I cittadini e la Costituzione

Serve parlare ancora di riforme della Costituzione e della legge elettorale? L'incontro con Gustavo Zagrebelsky e Walter Tocci lunedì 2 marzo 2015 alla Casa della Cultura.

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E' per me sempre piacevole leggere gli scritti e ascoltare gli interventi di Gustavo Zagrebelsky, per la precisione del linguaggio che usa, per la chiarezza espositiva e per il rigore delle argomentazioni con cui affronta i temi in discussione. Sarà per questo che non ho voluto perdere l'occasione di partecipare all'incontro di lunedì 2 marzo alla Casa della Cultura, anche se devo confessare che il tema in programma non mi attirava in modo particolare, anzi suscitava quasi disinteresse, legato probabilmente al crescente disagio che mi deriva dall'apprendere le notizie diffuse ogni giorno da televisione e stampa sugli accadimenti politici italiani.

E proprio citando questa sensazione di disinteresse ha esordito Zagrebelsky; siamo stanchi di sentir parlare di Costituzione, di riforme del titolo V, di abolizione del Senato, di bicameralismo perfetto, eccetera, eccetera e aumenta la tentazione di occuparsi d'altro. Ma occorre comunque riflettere e rendersi conto che qui c'è in ballo la concezione stessa della democrazia. Non possiamo rinunciare a prendere posizione.

Siamo da anni di fronte alla crisi della “politica”, come tutti dicono, e si sta pensando di risolvere questa crisi riformando le istituzioni, invece della “politica”, per non correggere il male ci si occupa d'altro. Certo la Costituzione è da adeguare e rivedere, e furono gli stessi estensori ad avere questa preoccupazione, ma oggi siamo di fronte a un'operazione di mistificazione volta a distogliere l'attenzione da ciò che va profondamente sanato e che non è l'istituzioni in sé, ma la “politica”. 

La democrazia nella società moderna deve rendere possibile la scelta delle modalità con cui vivere insieme, definire le regole a cui tutti debbono sottostare, attraverso il confronto delle diverse posizioni e opinioni, motivate dalle differenti visioni politiche, anche in relazione al maggior o minor favore che un indirizzo gode nella popolazione rispetto ad altri. Esiste oggi in Italia questa possibilità?

Oggi il compito del governo è interpretato in senso meramente esecutivo e le decisioni sono soggette al plebiscito quotidiano del mercato, del mercato finanziario che impone le sue regole alla politica. Se gli investitori non trovano conveniente acquistare i titoli di stato, lo stato può fallire, dichiarare default. Bisogna avere i conti in ordine per onorare il debito pubblico nei confronti degli investitori, questo l'imperativo categorico, ormai acquisito come dato di fatto, che non si può mettere in discussione. In questa situazione la politica diventa un fatto aziendale ed i governi assumono un ruolo essenzialmente operativo, tecnico; non si lavora per attuare la giustizia, la solidarietà sociale, il rispetto dei doveri, la difesa dei diritti, ma per far quadrare i bilanci. La modificazione della politica in tecnica di governo non ammette il confronto delle opinioni. Il tecnico sa (o dovrebbe sapere) come fare e in quanto tecnico non ha bisogno di altri pareri per compiere il suo lavoro. Pareri diversi e voci contrarie non sono da prendere in considerazione. Quindi non si discute sulle riforme e non vengono accettate idee difformi da quelle dell'esecutivo.

Le riforme costituzionali andrebbero valutate nel contesto della legge elettorale che necessariamente le deve accompagnare. Una legge elettorale dovrebbe dare voce agli elettori e rappresentare la volontà dell'elettorato, quella all'esame dell'esecutivo è invece concepita per escludere le minoranze e modulata a seconda degli interessi dei partiti di maggioranza. Si mira ad un sistema bipolare, favorendo chi raccoglie più voti in misura sproporzionata rispetto al reale peso elettorale per garantire al “vincitore” la “governabilità” (termine incongruo e non certo corretto se ci riferiamo al governo della cosa pubblica). La democrazia costituzionale non parte dal vincitore, parte dal basso, dalle associazioni, dai cittadini, dai partiti, si attua nel pluralismo del parlamento, che deve poter rappresentare tutti e dove una maggioranza esprime una linea politica di governo. Per ciò è del tutto anomalo, in democrazia, che le funzioni di premier e di segretario di partito confluiscano nella stessa persona, permettendole di condizionare con il ricatto della governabilità la dialettica interna che dovrebbe essere una condizione irrinunciabile nella vita di un partito democratico.

C'è da aggiungere che questo parlamento è stato eletto con una legge dichiarata incostituzionale, in quanto non viene adeguatamente rispettato il rapporto di rappresentanza degli eletti in rapporto agli elettori, la prima ragione della crisi in cui versa la politica. Le riforme costituzionali diventano allora l'alibi dietro cui trincerarsi per non affrontare e risolvere il male che ci affligge e il tarlo che indebolisce il parlamento.

La miglior Costituzione possibile nelle mani di una cattiva classe politica non può permettere certo di determinare un buon governo. Un governo decisionista, retto da un premierato assoluto, non può che favorire i gruppi portatori di interessi forti e creare le condizioni per mutare il regime democratico in regime oligarchico, il dramma perenne con cui, per sua natura, la democrazia è sempre destinata a confrontarsi.

L'intervento di Walter Tocci ha dato corpo alle argomentazioni di Zagrebelsky e confermato come, a suo avviso, le riforme costituzionali e la legge elettorale in preparazione stanno portandoci verso una forma di governo riconducibile ad un premierato assoluto senza contrappesi, in grado di svolgere la funzione esecutiva e quella legislativa di fronte ad un parlamento a camera unica, su cui può esercitare un pieno controllo, col potere di decidere su questioni fondamentali, diritti, giustizia, educazione, lavoro, ambiente. Già oggi si procede con leggi delega, tramite votazioni di fiducia per evitare ogni confronto parlamentare, in nome dell'efficienza. In realtà c'è un'alluvione di leggi, caotiche, scritte male, a volte incomprensibili, da correggere in seconda lettura in questo Senato che si vuole abolire, leggi spesso da emendare non appena approvate.

Negli ultimi vent'anni abbiamo avuto un bipolarismo distruttivo e lo stiamo rafforzando. Avevamo rafforzato le autonomie locali e ora si lavora in direzione contraria. Bisognava riformare la forma partito e invece si smantella l'impianto costituzionale che ha consentito sino ad oggi un effettivo bilanciamento dei poteri.

Cosa fare? Domanda a cui è difficile rispondere, ma che è stata ovviamente posta ai relatori.

Tocci ha ricordato che le riforme costituzionali dovranno essere sottoposte a referendum e quindi i cittadini potranno esprimersi in merito, che la legge elettorale proposta sembra ricalcare da vicino il porcellum e quindi sotto vari aspetti appare incostituzionale. Difficilmente potrà essere approvata dalla Consulta se non recepirà almeno in parte i requisiti di costituzionalità già ribadititi nella sentenza con cui si è rigettato il porcellum. E' importante quindi che il dibattito prosegua al di là delle continue mistificazioni con cui si tratta l'argomento.

Cosa dire come cittadino? Certo che bisogna superare la stanchezza e vincere l'indifferenza, ma i tempi non appaiono dei migliori.


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