Terzo settore in Italia: un sistema che vale 67 miliardi di euro

Una ricerca UniCredit Foundation–Ipsos quantifica l’importanza economica di un settore che “fattura” più della moda e rappresenta il 4,3% del Pil. Rilevante l’impatto occupazionale, cresciuto del 35% in un decennio. Tengono le entrate durante la crisi 2008-2010 grazie a donazioni private e autofinanziamento. ()
volontariato ambulanze

Terzo Settore batte moda. Il fatturato del non profit italiano, stimato in 67 miliardi di euro (il 4,3% del Pil), è superiore a quello dell’intero settore del fashion made in Italy, pari a 63,5 miliardi. Un altro dato ne conferma l’importanza: dà lavoro a oltre 650mila persone e coinvolge più di 4 milioni di volontari.

Lo dicono le cifre della ricerca “Il valore economico del Terzo Settore in Italia” realizzata da UniCredit Foundation e dall’Istituto di ricerca Ipsos, intervistando 2104 organizzazioni operanti nel Terzo Settore. Più di tre quarti degli enti intervistati fanno parte del mondo associativo: il 39% sono organizzazioni di volontariato (ODV) e il 16% associazioni di promozione sociale (APS), mentre il 19% rappresenta la realtà delle cooperative e imprese sociali. Fondazioni, comitati, enti ecclesiastici e organizzazioni non governative (ONG) pesano all’incirca l’1% ciascuno. L’insieme dei settori in cui sono attive le istituzioni non profit è piuttosto variegato. In media, ciascuna  organizzazione opera in almeno due ambiti, tra i quali spiccano il “culturale-ricreativo” (45,2%), l’assistenza sociale (41,7%) e la sanità (28,9%).

Si tratta comunque di un universo difficile da mappare, poiché non esiste una forma giuridica esclusiva per chi opera senza fini di lucro. Associazioni, cooperative, comitati, fondazioni, enti religiosi, tutte queste categorie non esauriscono ancora quello che molti definiscono “una giungla”. Due caratteristiche sono però ineludibili: la natura privata e, soprattutto, il divieto di distribuire profitti ai soci. Il guadagno è dunque lecito, ma non deve arricchire singoli individui.

Punto di partenza della ricerca sono state le rilevazioni Istat del 2001, che evidenziavano235 mila istituzioni non profit, circa 488 mila lavoratori, poco meno di 4 milioni di persone coinvolte in veste di volontari, 38 miliardi di euro di entrate (oltre il 3,3% del Pil), 35 miliardi di uscite, con un surplus di 3 miliardi reinvestiti nelle attività svolte. Dati sicuramente da aggiornare al rialzo a seguito della crescita del mondo non profit nel corso dell’ultimo decennio. Nel 2013, infatti, l’Istat renderà pubblici i risultati del nuovo censimento effettuato tra gli enti del Terzo Settore nei mesi scorsi.

Dalla ricerca UniCredit-Ipsos emerge un settore con grandi potenzialità. “Lo sviluppo del non profit è una delle poche e bellissime risposte concrete alla crisi, con un aspetto di anticiclicità. È forse l’unico settore che non sia export, rivolto all’interno, dove gli occupati non diminuiscono”, nota il Direttore Generale di UniCredit Roberto Nicastro. E ancora, “porta, più delle attese, un grande contributo di modernità, basti pensare al peso della componente femminile e al rapporto virtuoso con il territorio”.

Infatti, nonostante la crisi, il Terzo Settore ha tenuto. Grazie ai privati. Nel periodo 2008-2010, segnato in Italia da un forte calo del Pil, sono diminuite le entrate derivanti dalla pubblica amministrazione (-4,2%) e dai finanziamenti a fondo perduto (-9,7%), ma sono aumentate le donazioni (+6,8%) e l’autofinanziamento (+6,4%). Tuttavia, sebbene nel complesso la capacità di fund raising sia migliorata, solo il 17,4% delle organizzazioni intervistate, per lo più di grandi dimensioni, dichiara la presenza di una struttura interna specificamente dedicata.

