Via Carpaccio

Riceviamo da Fabio Treves, grande bluesman milanese, conosciuto ai più anche come Puma di Lambrate, una divertente memoria su un improbabile campo di calcio che, nella fantasia e nella pratica di un ragazzino amante del gioco del pallone, diventava come San Siro.


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Blues in Idro 20 07

Via Carpaccio, via Vittore Carpaccio per l’esattezza, è incastonata tra via Noe e via Fucini, a pochi passi da Piazza Piola: arrivai qui alla fine del 1959 e qui ho vissuto con la mia famiglia tutta la decade dei mitici anni sessanta.

E uno dei ricordi più belli della mia spensierata giovinezza è legato alle “partite di pallone” in questa via, che era quasi sempre deserta e dove ancora non esistevano i parcheggi selvaggi che oggi la rendono credo unica in tutto il quartiere.

Le squadre erano quasi sempre le stesse e le formazioni annoveravano nel loro organico il classico “portiere volante”, che non era un giocatore che volava da un palo all’altro, ma solo un modo di dire che, nello slang di noi ragazzi, indicava la possibilità di essere il portiere in ogni occasione di gioco.

Le porte altro non erano che gli scivoli dei passi carrai dei portoni. Se le squadre erano numerose il campo si allungava, ed invece che andare dal numero civico 5 al civico 8 (che erano uno di fronte all’altro) si allungava verso la via Fucini estendendosi tra il 3 e l’8.

I miei compagni di pallone erano Piter, Silvio, Carlo, Andrea, il leggendario bomber Giamba, più qualche aggregato che arrivava da viale Romagna, e le partite erano interminabili, duravano ore e ore, interrotte solo da una mamma che chiamava il figlio a casa per i compiti, per la cena o per qualche improvviso e improrogabile aiuto domestico.

I risultati finivano con numeri anche a tre cifre, non esisteva l’arbitro e quindi le discissioni su un rigore, un fallo o un corner potevano durare anche una decina di minuti.

Si usavano dei termini pseudo sportivi che solo quelli un po’ avanti con l’età possono ricordare: “ARIMO” (abbreviazione di “arimortis” di oratoriale reminiscenza, stava ad indicare un’interruzione richiesta dal giocatore per diversi motivi: una scarpa partita chissà dove dopo un violento tiro, l’arrivo improvviso di una macchina, il pallone che si era sgonfiato..), “RIFA” (abbreviazione di rifare, per consentire un altro calcio d’angolo se si veniva interrotti da un passante o da un animale che gironzolava nei dintorni del portone…), ”VENEZIA” (non proprio un insulto ma uno sfottò, urlato quasi all’unisono per quelli che tenevano troppo la palla o la passavano poco o volevano fare tutto loro con slalom, dribbling e palleggi vari), ”ENZ” (che stava per l’inglese hands – mani, quando ci si trovava di fronte ad un sicuro fallo di mani volontario..)

Il pallone non era quello regolamentare delle partite vere, si sarebbe rovinato sull’asfalto e quindi si usavano palloni che rendevano le partite davvero uniche ed interessanti. Ne esisteva un tipo che dopo pochi calci si ovalizzava (e quindi bisognava essere molto tecnici nel gioco a terra), altri che si sgonfiavano anche con il colpo di testa più morbido. Ma i più tremendi erano quelli che non si riuscivano a ripulire dalle macchie d’olio delle macchine in sosta di cui si erano impregnati… schizzavano talmente che un tiro innocuo poteva trasformarsi in un missile terra/aria e viceversa!

Spesso dopo un tiro che sbatteva sul portone di vetro del civico 8 ci si dava ad una breve fuga perché la sciura Laura, madre del bomber Giamba e leggendaria custode del palazzo, usciva parecchio risentita minacciandoci con la classica frase ”…la prossima volta ve lo buco…”

Noi sapevamo comunque che questo non sarebbe mai successo, la sciura Laura era davvero una persona deliziosa e buona che spesso, alla fine di partite epiche, offriva al sottoscritto le favolose prelibatezze culinarie preparate per la famiglia e per il figlio bomber.

Per le partite importanti con squadre di ragazzi di vie adiacenti, in cui pochi fortunati potevano sfoggiare scarpe coi tacchetti e divise da calcio ufficiali, ci si spostava ai giardini di Piazza Leonardo da Vinci, dove le porte erano segnate da cartelle o mucchi di indumenti e quant’altro.

Di quegli amici ho perso le tracce da anni… vedo pedalare in zona solo il Giamba, sempre in forma, sempre calcisticamente bauscia, e come quando eravamo ragazzi grande intenditore di moduli tattica e pretattica…

Spero di non avervi annoiato.

Blues e bei ricordi alle masse!


Fabio Treves

La Fotografia in copertina  è di Maurizio Dehò


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