L'orto d'inverno. LA VALERIANELLA

Valerianella olitoria Pollich. Qui a Milano viene chiamata songino. Gualtiero Marchesi la chiamava "soncino", in friulano è chiamata "ardilut", in sloveno "matavilz". Forse una delle insalate, sia spontanea sia coltivata, più amate e costose.
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Era premura di ciascun contadino seminarla in agosto per averla pronta già all'epoca della vendemmia. Di fatto è una verdura che non teme il freddo e si raccoglie da settembre in poi. Pur rara, è diffusa anche quella selvatica, io ne raccolgo in quantità più o meno variabile in base alla piovosità dell'inverno, in una vigna del Friuli. Non l'ho mai seminata, è spontanea da chissà quanto tempo e continua a riseminarsi annualmente, perché non uso nessun tipo di diserbante e la fioritura estiva non viene minimamente disturbata.

La foto è di una valerianella coltivata, spuntata da un seme superstite dell'anno scorso e me ne sono meravigliata anch'io. Naturalmente non l'ho raccolta perché preferisco che vada in seme e si riproduca da sola. Nel frattempo, come potete vedere dalla foto, merli, piccioni e forse qualche chiocciola se la stanno mangiucchiando. Questo è il problema principale dell'orto: gli uccelli sono golosissimi di verdure dolci, soprattutto se le trovano non coperte in pieno inverno.

La valerianella selvatica è comune nei luoghi erbosi, nei prati preferibilmente umidi ed è più chiara di colore e molto più delicata di sapore, i fiori sono sempre azzurri tendenti al bianco e spuntano tra aprile e giugno, dopo di che si asciuga. Contiene vitamine e sali minerali che la resero preziosa durante le epidemie di scorbuto.
Va consumata fresca sia da sola che con altre verdure di stagione con condimenti leggeri e poco sale; io personalmente amo molto la combinazione dell'olio e limone. Mangiata alla sera vi concilia il sonno, vista la sua parentela con la valeriana officinale della quale condivide leggermente l'odore.




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