“Sia lode ora a uomini di fama”: Giorgio Marconi

Nella nostra zona ci sono e ci sono state persone importanti che contribuiscono e hanno contribuito al progresso sociale, civile e culturale della nostra città e del nostro Paese.

 

L’occasione di incontrarle è un modo per stare nella storia e nelle stagioni.

()
Giorgio Marconi gennaio 2014 006

Giorgio Marconi è un signore che nasconde benissimo la sua autorevole età con energia, decisione e simpatia. Si è occupato per tutta la vita di arte con sorprendenti risultati che lo consacrano tra i più importanti esperti internazionali. Dice di se stesso di avere una faccia di tolla che fa paura. È una bellissima faccia.


Le attività dello Studio Marconi e della Fondazione compiranno 50 anni nel 2015, cosa l’ha spinta a dedicare tutta la sua vita all’arte ?

La casualità. Mio padre era un artigiano corniciaio che nel dopoguerra ha realizzato, tra l’altro, tutte le cornici della Pinacoteca di Brera. Negli anni della guerra, i quadri della Pinacoteca erano stati messi al sicuro, mentre le cornici erano rimaste in sede anche perché erano molto ingombranti. Le cornici poi erano andate in gran parte distrutte e bruciate, per cui mio padre, con altri artigiani della Brianza che lui coordinava, le ha rifatte tutte. Così come rifece anche il palco centrale della Scala. Mio padre era il corniciaio della buona borghesia milanese. Nei primi anni ’50 io ero iscritto alla Facoltà di Medicina all’Università di Parma perché, essendo un po’ turbolento, ero stato allontanato dall’Università di Milano. Un bel giorno mio padre decise di chiudere la sua azienda in cui lavoravano allora venti operai e che era collocata in questo stabile di via Tadino 15.

In quei tempi gli operai lavoravano almeno undici ore al giorno perché il lavoro era tanto ed erano contenti di poter ricavare qualche soldo in più. La mia famiglia non aveva problemi economici, tanto è vero che io potevo aiutare alcuni studenti greci a mantenersi agli studi a Parma.

Mio padre, che era un romagnolo, volontario garibaldino nella Prima guerra mondiale e socialista, mi diede i soldi per avviare l’attività. Obtorto collo, accettò che io riaprissi “la bottega” (anche se io ero sempre stato molto intraprendente al punto che, quando frequentavo il liceo, facevo qualche piccolo commercio per mettermi qualche soldo in tasca).

Ho ripreso così l’attività di mio padre e, costruendo cornici, ho iniziato a frequentare pittori e artisti con i quali ho incominciato la mia attività di gallerista e di collezionista.

Per qualche tempo ho anche continuato a studiare medicina, alternando lo studio con il lavoro.

Per farsi fare le cornici, venivano da me alcuni giovani artisti come Baj, Adami e Pomodoro. Ho così iniziato a frequentare i loro studi. Curioso com’ero, mi sono interessato di loro e ho iniziato a comprare e a vendere i loro quadri. Io, che volevo specializzarmi in psicologia, trovai le risposte dei perché della vita nei sogni degli artisti.

Tra i nostri clienti c’erano molti professionisti e docenti universitari, già mio padre aveva realizzato dei “cambio merce” con de Pisis. Le cornici, soprattutto allora, erano piccole opere d’arte che avevano un certo valore mentre i quadri degli artisti più giovani non costavano molto. Quindi, non ho mai comprato un quadro senza conoscere personalmente l’artista.

Non avendo una mia galleria, ho iniziato a organizzare mostre in altre gallerie. E questo è stato l’inizio.


Quali sono gli artisti che meglio rappresentano questi 50 anni di attività e perché?

Milano, come Parigi e Londra, è stata un punto di riferimento per molti artisti. Arrivavano qui molti stranieri, artisti cinesi come Hsiao Chin, brasiliani come Antonio Dias e tantissimi altri. Quando venivano a Milano questi artisti passavano tutti da me per farsi fare le cornici. E’ successo anche con Hsiao Chin da cui mi ero fatto dare alcuni disegni su carta che ho iniziato a vendere a clienti del mio laboratorio. Milano in quegli anni era una capitale dell’arte e la città stessa era un fermento di attività e di cultura. Un artista molto importante per la mia formazione è stato Mario Sironi che era un cliente di mio padre. Per un anno intero sono andato, almeno una volta alla settimana, a trovare Sironi nel suo studio. Mi aveva preso in simpatia e spesso mi dava piccole gouaches dietro il pagamento di un piccolissimo compenso simbolico. Sironi è stato il primo grande artista che ho collezionato. È stato lui a introdurmi all’arte e a insegnarmi ad apprezzare la pittura contemporanea. Grazie agli insegnamenti di Sironi, ho anche iniziato a realizzare cornici diverse da quelle tradizionali.


