“Sia lode ora a uomini di fama”: Massimo Cirri

Nella nostra zona ci sono e ci sono state persone importanti che contribuiscono e hanno contribuito al progresso sociale, civile e culturale della nostra città e del nostro Paese. L’occasione di conoscerle è un modo per stare nella storia e nelle stagioni.


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Massimo Cirri, laurea in Psicologia, serissimo operatore per oltre 25 anni nei Servizi di salute mentale pubblici, è soprattutto noto per il suo lato meno serio. Da oltre 30 anni usa la radio (prima Radio Popolare poi Radio Rai 2) per commentare con sublime ironia le piccole/grandi cose del mondo. Prendendoci e prendendosi in giro con esemplare sagacia, con quella sua affilata lingua toscana che lo rende irresistibilmente caustico. A tempo perso, si fa per dire, scrive per il teatro e si occupa di cose serissime che vengono raccontate in questa intervista. Un grande comunicatore.

Abita da sempre, da quando vive a Milano, nella nostra zona.

Chi è Massimo Cirri e cosa dicono di lui?
Non è facilissimo rispondere. Io sono un signore nato 55 anni fa in Toscana che 30 anni fa è venuto a Milano. Per me non è stato banale perché sono figlio di una famiglia allargata dalla quale nessuno si era mai allontanato dalla Toscana. Abitavamo in una zona profondamente rurale (ora in provincia di Prato)da cui nessuno aveva avuto il bisogno di andare via. Dal 1600, tutte le generazioni si erano spostate al massimo di 300 metri, da un colle erano scesi a mezza collina. Nessuno della famiglia abitava lontano…c’era uno zio che abitava a 12 chilometri ed era considerato perduto. A me invece è capitato di andare a studiare a Padova, il primo di tutta la genìa ad aver studiato e poi sono arrivato a Milano. Questo mi ha fatto sentire un po’ diverso da quello che ero a casa mia ma, al tempo stesso, non mi sono mai sentito completamente milanese.

Insomma, un po’ un pesce fuor d’acqua.

Come sei riuscito a conciliare la tua professione di psicologo con le attività di carattere creativo?
Mi è capitato di iniziare a lavorare nei Servizi di salute mentale dopo essermi laureato in Psicologia e l’ho fatto per 25 anni e, poi, contemporaneamente ho iniziato a fare cose alla radio, prima a Radio Popolare, dove con Ferrentino, abbiamo fatto Borderline, e poi alla radio Rai con Caterpillar.

Radio Popolare era per me poco più di un hobby, alla Rai invece è diventata una professione e quindi per moltissimi anni ho fatto entrambe le cose: alla mattina lavoravo per i Servizi di salute mentale e al pomeriggio in radio.

Il fatto di fare due professioni contemporaneamente mi ha sempre autorizzato a farle male entrambe…A livello lavorativo bisogna essere poligami, è un ottimo alibi.

Quando e perché hai cominciato a lavorare in radio?
Ho iniziato a lavorare a Radio Popolare per caso. Era il 1983, ero a Milano da meno di un anno ed era la Milano del Partito Socialista, nell’approssimazione quella che è stata definita “la Milano da bere”. C’era allora un modello culturale, relazionale, antropologico un po’ cattivo, con aspetti di serena violenza. Quella Milano un po’ mi spaventava, però qui avevo trovato quel lavoro che non avevo trovato né in Toscana né in Veneto dove mi ero laureato. L’ambiente di Radio Popolare, che era costituito da persone intelligenti, “cazzone” nel senso meraviglioso del termine, mi ha cambiato la vita e, in parte, me l’ha umanamente salvata. Se non avessi incontrato queste intelligenze creative, dense ma anche rilassate, probabilmente sarei diventato più stronzo di quanto sono adesso, che lo sono già abbastanza.

Come definiresti il tuo lavoro? Professionista della satira?
Mi definirei un professionista della comunicazione. Le mie due professioni sono proprio legate dalla comunicazione. Avere dei rapporti di comunicazione è molto umano e, ad esempio, Radio Popolare è stata una esperienza di comunicazione e di comunità.

Qual è il progetto a cui sei più legato?
L’esperienza di 20 anni in radio Rai è stata sicuramente molto lunga. Però in questi ultimi tempi, dopo aver lasciato i Servizi di salute mentale, sono impegnato in un progetto della CGIL dove ho incontrato la sofferenza dei lavoratori e delle lavoratrici, che sono sempre più intelligenti degli uomini, dell’Eutelia quella grande azienda di informatica che è stata rapinata dai suoi manager.

Molti di questi lavoratori hanno iniziato ad avere disturbi psicologici perché essere in cassa integrazione, al di là dell’aspetto economico, mette le persone in affanno. All’interno di questo progetto svolgo un lavoro di supporto. Abbiamo provato a fare un lavoro collettivo intorno alla sofferenza, per cui abbiamo organizzato gruppi di auto aiuto con persone che si sono trovate improvvisamente senza lavoro. Con loro abbiamo imparato a vivere la dimensione della sofferenza restituendola in un momento di confronto collettivo. Una sorta di tassello di comunicazione sociale a cui mi piace molto partecipare.

All’interno del sindacato abbiamo provocato una certa discussione perché abbiamo dovuto far capire che in questi casi non c’è solo la questione del lavoro e dello stipendio ma anche quella psicologica.

Quali sono i tuoi riferimenti culturali?
Io credo di essere ancora legato ad una certa idea di comunismo, di socialismo. L’idea di una comunità possibile, di una suddivisione più equa delle ricchezze sono punti di riferimento per me importanti. Secondo me, l’idea continua a essere molto giusta ma i risultati non ci sono stati, figurati se l’idea fosse anche sbagliata!

E’ invece per me un tormento il dolore della distruzione del mondo che addebito al capitalismo, anche se in Toscana, dove sono nato io, regione quasi sempre governata dai comunisti, la distruzione c’è stata anche là: un pezzetto di Toscana molto bello è stato distrutto dalle villette a schiera.

Il mondo brutto è un’angoscia culturale.

Qual è il tuo rapporto con Milano e con il quartiere in cui vivi?
È soprattutto un rapporto molto stretto con questa zona della città perché per i casi della vita in questi 30 anni ho sempre vissuto in zona 3 e deve pur esserci un motivo.

Sono capitato qui un po’ per caso, ma poi mi sono radicato per quanto sia possibile radicarsi a Milano venendo da fuori. Per uno come me venuto da un paesino in cui tutto è radicamento, dove tutto il paesaggio è segnato da un riferimento emotivo e affettivo, qui è stato difficile radicarsi. Ci ho messo qualche anno ma ora, anche grazie al cane di mia figlia, giro molto per il quartiere anche di notte. Ho un sentimento di gratitudine per Milano perché qui ho vissuto e lavorato, a volte però ho un rapporto di tolleranza. Dal punto di vista emotivo, non sarei umanamente sopravvissuto se non avesse vinto Pisapia…

Progetti per il futuro?
Con le lavoratrice e i lavoratori dell’Eutelia abbiamo scritto un libro che racconta la loro vicenda. Mi piacerebbe provare a scrivere un po’ di più, in maniera più sistematica anche perché è sempre meglio che lavorare.

(a cura di Massimo Cecconi)


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Re: “Sia lode ora a uomini di fama”: Massimo Cirri
08/11/2013 elena
trovarsi in macchina, in piazza sire raul, rientrando a casa, la sera. ascoltare radio2 e la voce di cirri. (sor)ridere e immaginarlo chissà dove...e invece: tel chi 'nduv'el, l'el propri el mè visin de cà!

grazie per questo articolo!
Elena


 
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