Il cricket, uno sport non solo per lo svago, ma per l'integrazione delle nuove generazioni

Abbiamo assistito, quasi per caso, alla libreria Feltrinelli, alla presentazione di un libro dal titolo insolito, Italian Cricket Club, scritto da tre giovani giornalisti, Giacomo Fasola, Ilario Lombardo, Francesco Moscardini. Parla di un gioco che, poco noto in Italia, ha permesso agli immigrati dal subcontinente indiano di superare le ataviche divisioni dei loro paesi di origine e insieme costituisce un forte elemento di integrazione tra i giovani, superando di fatto le barriere create ancora dalle nostre leggi discriminatorie.
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Il cricket, nato in Inghilterra nel 1500, è lo sport per eccellenza della globalizzazione. Nel 1800 si è diffuso nelle colonie inglesi e in India si è affermato come disciplina più praticata in assoluto. Nella seconda metà del Novecento ha ripreso il suo cammino seguendo i grandi flussi migratori: dall’India e dal Pakistan, dal Bangladesh e dallo Sri Lanka fino all’Europa e al mondo intero. Italia compresa. Oggi a Milano – seconda città in Italia per numero di immigrati dal Subcontinente indiano – ci sono migliaia di ragazzi che vorrebbero giocare a cricket. E che però non possono, perché non hanno un campo.

Se n’è parlato il 18 novembre alla libreria Feltrinelli di corso Buenos Aires, in occasione della presentazione di Italian cricket club. Il gioco dei nuovi italiani (add Editore,http://www.addeditore.it/cricket.html). Un libro che racconta, attraverso il cricket, un mondo poco conosciuto: quello degli immigrati dal Subcontinente che vivono in Italia. La loro cultura, le loro religioni, la loro cucina; la loro voglia di integrarsi nella nuova comunità, pur fra mille difficoltà. A Milano città risiedono circa 17.500 srilankesi, più altri 8.000 fra indiani, bengalesi e pachistani. Lavorano nelle nostre case, nelle campagne e nelle fabbriche: eppure di loro sappiamo pochissimo. Il cricket, il loro sport preferito, può essere un’ottima lente attraverso cui guardarli e conoscerli.

Ma il libro, raccontando le storie dei protagonisti del cricket italiano, parla anche d’altro: delle difficoltà che comporta lasciare il proprio Paese e integrarsi in uno nuovo, del diritto alla cittadinanza che in Italia spesso è disatteso. L’integrazione è sempre processo a due fasi: comporta sforzi da parte del nuovo arrivato ma non può funzionare senza la disponibilità all’accoglienza. A Milano come va? A giudicare dal cricket, non tanto bene. Da più di dieci anni la principale società cittadina, il Kingsgrove, chiede uno spazio dove poter realizzare un terreno di gioco. «Quando c’era Albertini nessuno ci rispondeva, con la giunta Moratti abbiamo avviato un dialogo che non ha portato a nulla, ora ci dicono che la volontà politica c’è. Il campo, invece, non ancora…» ha spiegato il presidente della società Fabio Marabini, che è intervenuto alla presentazione insieme agli autori – chi scrive è uno di loro –, al caporedattore centrale del Corriere della Sera Venanzio Postiglione e a Reas Syed.

Il Kingsgrove è un ottimo esempio di integrazione: in squadra ci sono italiani, srilankesi, pachistani e bengalesi. E a Milano il cricket non è esattamente una novità, ci si giocava già a fine Novecento tanto che l’A.c. Milan nacque come Milan Cricket and Football Club. Eppure la squadra locale, seconda classificata nell’ultimo campionato di Serie A, nel 2013 è ancora costretta a spostarsi a Settimo per disputare le partite. Niente di così strano, in realtà, se si pensa che il cricket è uno sport praticato prevalentemente dagli immigrati e dai loro figli, e che per loro in Italia è molto complicato ottenere la cittadinanza (e, di conseguenza, far sentire la propria voce). Migliaia di ragazzi nati o cresciuti qui non sono cittadini italiani, e per diventarlo devono aspettare anni e affrontare complesse procedure burocratiche.

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«È ora che i ragazzi del cricket smettano di chiedere uno spazio a Milano e inizino a pretenderlo» ha detto Reas Syed, praticante avvocato nato in Pakistan e cresciuto in città. Con l’associazione Il razzismo è una brutta storia, Reas gira per le scuole della Lombardia e parla con bambini e ragazzi: «A tutti chiedo se sono italiani o stranieri, e se si sentono o meno italiani. A chi è italiano poi domando se sa perché è cittadino. La risposta, in genere, è: perché siamo nati e cresciuti qui... Purtroppo in Italia non è ancora così: la proposta di riforma della legge sulla cittadinanza “L’Italia sono Anch’io”, presentata con oltre 100 mila firme, aspetta il suo turno in Parlamento. Un po’ come succede a Milano col campo da cricket». Da quando è diventata ministro dell’Integrazione, Cécile Kyenge si sta battendo per cambiare la legge sulla cittadinanza e introdurre uno ius soli temperato: ha diritto a diventare italiano chi nasce qui o completa un ciclo scolastico. Lo sport, e basta leggere qualcuna delle storie raccontate in Italian Cricket Club per rendersene conto, può essere un utile strumento per raggiungere l’obiettivo. Magari partendo proprio dalla nostra città.


Giacomo Fasola.


Foto Cricket: Credit Luca Renoldi Photo





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