Un caso particolare sono le cooperative sociali: il 93,3%, nello svolgimento della propria attività di produzione ed erogazione di beni e servizi, ha partner economici o organizzativi; si tratta soprattutto di comuni (66%), di altre organizzazioni del non profit (45%). Molto importanti sono anche gli enti locali quali la regione, la provincia o i consorzi di comuni (indicati dal 45% dei rispondenti); le relazioni con le amministrazioni locali sono quindi fondamentali per coloro che offrono un servizio tradizionalmente erogato dal pubblico. Tra le cooperative sociali non manca la competizione: oltre un terzo opera direttamente in concorrenza con aziende profit, mentre per oltre il 70% di chi ha risposto al sondaggio, i maggiori concorrenti sul territorio sono altre organizzazioni non profit.

Il rapporto UniCredit-Ipsos evidenzia un altro dato che unisce la galassia del non profit: il Terzo Settore non potrebbe esistere senza i volontari, presenti nel 92,9% delle organizzazioni intervistate. Gli enti del campione ne hanno in media 91 e il 40% dedica almeno 5 ore settimanali all’attività di volontariato. In media, i volontari svolgono sei volte il lavoro del personale retribuito presente. Nel 2011, uno studio condotto dall’Istat insieme al Cnel aveva stimato il valore economico del lavoro svolto dai volontari in 7,8 miliardi di euro, corrispondente a 702 milioni di ore l’anno. Tuttavia, secondo la ricerca, “non è ancora possibile una quantificazione del risparmio sociale derivante dalle ore di lavoro messe gratuitamente a disposizione dai quattro milioni di volontari e del benessere materiale e immateriale apportato a chi ha beneficiato delle loro prestazioni, del loro aiuto e della loro affettività”.

Il 37,3% delle organizzazioni impiega anche lavoratori retribuiti. La forza lavoro femminile primeggia nelle istituzioni “produttive”: un 62,3% che inverte completamente la tendenza di un Paese dove il 60% dei lavoratori è un uomo. Tra i 650 mila lavoratori, il 48% ha un contratto a tempo indeterminato, il 34,9% di collaborazione e il 10,8% a tempo determinato. Dei contratti di collaborazione, inoltre, il 67% negli ultimi tre anni è stato rinnovato e il 16,6% è stato convertito in un contratto di lavoro dipendente. Riguardo alle mansioni, il personale retribuito svolge in maggioranza funzioni tecniche-operative (56,1%) mentre l’11,7% si occupa dell’amministrazione e il 20,5% svolge infine funzioni ausiliarie (operai, portantini, autisti, addetti alle pulizie, …).

Infine, il rapporto indica i punti dolenti del mondo del non profit. Il Terzo Settore non è diverso dal resto del Paese, poiché - nota Nicastro - “emerge anche il tratto un po’ molecolare che tende ad essere una delle zavorre storiche delle nostre pmi (piccole medie imprese)”. Ecco allora che servirebbe “un sistema di reti delle onlus, che è la soluzione per mettere mano alla frammentazione del piccolo”. Tuttavia, questa criticità non attenua il giudizio positivo, da un punto di vita economico oltre che sociale, sul Terzo Settore, che, secondo il Direttore di UniCredit, è “l’unico portatore di una grandissima risorsa, assai scarsa in questa nuova fase, che è il pensiero positivo”. Concorda Stefano Zamagni, Presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore, che, firmando la postfazione, riconosce alla ricerca, “il merito di averci mostrato come sia fattualmente possibile accorciare quel ‘sentiero’ di cui parla il ‘pessimista’ Martin Heidegger quando scrive: «Come è lungo ogni sentiero che passa per la prossimità»”.

Pubblicato originariamente da ec.europa.eu

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Re: Terzo settore in Italia: un sistema che vale 67 miliardi di euro
11/06/2012 silviacollodo
UNHGH


Re: Terzo settore in Italia: un sistema che vale 67 miliardi di euro
11/06/2012 silviacollodo


 
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