Tratta e prostituzione. Corpi in vendita: il denaro, il grande mediatore
Il dibattito è acceso, ma, come osserva Suor Claudia Biondi della Caritas Ambrosiana introducendo i lavori, la trattazione della tematica apparirà sempre riduttiva rispetto alla sua complessità e ampiezza. Questa richiederebbe, piuttosto che facili e veloci risposte, “un lavoro formativo e culturale” capace di guardare a fondo dentro il fenomeno e di andare al di là dei luoghi comuni in cui sembra relegato.
Per rispondere, seppur parzialmente, a questa esigenza di approfondimento sono stati messi a confronto due relatori appartenenti ad ambiti culturali molto differenti: don Stefano Cucchetti, sacerdote e docente di etica sociale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano, e Lea Melandri, presidente della Libera Università delle Donne, attivista del movimento delle donne e giornalista.
Don Cucchetti ha proposto una riflessione sul ruolo del denaro, che intreccia da una parte la filosofia del denaro di Georg Simmel e dall’altra richiami evangelici e riferimenti alla spiritualità francescana, della quale sottolinea l’importante ma poco conosciuto ruolo storico nella svolta medievale verso un’economia di mercato e monetaria, nella quale tuttora viviamo e nella quale la prostituzione stessa si situa in quanto oggettivazione del corpo che diviene così merce, vendibile. Il denaro, infatti, per sua caratteristica rende possibile lo scambio spogliando le cose dal loro significato soggettivo, dal valore che esse possiedono “per me” (la mia casa, l’orologio che mi ha regalato mio padre prima di morire, il mio corpo…), traducendo questo significato e valore soggettivi in un mero valore di mercato, in un prezzo oggettivo e valido universalmente. In questo modo, il denaro sembra perdere la sua “puzza” e tutto diventa vendibile/comprabile.
Si tratta allora, dice don Cucchetti, non tanto di cercare un’uscita dal sistema economico monetario quanto piuttosto di tornare a sentire “l’odore dei soldi”, di restituire cioè al denaro il suo spessore soggettivo e qualitativo, e quindi il suo valore di mediazione non di oggetti dal valore meramente quantificabile ma di relazioni tra soggetti, smascherando l’ipocrisia di fondo nell’uso del denaro che finge di non vedere proprio questo legame soggettivo sotteso al rapporto commerciale.
Da parte sua Lea Melandri ha articolato un lungo discorso ben poco lineare, a tratti tortuoso, talvolta precipitoso al limite dell’inafferrabile, dai molteplici riferimenti: al pensiero delle donne, a quello sviluppato in seno all’associazione Maschile Plurale, all’antropologia culturale di Paola Tabet, a Freud, a Otto Weinenger, alle posizioni espresse da Paola Covre e Carla Corso…
Lea Melandri rifiuta di fermarsi sulla consueta contrapposizione tratta/lavoro da regolamentare che sembrano rimandare a contesti e situazioni antitetiche - criminalità e sfruttamento da un lato, libera scelta di vita autonoma dall’altro. In realtà questa visione scissa allontana da noi il problema oggettivandolo in sfere a noi estranee - quella della giustizia o delle scelte personali individuali - ed elude le domande di fondo alle quali il fenomeno prostituzione rimanda e nelle quali siamo noi stessi implicati nel nostro essere nel mondo: domande sulla cultura, la storia, sul rapporto di potere tra i sessi, sui legami ambigui tra prostituzione e famiglia (dalla quale provengono i clienti come padri, mariti, figli, fratelli); sulle forme occupazionali oggi più diffuse che a loro volta rinviano a un “contesto prostituzionale allargato”, quello di un mercato del lavoro sempre più precarizzato dove si tratta di “vendersi bene e rendersi appetibili”, mettendo in gioco non solo competenze e professionalità ma anche “carte corporali” e relazionali. Lo stesso ruolo del denaro, tema centrale del seminario, non può, in quest’ottica più ampia e profonda, essere ridotto a quello del puro scambio economico, ma chiama in causa esperienze remote e intime (il rapporto col corpo della madre, colei che eroga le prime cure ma anche le prime sollecitazioni sessuali, in primis).
Il lungo e complesso percorso di riflessione offerto da Lea Melandri non è pervenuto perciò a nessuna risposta, nessuna soluzione magari definitiva al problema ma anzi ha sollevato nuove domande e nuovi dubbi, tenendo ferma solo la necessità di mettere in questione anche noi stessi e noi stesse, senza lasciarsi prendere dall’ansia regolamentativa che tali questioni di fondo vuole appunto liquidare.
Un dibattito aperto quindi, non conclusivo che, inevitabilmente, ha lasciato in sospeso molti punti (dalla responsabilizzazione del cliente alla prostituzione maschile alla prospettiva di una prostituzione in una società “liberata”) e che forse non ha appagato l'esigenza da parte del pubblico presente, di una risposta in un’ottica di maggior pragmatismo.
Questa "ansia di risoluzione", che caratterizza il dibattito odierno sul fenomeno e che era presente anche in sala, rende l’opinione pubblica - e i suoi referenti politici - poco propensa a percepire l’invito all’attesa, alla pausa di riflessione ulteriore che l’intervento di Lea Melandri conteneva.
D’altronde, trovare risposte ultimative non era l'obiettivo del seminario indirizzato più all'apertura e approfondimento che alla soluzione della “questione prostituzione” comunque intesa - emergenza sociale, sfruttamento, ordine e decoro pubblico, lavoro da regolamentare (e magari tassare). Sicuramente tutta un'altra cosa.
Chiara Santacroce