Anche a Milano la legalità darà lavoro

Un seminario all'Assolombarda sulla frontiera dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata. Vale l'esempio di Libera, con le sue otto cooperative che nel sud ormai producono alimentare di qualità con strutture e organizzazioni moderne. Ma vale anche il progetto dell'Ordine degli Ingegneri di Milano, Aldai e Assolombarda che ha coinvolto 63 manager e ingegneri nello studio di 15 aziende ex-mafiose. Coordinato dall'Istud ha fatto il punto sull'elevatissimo tasso di mortalità di queste imprese, spesso di valore, per la mancanza di competenze manageriali fin dalle prime settimane dal sequestro. E ha proposto nuove procedure di intervento per farle ripartire su nuove basi. Un'ooportunità sia di lavoro qualificato che di restaurazione, in positivo, della legalità.
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20130316 libera firenze mafie

Un raggio di luce e di speranza, quello di Libera, nella notte buia della crisi. Sui terreni confiscati alla mafia crescono le cooperative, che attraggono giovani, fanno rete tra di loro, si consolidano in mercati alimentari in crescita (in primis il biologico), si dotano di un marchio comune (Libera Terra) e di una struttura logistica e gestionale moderna.

La rete di associazioni guidata da Don Luigi Ciotti oggi fa scuola. Anche a Milano. Dove l’Ordine degli Ingegneri della provincia di Milano, insieme all’Aldai e all’Assolombarda hanno organizzato, il 4 aprile scorso, un seminario per dar conto di questo fenomeno della possibile rinascita dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata. E di un percorso di studio che ha visto l’anno scorso 63 manager analizzare da vicino una quindicina di queste imprese, insieme agli economisti aziendali della fondazione Istud, Luiss e Sda Bocconi.

Sembrerebbe un aspetto un po’ laterale, a prima vista, ma comunque molto concreto nella lotta alla criminalità organizzata. "Stiamo dimostrando, e con i fatti, che una volta cacciata la Mafia da un territorio non è vero che si crea il deserto _ dice Davide Pati, stretto collaboratore di Don Ciotti, e specialista nel coordinamento economico della rete di Libera _ anzi ritorna la primavera".

Un segnale decisivo, oggi "perché le mafie, con la crisi economica e etica che stiamo vivendo, stanno riprendendosi alla grande nei territori – aggiunge Pati". "E così in Lombardia, la terza regione in Italia (dopo Sicilia e Campania) per volume di beni sequestrati alla criminalità organizzata – dice Alberto Nobili, Procuratore Aggiunto della Repubblica di Milano, da trent’anni sulle cosche e ndrine - dove vi sono chiari segnali di ripresa di controllo del territorio, e persino di consenso. Hanno infatti forti disponibilità di danaro, frutto dei traffici di droga, che possono impiegare facilmente comprandosi aziende e imprenditori". Sul momento sollevati, persino salvi, ma da quel momento nell’ingranaggio schiavistico della criminalità organizzata.

Il danaro mafioso alletta. Sembra anche conveniente.

"La legalità è costosa? L’idea si diffonde e inquina interi settori produttivi, un tempo sani. Invece la legalità conviene, prove alla mano – dice Pati - Per questo è urgente costruire l’alternativa. Nel 1995 siamo partiti, con un milione di firme, dall’approvazione della legge sull’uso dei beni confiscati. E da allora abbiamo fatto trasparenza, informazione, formazione e controllo sulla destinazione dei beni. Oggi il progetto Libera Terra vede attive otto cooperative, con bando pubblico, e dedicate esclusivamente alla gestione di centinaia di beni confiscati. Hanno nomi significativi: Placido Rizzotto, Pio La Torre, Beppe Montana, Rosario Livatino in Sicilia. E ora una nuova dedicata a Rita Atria, proprio nelle terre di Messina Denaro, fatta di giovani che tornano in Sicilia dal Nord. Anche laureati, con esperienza di management, per far rifiorire la loro terra. E così in Puglia e a Caserta, dove, a Castel Volturno è nato il caseificio Don Peppino Diana. O in Calabria la cooperativa Valle del Marro, sui terreni dei Mammoliti, e Terre Joniche, di giovani crotonesi, a Isola di Capo Rizzuto. E l’impegno deve continuare. Oggi stiamo lavorando con il ministro Fabrizio Barca per destinare, alle attività sui beni confiscati, una quota dei fondi europei previsti a piano per investimenti e infrastrutture. Vale infine il caso di Valentina Fiore, alto dirigente delle Coop, che ha deciso di tornare a Corleone. E oggi dirige il consorzio Libera Terra Mediterraneo, una rete che mette assieme tutte le cooperative di Libera. E l’anno scorso, in occasione dei funerali di Stato di Placido Rizzotto, presente il Presidente Napolitano, Fiore lo commemorò con la realtà delle terre che lui occupava con i braccianti. E che vengono lavorate. E da quei campi sta facendo il giro del mondo con il vino con il suo nome".

