Città Studi: conviene dimezzarla?

Due grandi ondate migratorie si profilano: l'esodo del Besta e dell'Istituto Tumori verso Sesto San Giovanni e ora la dipartita di tutti i dipartimenti scientifici della Statale verso l'area Expo. Ambedue scelte fatte dalla politica. Risultato: oltre metà di Città Studi spopolata nel giro di pochi anni. Ma c'è qualcuno che, oltre a servirsi a piene mani delle sue eccellenze, pensa al suo futuro?
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piazza leonardo

Via Celoria, anno 2018. Sulla sinistra, percorrendola verso via Golgi, l’usuale mole del Politecnico. Ma sulla destra il silenzio. I palazzi vuoti di quella che fu Agraria, poi Fisica sprangata e di fronte le orbite vuote del Besta, trapiantato a Sesto San Giovanni, area Falck. E poi ancora le sedi chiuse della Statale, chimica, biologia. E su via Golgi ancora, fino ai grandi edifici dell’Istituto dei tumori anch’essi sbarrati, causa, ancora, città della Salute di Sesto.

In pratica. Il grande rettangolo di Città Studi più che dimezzato, e di colpo. Dopo oltre un secolo di sviluppo scientifico e didattico, dopo un primato mondiale nella medicina nucleare (Int più facoltà di Fisica) e nelle neuroscienze applicate (Besta più bioscienze). Tutto abolito, di colpo,da scelte politiche. C’è un problema? La grande operazione immobiliare sull’area Falck di Sesto non decolla? Bè portiamo là il Besta e l’Istituto Tumori a farvi da "volano". Il milione di metri quadri dell’area Expo resterà invenduto? Ok, una meravigliosa nuova città della scienza e dell’innovazione con i dipartimenti scientifici della Statale e anche un parco tecnologico per le nuove imprese. Progetto bellissimo, quest’ultimo (sulla carta finora). Ma a Città Studi depredata, dimezzata, ci ha pensato qualcuno?

Si possono spostare culture, organismi di alto livello come se fossero pezzi su una scacchiera? C’è in itinere, o almeno annunciato negli intenti, un piano urbanistico per ripensare la zona dopo le due grandi migrazioni (sempre che avvengano realmente). Oppure sarà la svendita sottocosto dei palazzi universitari e dei grandi edifici sanitari? Oppure ancora, più prosaicamente, saranno abbattimenti e poi magari nuovi parcheggi. Di sicuro l’Università Statale ha bisogno, per finanziarsi la nuova città della scienza a Rho, di vendere al meglio i suoi 40 palazzi e aree possedute. Magari con un intermediario come Cassa depositi e Prestiti. Di sicuro Besta e Istituto dei Tumori dovranno vendere per non restare indebitati fino al collo nella Città della Salute di Sesto, bella ma piuttosto costosa. E vendere significa vendere Città Studi alle aziende immobiliari. Ai grossi calibri del cemento, che non sono esattamente dei filantropi. La logica del mercato è stringente, oltre metà dell’area potrebbe essere coperta da un centri commerciali, parcheggi e anonimi condomini residenziali.

Addio quindi al sogno (finora rimasto tale) di un grande campus sostenibile. Forse solo intorno al Politecnico ci sarà qualcosa del genere.

Che la città della Salute sembri ormai un destino ineluttabile lo testimonia lo sblocco dei permessi da parte del Ministero dell’Ambiente sulle bonifiche nell’area Falck. Anche se a rilento, i lavori sono ripresi e la Regione ha posticipato al 2020 la chiusura dell’opera. Si va lenti perché il doppio istituto sanitario doveva fare da “volano” per la cementificazione (oops, edificazione) di tutta l’area ex siderurgica. Ma qui i capitali e il mercato pagante ancora latitano.

