Mostre. Al Pac un’estate tra arte e crimine con “Il delitto quasi perfetto”, collettiva di 40 artisti italiani e internazionali
L’estate 2014 trasforma le sale del PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano in una scena del crimine “quasi” perfetta, con una collettiva di oltre 40 artisti, italiani e internazionali, che creano un legame tra l’arte e l’estetica del crimine.
Promossa dal Comune di
Milano – Cultura e prodotta a Milano dal PAC e da CIVITA, la mostra è
curata da Cristina Ricupero e arriva in una nuova versione dopo la prima
tappa al Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam,
arricchita di nuove opere di artisti italiani.
“Con questa mostra
il PAC entra a pieno titolo nel circuito delle sedi espositive internazionali
d’arte contemporanea: un progetto collettivo che esprime il meglio della
creatività contemporanea e che, nato a Rotterdam, approda ora a Milano
arricchito del contributo di importanti artisti italiani – ha dichiarato
l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno –. E’ questa la prima
esposizione del nuovo corso che vede il PAC guidato dalla cura autorevole
di un comitato scientifico, nominato apposta per riconoscere e rilanciare
quanto di più significativo accade nella creatività artistica di tutto
il mondo”.
La mostra mette a confronto oltre 40 artisti, italiani e internazionali, che hanno collegato arte ed estetica del crimine, attraverso una selezione di opere spesso provocatorie e l’incursione in diversi linguaggi artistici. Progetti realizzati negli ultimi decenni e lavori più recenti, accanto ad un insieme di oggetti sorprendenti, sono immersi in modo inusuale nell’allestimento, studiato per guidare il visitatore attraverso un percorso tematico che procede per capitoli.
Alcune delle opere in mostra riflettono l’ossessiva curiosità e l’attitudine all’interpretazione tipica del detective, altre la narcisistica identificazione con il colpevole, altre ancora il feticistico piacere dello spettatore. Alcuni progetti affrontano i temi dell’autenticità e della frode, considerati tipicamente “crimini dell’arte”; altri giocano con il ruolo dell’artista come soggetto sovversivo ai margini della società o mettono in discussione il ruolo della legge e i concetti di ordine e trasgressione. Alcuni artisti scelgono di rappresentare il crimine come qualcosa di macabro e al tempo stesso sublime, un’operazione simile a quella compiuta negli anni dal cinema, mentre altri fanno riferimento a fatti realmente accaduti, crimini sociali o politici. Altri ancora provano a mettere in relazione una selezione di queste principali tendenze.
Ogni spazio del PAC è contagiato: l’artista Gabriel Lester in collaborazione con Jonas Lund firma un intervento virale sul sito web del PAC; l’artista austriaca Eva Grubinger issa invece una bandiera e posiziona una targa d’ottone sulla facciata esterna del Padiglione, trasformandolo nell’ambasciata di Eitopomar, un utopico regno governato dal malvagio signore del Male Dr. Mabuse. All'ingresso, un murales dipinto dall’artista francese Jean-Luc Blanc richiama la copertina di una rivista pulp firmata con il titolo della mostra.
Oltre ad alcuni lavori già presenti al Witte de With, la mostra al PAC si arricchisce di nuove opere di artisti italiani. Maurizio Cattelan, innanzitutto, che ha realizzato un bouquet di fazzoletti di stoffa per asciugare idealmente le lacrime versate per le vittime dell’attentato che il 27 luglio 1993 distrusse il PAC provocando la morte di quattro persone; un’installazione di grande formato dell’artista Luca Vitone, poi, ricorda come un epitaffio i 959 membri della loggia P2 in un ironico quanto amaro riferimento ad un capitolo confuso della storia della nostra democrazia; Mario Milizia riproduce invece minuziosamente i dettagli delle immagini di cronaca giudiziaria riferite a ritrovamenti e vendite illegali di reperti archeologici.
Una citazione dal film
di Karl Holmqvist, “Why is desire always linked to crime?” (Perché
il desiderio è sempre correlate al crimine?), resta impresso nella
mente del visitatore durante il percorso, mentre l’italiana Monica
Bonvicini investiga le relazioni tra spazio, potere e genere, presentando
una macchina della tortura e del desiderio, costituita da sei imbragature
di lattice nero sospese con catene ad un anello d’acciaio che ruota lentamente.
Aslý Çavuþoðlu imita il
genere del crimine televisivo (esemplificato nella serie Crime
Scene Investigation)
nel suo Murder in Three Acts (Omicidio in tre atti), restituendo
la mostra come scena del crimine e le opere come armi, mentre Fabian Marti
lascia impronte delle sue mani nello spazio espositivo.
Ancora Gabriel Lester
creerà un loop cinematografico di scene del crimine, proiettando il tutto
con un gioco di ombre sul muro circostante e sul visitatore. Il cinema
ritorna anche negli inquietanti dipinti di Dan Attoe, Richard Hawkins e
Dawn Mellor, e nei film di Brice Dellsperger e Aïda Ruilova. L’artista
francese Lili Reynaud-Dewar elabora invece un’installazione che fa riferimento
alla vita e al lavoro di Jean Genet come scrittore, attivista e ladro,
mentre l’artista spagnola Dora Garcia invita il pubblico a rubare un libro.
L’americano Jim Shaw ironicamente ritrae uomini d’affari come zombie,
attraverso una selezione di dipinti e un film, mentre Saâdane Afif trasforma
il Centre Pompidou in una bara, che sembra voler mettere in discussione
il ruolo vitale dei musei.
La mostra è realizzata
con il sostegno di TOD’S, sponsor dell’attività espositiva annuale del
PAC, e con il supporto di Vulcano.
Immagini e info su www.pacmilano.it/area-press