Principi e tecniche del gruppo di lavoro (III parte)

Terza puntata del contributo ricevuto da Sergio De La Pierre, con cui l'autore intende offrire spunti teorico-pratici circa la creazione e gestione di un gruppo di lavoro, impegnato nella progettazione partecipata in ambito territoriale. Indagata la "dimensione plurale" dell'individuo e la diversa natura dei gruppi,  l'autore affronta nello specifico le caratteristiche di un gruppo di lavoro: regole condivise alimentano il senso di appartenenza. Primi accenni alla figura del "facilitatore".  ()
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Secondo Di Nubila il gruppo che risponde alla fase evolutiva dell’integrazione si può propriamente chiamare “gruppo di lavoro”.
Questo tipo di gruppo deve inevitabilmente essere passato dalle fasi dell’interazione e dell’interdipendenza; si presta (anche se non necessariamente) a svolgere ruoli complessi (avere finalità di discussione, formazione, progettazione…).
È evidente che il gruppo di lavoro, come qualunque altro, ha una qualche finalità o obiettivo. Ma la sua caratteristica non è questa, bensì che esso punta a un compito in quanto tale, nel quale i membri del gruppo si identifichino.

Per questi motivi nel gruppo di lavoro sono essenziali molta chiarezza e rigore nei metodi, procedure, definizione di ruoli, obiettivi, fasi del percorso (team-building) ecc., e questo con lo scopo di giungere appunto alla creazione di uno “spirito di gruppo”, di un senso di appartenenza al gruppo da parte di tutti i suoi membri.

In sintesi, occorre che il gruppo:

a) definisca in via preliminare e condivisa, nel modo più chiaro possibile, il proprio compito, i suoi obiettivi finali e quelli intermedi (quelli che si chiamano anche obiettivi di vision e di strategie/mission);

b) definisca chiaramente il contratto di formazione e/o autoformazione col conduttore/facilitatore/formatore. La “formazione” qui possiamo intenderla in un duplice senso: come acquisizione “esperienziale” di diverse competenze da parte dei membri del gruppo (ogni gruppo se vogliamo ha un aspetto “formativo” anche se non è strettamente un “gruppo di formazione”); ma soprattutto come contratto bilaterale di formazione/costruzione del gruppo stesso, impegno reciproco a implementare una serie di tappe e obiettivi concordati in via preliminare;

c) il gruppo deve elaborare un suo metodo, anche in progress, comprensivo di norme, regole sui tempi di lavoro, valori di riferimento, alternanza tra attività pratiche e formative, uso delle risorse, vincoli, regole di ingresso nel gruppo, forme di responsabilizzazione dei membri (ad es. nella stesura dei verbali, preparazione delle riunioni, eventuale partecipazione a sottogruppi di lavoro…);

d) la comunicazione interna è fondamentale come elemento imprescindibile della crescita del gruppo e dell’auto-formazione, nel senso dell’apprendimento concreto di processi di tipo interattivo, ascolto attivo, gestione dei conflitti ecc.
L’importante è porre attenzione e cura al “clima” del gruppo, favorirne una buona densità relazionale e un clima caldo, di scambio-confronto di idee, immaginari, sogni e attività concrete;

e) attenzione autoriflessiva ai ruoli nel gruppo, sia formali che informali. I primi vanno definiti in modo preciso, anche se possono essere ridefiniti in corso d’opera. I secondi (ma anche i primi) vanno analizzati autoriflessivamente nelle loro configurazioni positive e negative.
È un po’ difficile che esistano ruoli “formali” negativi, ma persone che li “incarnino” in modo negativo sì, ovviamente.
La letteratura specializzata poi si è sbizzarrita nel definire e analizzare una miriade assai variegata di ruoli informali, e un gruppo “esperto” deve prima o poi imparare a identificare (con atteggiamento positivo e/o di soluzione creativa di eventuali conflitti) vari tipi di “personaggi” interni al gruppo, che vanno da quelli che svolgono ruoli di sostegno (interloquiscono positivamente con gli altri, si riferiscono al rispetto delle regole, sostengono le risorse…) a quelli che finiscono con l’assumere vere e proprie “parti” nel teatrino della vita di gruppo: il narcisista, l’egocentrico, il dominatore, il disturbatore, il gregario… fino all’oppositore e al contestatore… Ma, come si può intuire, in un gruppo di lavoro è imprescindibile un ultimo requisito, che in realtà è fondamentale qui più che in ogni altro tipo di gruppo: la leadership.

La leadership
Il motivo centrale dell’importanza della leadership non è tanto, come potrebbe sembrare dalle ultime righe del punto precedente, quello di dar regole o magari “contenere” comportamenti negativi di certi membri del gruppo.
Più importante ancora è un motivo collegato al carattere di fondo del “gruppo di lavoro” come caratterizzato dalla dimensione dell’integrazione: in questo tipo di gruppo infatti si realizza il miglior equilibrio tra la soddisfazione dei bisogni individuali e quelli del gruppo (o se si vuole tra quelli personali e quelli sociali dell’individuo).

Ma questo equilibrio non è né facile né scontato. Il fatto che si ri-producano figure di membri (spesso informali) negative o “egoistiche” dimostra che quel tipo di equilibrio va sempre in un certo senso riconquistato, ma la stessa conclusione va tratta nell’ipotesi apparentemente più “positiva” di uno spirito di gruppo dichiaratamente “solido come una roccia”.

Vissuti di questo genere spesso mascherano una leadership occulta, una deresponsabilizzazione individuale di diversi membri del gruppo, l’inizio di una dis-integrazione mascherata da un troppo dichiarato senso di superiorità verso la realtà circostante.
È proprio questo genere di problemi a rendere indispensabile una leadership palese ed esperta, il cui compito di fondo sia di ri-portare continuamente a equilibrio i due tipi di bisogni detti sopra, il far presente al gruppo sempre l’obiettivo comune, e nello stesso tempo facilitare con competenza l’emergere di tutte le soggettività e differenze presenti nel gruppo.
Questo è il motivo per cui la figura di leadership - che d’ora in poi chiameremo del "facilitatore" - deve avere un profilo non di esperto di contenuti e di obiettivi specifici del gruppo, ma fondamentalmente deve essere un esperto di processo, un professionista di relazioni.

Sergio De La Pierre

Per saperne di più

Bion W.R., Esperienze nei gruppi, Armando editore 2004;
Bobbio L. (a cura di), A più voci, Edizioni Scientifiche Italiane 2004;
De Sario P., Professione facilitatore, Franco Angeli 2005;
Di Nubila R.D., Dal gruppo al gruppo di lavoro, Tecomproject 2000;
Gordon Th., Leader efficaci, Edizioni La Meridiana 1999;
Liss J., La valorizzazione della negatività: quando il facilitatore viene criticato, in De Sario 2005u, cit., pp.145-151;
Quaglino G.P., Casagrande S., Castellano A., Gruppo di lavoro. Lavoro di gruppo, R. Cortina 1992.


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