Palazzo Marino, doppio baluardo antimafia?

La Lombardia è ormai la prima regione italiana per beni confiscati alla n'drangheta. Una presenza pervasiva, che controlla interi settori come il movimento terra e l'edilizia. Un pericolo mortale, prima ignorato dalla politica, ma che oggi la nuova amministrazione di palazzo Marino vuole contrastare. Con il comitato antimafia di esperti già attivato due mesi fa dal sindaco Pisapia. E, ora, anche dalla commissione antimafia del consiglio comunale, faticosamente varata. I due organismi lavoreranno in parallelo. Il primo su indagini e proposte normative. La seconda sul controllo antimafia di tutti gli atti del sistema comunale. Dalle partecipate alle gestioni immobiliari, ai lavori dell'Expo.
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"Un’era si è chiusa stasera in questa sala. L’era della mafia che da noi non esiste, come affermava l’ex-sindaco Moratti e insieme Roberto Formigoni". Un commento azzeccato quello pronunciato dal giornalista Giampiero Rossi di fronte alla Sala Alessi di Palazzo Marino strapiena, in tutti i suoi 400 posti, per assistere a un convegno non usuale: la presentazione di due indagini sulla mafia (o meglio n’drangheta) a Milano, hinterland e Lombardia. La prima, la “quinta mafia” scritta da Marta Chiavari e la seconda “Mafia a Milano” di Mario Portanova, Giampiero Rossi, Franco Stefanoni.
Testi sistematici, basati ormai su solide e multiple indagini giudiziarie, e su rilevazioni statistiche. "La Lombardia ormai detiene il primato, anche oltre le regioni del Sud, per beni confiscati alla mafia (n’drangheta) – rileva Chiavari – con un rapporto che mi ha fatto accapponare la pelle: un bene confiscato ogni 3,1 chilometri".
Interi settori sotto il controllo delle cosche: movimento terra e edilizia in primis. "E l’emergenza di una sorta di mafia di seconda generazione, che non è più assimilabile a quella classica calabrese, ma che porta anche cognomi lombardi. Per questo l’ho chiamata quinta mafia. Il seme criminale, invece di spegnersi con l’immigrazione di decenni fa, purtroppo si è riprodotto".
Un pericolo ravvicinato, che Stefanoni, Portanova e Rossi raccontano, con puntiglio e dovizia di episodi, nei 60 anni analizzati in “Mafia a Milano”. "Cosa nostra è letteralmente sparita dalla metropoli e dalla Lombardia, sotto la concorrenza vincente dei clan familiari calabresi – spiega Stefanoni – clan completamente chiusi, di omertà totale imposta ai propri “partner” colletti bianchi. Una struttura poco toccata dai pentiti, puniti con estrema ferocia. E capace di riprodursi con le generazioni, anche tra discendenti che ormai sembravano totalmente integrati nell’ambiente lombardo".
Fino a poco più di un anno fa tutto questo era silenzio. Ora non più. "Il pericolo mortale della colonizzazione dei territori da parte della n’drangheta non solleva più lo stupore dei milanesi e dei lombardi, tipici di quando facevamo le prime conferenze, 15 anni fa, per presentare la prima edizione del nostro libro – osserva Rossi – Oggi l’opinione pubblica è ben più reattiva. Sa che la n’drangheta è entrata in snodi vitali dell’economia e della politica. E che potrebbe alterarli in modo irreversibile. Il negazionismo è finito".
Sì, appare proprio finito. Ieri, 23 gennaio, dopo una non facile seduta del Consiglio Comunale, è stata varata la Commissione consiliare antimafia, organo istituzionale del Comune, che ora si affianca al Comitato di esperti, presieduto da Nando Dalla Chiesa, voluto dal sindaco Giuliano Pisapia.
Due organismi diversi ma complementari. Il comitato antimafia, attivo già da due mesi, ha un compito di "indagine, fuori da ogni diatriba politica e nella massima riservatezza per offrire al Sindaco e alla Giunta valutazioni e indirizzi d’azione" - spiega lo stesso Dalla Chiesa. "La commissione consiliare è un organo orientato alla verifica, in chiave antimafia, degli atti e delle regole di tutto il sistema comunale, dalle controllate alla gestione del patrimonio immobiliare, fino ai lavori dell’expo", afferma il consigliere Pd David Gentili, da anni alfiere di questa iniziativa e che probabilmente sarà a capo della commissione.
Basteranno queste iniziative per trasformare Palazzo Marino da aula sorda e cieca in baluardo attivo contro la “colonizzazione”?
La sfida è ampia e profonda. Dalla Chiesa: "Mi viene sempre in mente una frase pronunciata da un boss della n’drangheta lombarda a un suo neofita. “ il mondo si divide in due, ciò che è Calabria e ciò che lo diventerà". E così, con triste umorismo, qualcuno parla di “provincia di Monza e Calabria”. Dove togli il riferimento alla bella regione italiana e mettici la più sinistra etichetta: n’drangheta.
Il fronte aperto resta però ancora questo: "sta nei 13 politici lombardi eletti con i voti delle n'drine secondo il magistrato Nicola Gratteri, della procura di Reggio Calabria" (tra i protagonisti delle indagini Infinito e Crimine che hanno portato a 300 arresti). "Quando Gratteri fece questa dichiarazione al Corriere nel marzo scorso immaginai che immediatamente personaggi come Moratti o Formigoni si sarebbero attivati – osserva Gianni Barbacetto, co-autore di “Mani sulla città” – invece niente. Silenzio assordante".
Il livello politico è essenziale per gli affari della n’drangheta, centrati sull’edilizia e le opere pubbliche. "Nelle organizzazioni imprenditoriali il vento sta però cambiando – continua Barbacetto -  grazie anche a Confindustria Sicilia di Ivan Lo Bello, che espelle gli associati che solo pagano il pizzo. E ora anche Assolombarda comincia a dialogare su questo terreno".
"I partiti, e non solo quelli di destra, dovrebbero imparare da questa esperienza di Palermo – sostiene Umberto Ambrosoli, membro del comitato antimafia - e semplicemente buttare fuori i mafiosi. Basta con la pretesa superiorità lombarda. In questo campo dobbiamo imparare da chi è più avanti di noi".
"Abbiamo 20 anni di ritardo in Lombardia. Abbiamo permesso che facessero quello che volevano. La n'drangheta – conclude Dalla Chiesa – vuole i comuni per i suoi affari e per colonizzare. E soprattutto i piccoli comuni. Noi dobbiamo costruire una risposta sistemica degli amministratori. Dagli educatori fino ai vigili urbani che vanno a controllare i camion. Giorno dopo giorno".
 


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