L’area Expo è un problema per alcuni aspetti simile. Il riuso, dopo la grande manifestazione, del milione di metri quadri acquistati da Regione, Comune e Fondazione Fiera (oggi in Arexpo) non si è dimostrato appetibile dalla pura domanda di mercato. Il bando per la prenotazione sulle aree è andato deserto. Il rischio è che gli enti pubblici restino con un grosso, grosso cerino in mano. Ed ecco quindi l’idea di un altro “volano”. Il campus scientifico della Statale, trasportato in blocco, e connesso un nuovo parco tecnologico. Benissimo, dicono non pochi docenti, se questo sarà un campus fortemente attrattivo per gli studenti (abbastanza quantomeno per reggere l’oretta di metrò per arrivarci da Città Studi e altri luoghi di Milano). Qui varrebbero ampi spazi, dotazioni sportive, residenze, persino aree (sognano i fisici) per la grande ricerca, compreso un super-laser e un acceleratore di particelle milanese, in una nobile disciplina italiana però ormai sempre più gravitante sul Cern di Ginevra.

Purtroppo i segnali sono opposti. La bella città della Salute disegnata da Renzo Piano finiranno per pagarsela gli istituti sul fondo rotativo ospedaliero della Regione. E sul fronte Expo Gianluca Vago, rettore della Statale, oggi chiede 250 mila metri quadri gratuiti (pari a quelli attuali di Città Studi) per la nuova città della scienza (un quarto dell'intera area Expo).

Su questi la stima è di investire 400-450 milioni per le strutture universitarie, traendole da 200 milioni già a bilancio dell'università per l'ammoderamento di Città Studi, altri 100 che potrebbero venire da un fondo della Cdp che prenderebbe incarico i 40 edifici esistenti, e infine (forse) 100-150 da fondi europei o finanziamenti della Bei (Banca europea degli investimenti).

Ok, manca però un grosso tassello (nascosto): il costo astronomico delle bonifiche dell'area Expo dove qualcuno negli scorsi anni ha compiuto un errore colossale. Ha accreditato nel contratto con i precedenti proprietari dell'area (Cabassi e Fiera), che dovevano sostenere comunque i costi di bonifica, un tetto massimo di 6 milioni di euro. Poi si è scoperto che l'area è pesantemente inquinata (amianto, idrocarburi, rifiuti urbani e speciali...) per il 10% della sua estensione. E, passo dopo passo, alla fine i costi sono lievitati, nell'ultima revisione del contratto con la Cmc a ben 127,5 milioni.  Una cifra che resterà quasi tutta a carico degli enti pubblici acquirenti e che è ben difficile che possa essere abbuonata all'università e al parco tecnologico, a meno di prezzi per i (restanti) privati astronomici.

Forse è per questo che Vago, pochi giorni fa, in un’audizione in Regione, ha cominciato una netta marcia indietro. Per i proprietari (Arexpo) il regalo dei 250mila metri quadri sarebbe un po’ troppo impegnativo. Meglio studiare sedi universitarie a più piani, dice ora il Rettore. Per risparmiare prezioso (e costoso) spazio (immobiliare). Grattacieli didattici? Mai visti al mondo. Ai primi cinque piani Fisica,agli altri cinque Agraria, ai restanti tre Bioscienze. Di sicuro, così, addio al campus promesso, giratosi rapidamente in una strana postura verticale.

Un tempo si sarebbe detto. Le nozze coi fichi secchi.

Conviene quindi davvero dimezzare Città Studi?

 


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Re: Città Studi: conviene dimezzarla?
14/04/2015 Ennio Galante
Ho letto gli interessantI interventi di Giuseppe Caravita, li condivido e sono preoccupato. Vorrei aggiungere qualche altra osservazione derivante dalla mia esperienza di trentotto anni tra Facoltà di agraria e Area di ricerca del CNR (v. Bassini 15), dove attualmente ci sono 7 istituti.

Quando si affronta la problematica delle ipotesi di ristrutturazione di questa area bisogna tener presenti alcuni punti base. (1) La creazione della Città degli Studi risale ad una impostazione urbanistica del 1911 (v. Vercelloni, “Storia della città e dell’idea di città”, in MILANO DURANTE IL FASCISMO 1922-1945, pp. 181-216, ed. Cariplo 1994). In quegli anni era maturata la necessità di trasferire alcune “scuole superiori” (ancora non si chiamavano università), ingegneria e agraria, dalle anguste sedi di Piazza Cavour in uno spazio più adeguato, ma all’interno della cerchia ferroviaria. Il completamento fu realizzato alla fine degli anni venti-inizio trenta. (2) Oggi il perimetro di Città Studi (v. Colombo, P. L.Da Vinci, vie Bonardi - Bassini, vie Valvassori Peroni, Botticelli –Venezian-Vanzetti) comprende, oltre ai dipartimenti della Statale (1° triennio di Medicina, Chimica, Fisica e INFN, Biologia, Agraria,Veterinaria, Matematica), il Politecnico, l’Istituto dei Tumori e il Neurologico Besta, il CNR, le stazioni sperimentali per le industrie degli Olii e grassi e della Carta, l’Istituto sperimentale per le industrie alimentari CRA-IAA (v. Venezian). Tutte queste istituzioni scientifiche hanno sviluppato e consolidato, soprattutto negli ultimi sessanta anni,notevoli interazioni sia sul piano della ricerca che della didattica. (3) A Milano, e prima nelle altre città italiane, le Università sono sorte all’interno dei centri urbani. (4) Trasferire alcune delle facoltà a Rho vorrebbe dire diminuire il potenziale scientifico derivante dalla compresenza e collaborazione (cross fertilization) nel contesto socio-culturale della città. (5) Già alcuni decenni fa si era discusso di trasferire agraria e veterinaria a sud di Milano, ed il CNR a nord-est. Poi queste soluzioni sono cadute, anzi il CNR ha comprato l’area tra le vie Bassini e Corti. In conclusione, penso che l’attuale proposta sia basata su logiche di rozza speculazione finanziaria piuttosto che scientificamente funzionali. Milano dimostrerebbe la mancanza di visione culturale-scientifica contestuale alla città: meglio espellere la scienza e sostituirla con un mega mall per gli oligopoli commerciali (dei quali è già pieno l’interland milanese).

Ennio Galante


Re: Città Studi: conviene dimezzarla?
13/04/2015 ErmannoFugazza
Condivido totalmente che passeremo dalla Citta degli Studi alla Citta' del Deserto.L'incredibile e' che sulla Citta' della Salute(presumo che Niguarda o il Policlinico siano Citta' della Malattia)non esiste uno straccio di studio con Costi e Benefici di questo faraonico progetto. Il costo prevedibile, forse un miliardo di euro contro il mezzomiliardo previsto,il trasferimento di migliaia di dipendenti e del relativo indotto,non pare interessare classe politica e neanche gli stessi lavoratori ed abitanti.
Ermanno Fugazza


Re: Città Studi: conviene dimezzarla?
12/04/2015 Yuri
Nel frattempo sarebbe auspicabile che partisse effettivamente la riqualificazione di piazza Leonardo e magari che si facesse altrettanto per la zona nei pressi della piscina, davvero da terzo mondo. Muri imbrattati, pali sporchi, cestini indecenti, piscina lasciata al degrado più assoluto. Il Politecnico deve assumersi l'onere di questo pezzo di città.


Re: Città Studi: conviene dimezzarla?
10/04/2015 margbonit
Al solito, conviene ai soliti ignoti fare questi spostamenti e non alla collettività.


Re: Città Studi: conviene dimezzarla?
09/04/2015 Giuseppe Maria Greco
L'ambizione sgorga da tutti i pori di chi desidera farsi il suo campus all'americana. L'importante è che questa malattia non faccia danni anche alla popolazione di zona. Se ad esempio si trasformasse Città Studi in Città della Cultura (o delle Culture), mantenendo quindi un flusso di persone che non cambino ma arricchiscano la zona, sia economicamente che qualitativamente. Naturalmente occorre valutare costi e ricavi, ma questo è affare d'altri. Voglio dire che fare delle ipotesi senza pensare alle conseguenze è una cosa che fa vergognare le statue dei fondatori del Politecnico, quelle in piazza Leonardo, perchè non è accettabile che persone che rappresentano la cultura facciano proposte prive di cultura.


 
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