Cosa ha contraddistinto lo Studio Marconi rispetto ad altre gallerie milanesi?

Proprio il fatto di aver chiamato il mio spazio espositivo “Studio”. A quell’epoca, siamo nel 1965, avevo preso in affitto anche il secondo piano di questo stabile. Mi sembrava che il termine “Galleria” fosse troppo pretenzioso così lo chiamai “Studio”. Allora fu una novità assoluta, in seguito molti hanno utilizzato il termine “studio”. La prima mostra vide la presenza in contemporanea di quattro artisti: Adami, Del Pezzo, Schifano e Tadini. Realizzammo un catalogo molto curioso che consisteva in quattro piccoli puzzle, contenuti in una scatola, che riproducevano quattro opere degli artisti in mostra. Anche questa era una grande novità, non era il solito catalogo.

Il puzzle costringe a una particolare attenzione, ti stimola a ricostruire l’immagine, a viverla diversamente. Questa pubblicazione ebbe tale successo che venne richiesta anche dal MOMA di NewYork. Grazie anche a questo, ho potuto poi realizzare una mostra di Giulio Paolini al MOMA nel 1974. Lo Studio era un laboratorio molto creativo dove con gli amici artisti si progettavano mostre e iniziative varie. Io ho sempre amato lavorare con altre persone. Tutti però mi hanno sempre detto che io non ho mai fatto quello che gli altri mi dicevano di fare ma solo quello che volevo io…

Ma spesso non faccio altro che mettere insieme le idee di molti e realizzarle.

Tra le tante imprese ho anche portato a Milano quella scultura di Mirò che sta davanti al Palazzo del Senato. Era stata donata alla città di Milano ma era finita in un magazzino e io, anche grazie al sindaco di allora Paolo Pillitteri, sono riuscito a farla collocare dove si trova adesso.

Ho realizzato mostre di ogni tipo. Quando venne da noi Calder lo scoprii che prendeva a calci le sue opere. Stupito gli chiesi come mai, mi rispose che era solo un modo per metterle in movimento.


Lei ha conosciuto personalmente alcuni degli artisti più importanti della storia dell’arte contemporanea, chi l’ha colpita più profondamente e perché?

Un nome su tutti, Man Ray. L’ho conosciuto a Parigi dopo la guerra, dopo le stagioni del Dada e del surrealismo di cui era stato un protagonista assoluto. Andavo a trovarlo nel suo studio a cui si accedeva da un cortile angusto. Quando pioveva, non si poteva parlare per via del rumore assordante prodotto dai pluviali. Allora Man Ray metteva su uno strano giradischi un disco di jazz e si stava un tempo infinito ad ascoltare la musica e la pioggia senza parlare. Era una persona affascinante. Quando andavo a Parigi, era d’obbligo andarlo a trovare.


Come va oggi il mercato dell’arte in Italia?

Va bene e non va bene. Grazie alle case d’asta, soprattutto Christie’s e Sotheby’s, il mercato dell’arte è stato sostenuto e diffuso. Al contempo, però, l’arte oggi è pilotata, non è libera, è troppo influenzata dal mercato. Io stesso ho scelto di passare dallo Studio alla Fondazione per avere maggiore autorevolezza e autonomia.


Quali sono i rapporti con la città, le sue istituzioni e il quartiere in cui la Fondazione è inserita?

I rapporti con la città e il quartiere sono buoni. Mi sembra di essere ben inserito nel tessuto culturale cittadino. Ora ho qualche idea per Expo che mi auguro possa andare in porto.


Progetti per il futuro?

Organizzare una grande mostra per Expo nel 2015 e dedicarsi poi alla realizzazione di un museo dinamico ed evolutivo. Ma di questo potremo parlarne più avanti.


(a cura di Massimo Cecconi)




Commenta

Re: “Sia lode ora a uomini di fama”: Giorgio Marconi
03/02/2014 Bianca Aravecchia
Bell'intervista: interessante e brillante, sia il personaggio, sia l'intervista! Complimenti!


 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha