee di ascolto solo come osservatori. E’ stata una nostra richiesta, pattuita con loro, perché i cittadini lavorassero da soli. Perché la forza di un consigliere, con le informazioni e la capacità di politica che ha, avrebbe generato, in una sessione partecipativa, momenti di squilibrio molto forti.

Mentre i momenti di condivisione con la circoscrizione li facevamo noi facilitatori, in un gruppo nutrito di una quindicina di persone. In cui sono emersi molti progetti messi in cantiere dalla circoscrizione, ma di cui i cittadini erano all’oscuro. Non volevamo commistioni: né il cittadino come piccolo consigliere, né il consgliere come cittadino.

Alla fine i tre progetti elaborati sono stati messi in votazione. E ha vinto la proposta sul verde, un progetto diffuso su tanti piccoli spazi verdi. L’abbiamo chiamato un paniere attivo su più punti della circoscrizione.

(a cura di Beppe Caravita)


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