E così la “mozzarella della legalità” di Caserta, che va verso la certificazione biologica. "Induce nel territorio un’opportunità postiva  anche per altre filiere produttive. Oggi il caseificio Peppino Diana sta arricchendosi di nuovi prodotti di qualità indotti nell’area locale".

Questa la fotografia positiva di Libera. Un network di associazioni antimafia che ha persino esaurito le prenotazioni di giovani che vogliono avviarsi con uno stage.

Possibile replicare questo trend anche per le aziende industriali e terziarie confiscate alle mafie? Per esempio, stando agli ultimi eventi, alle 43 aziende possedute da Vito Nicastri, ritenuto un prestanome del boss Matteo Messina Denaro, prevalentemente attive nell’eolico in Sicilia occidentale, ma con presenze anche al nord e in Lombardia. Un patrimonio da 1,3 miliardi di euro, il più grande, recentissimo, sequestro giudiziario nella storia d’Italia.

I 63 manager lombardi del progetto Istud sono andati a studiarsi sistematicamente le aziende ex-mafiose ancora attive. <Purtroppo un gran numero di queste imprese falliscono, generando sfiducia tutto intorno - spiega Marella Caramazza, Direttore Generale della Fondazione Istud - ma siamo andati ad analizzare 14 casi specifici, con raccomandazioni finali per l’Agenzia Nazionale per i beni confiscati".

Guardiamo alla dimensione del fenomeno. "Abbiamo lavorato su un database, a un anno fa, di 1506 aziende confiscate (oggi sono 1703). Di queste solo 57 (517 occupati)risultavano ancora pienamente attive. E solo 4 in Lombardia, con solo 16 addetti. Numeri piccoli.  Però: dal momento in cui sono state sequestrate fino alla confisca definitiva sono passati in media ben vent’anni". Venti anni di precarietà, nella sostanza, che contribuiscono a spiegare l’elevatissimo tasso di mortalità di queste imprese. "Aziende abituate, in passato, a guadagnarsi il mercato con l’intimidazione e la corruzione. Spesso operanti in nero e finanziate da fonti di riciclaggio e traffici illegali. Difficili da riconvertire, se non si interviene subito".

Non basta, per trasformare queste aziende, la sola presenza degli amministratori nominati dai magistrati, in un albo rigorosamente vincolato agli avvocati e commercialisti. "Vanno affiancati da manager e ingegneri – spiega Caramazza – capaci di imprimere una svolta fin dalle fasi iniziali del sequestro. Anche e soprattutto per le aziende del nord-Italia. Che quasi sempre hanno un loro valore".

E qui entra in gioco Milano, con il suo abbondante patrimonio manageriale. "Abbiamo sviluppato un’ipotesi di modifica normativa, alla fine dello studio, che affiancherà all’albo degli amministratori giudiziari (solo avvocati e commercialisti) anche gli ingegneri, economisti di impresa e manager. Inseribili con apposite convenzioni da parte dei tribunali. E, dopo un anno dallo studio, un solo tribunale del sud ha chiesto il nostro aiuto, anche se su un grosso sequestro di un’impresa energetica ".

Imprese mafiose (e l’hinterland milanese ne è purtroppo costellato) che potranno trovare una seconda vita pulita, e anche prospera. Sarebbe il miglior segnale per battere l’illusione della criminalità che salva, facilita e paga. E affermare, anche nel milanese, che invece è la legalità quella che conviene.

Giuseppe Caravita


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