L’avventurosa vita di un uomo libero. Addio a Goffredo Fofi

E’ morto a 88 anni un operatore culturale a tutto tondo, scomodo, ostinato e contrario. ()
Fofi immagine
Ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere Goffredo Fofi e di condividere con lui alcuni progetti da cui personalmente ho imparato molto e di cui gli sono riconoscente.,
Nato a Gubbio nel 1937 da una famiglia contadina decorosamente povera, non permetteva a nessuno di chiamarlo “maestro” anche se maestro lo era davvero essendosi abilitato all’istituto magistrale.
Dopo esperienze fondamentali per la sua formazione come la partecipazione al movimento di Danilo Dolci in Sicilia negli anni ’50 del secolo scorso e la collaborazione con la prestigiosa rivista di cinema parigina “Positif”, aveva sviluppato una sua particolare linea critica in campo letterario, cinematografico e sociale soprattutto attraverso la partecipazione all’avventura delle riviste “Quaderni piacentini”, prima, e “Ombre rosse” in cui la cultura alta si confrontava con i temi più urgenti del sociale e della politica.
Ma nella sua totale poliedricità Fofi aveva anche coltivato culture decisamente più popolari contribuendo, per esempio, allo “sdoganamento” di Antonio de Curtis in arte Totò con il suo “Totò” (Giulio Savelli editore, 1972) e il successivo “Totò: l’uomo e la maschera” (Feltrinelli, 1977) realizzato con Franca Faldini che di Totò era stata la moglie.

Memorabili poi i due volumi da loro curati dal titolo “L’avventurosa storia del cinema italiano” (Feltrinelli, 1979 e 1981) in cui hanno raccolto centinaia di testimonianze di gente di cinema (registi, attori, sceneggiatori ecc.) che raccontano meglio di qualsiasi saggio il nostro cinema dal 1935 al 1969.
E molti ricordano che, per finanziare progetti sempre più impegnati e impegnativi, Fofi si era anche dedicato alla produzione di letteratura erotica se non addirittura pornografica. Come dire che in alcune occasioni il fine giustifica i mezzi.

Approdato a Milano nei primi anni ’80, dopo residenze romane e napoletane, fonda nel 1983 la rivista “Linea d’ombra”, mensile di storie, immagini, discussione e spettacolo, come recitava il sommario, alla quale collaborano decine e decine di operatori della cultura interessati, come Fofi stesso, a trovare nuove vie della letteratura, del cinema, delle arti espressive e della politica.
Con Fofi e i collaboratori della sua rivista ebbi l’onore di partecipare alla realizzazione di tre edizioni (dal 1990 al 1994) di “Nord Sud Est Ovest”, un’iniziativa dedicata a “vedere, capire, raccontare: letteratura e giornalismo alla fine di un secolo” a cui, tra gli altri, hanno partecipato personalità come Anita Desai, Paul Ginsborg, Elena Poniatowska, Ian McEwan, Eduardo Galeano, Arthur Penn (sì, proprio il regista di “Il piccolo grande uomo” ), Acheng, Christa Wolf, Ryszard Kapuscinski, Amitav Ghosh, Vincenzo Consolo, Annamaria Ortese e Hans Magnus Enzensberger.
Ma già nel 1987 con Goffredo e altri avevo collaborato alla realizzazione della rassegna cinematografica “Lo sguardo degli altri”, dedicata a raccontare attraverso il cinema le varie problematicità della disabilità psichica e fisica.
Nel catalogo che accompagnava l’iniziativa, il titolo del testo di Fofi era “Per un cinema impietoso” in cui tracciava una coerente linea di condotta nel confronti di una tematica su cui spesso si ama indulgere e mistificare.

Ma l’esperienza più divertente e lunga (un anno intero) l’abbiamo condivisa nel 1995 quando, con la complicità anche di Gianni Canova, Paolo Mereghetti e il cinema Anteo, ci siamo inventati la rassegna cinematografica “Cento per Cento. Cento film per cento anni” con cui ricordare e omaggiare i primi cento anni di vita della settima arte.
Da febbraio a dicembre di quell’anno, lo schermo del cinema Anteo propose cento film scelti dagli stessi protagonisti del cinema italiano coinvolti e dai tre critici citati, oltre a omaggi agli stessi autori e interpreti del nostro cinema.
Alla lunga kermesse parteciparono Carlo Verdone, Gianni Amelio, Bernardo Bertolucci, Maurizio Nichetti, Dario Argento, Alberto Sordi, Sabrina Ferilli, Monica Vitti, Mario Monicelli, Gabriele Salvatores, Age e Scarpelli, Ermanno Olmi, Silvio Soldini, Daniele Ciprì e Franco Maresco, Diego Abatantuono, Francesca Archibugi, Marco Ferreri e Mario Martone.
Niente male per rappresentare il cinema italiano alla fine del millennio.
Nella giornata fatidica del 28 dicembre 1995 (esattamente cento anni dopo la prima proiezione del corto “La sortie des usines Lumière” dei fratelli Lumière), un susseguirsi di proiezioni di genere vario culminò con la presentazione del film “Prigionieri della guerra” di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, con accompagnamento musicale dal vivo di Giovanna Marini e del suo ensemble.
E anche qui ci fu lo zampino di Fofi.
Alle ore 2,30 del giorno dopo, preceduta da un cappuccino-break, la kermesse si chiuse con la proiezione di “The Blues Brothers”, film in cui il cinema è più cinema che mai.
Vale ricordare, per onor di territorio, che negli anni milanesi Goffredo abitava in un lindo e luminoso piccolo appartamento in via Palazzi, mentre la redazione di “Linea d’ombra” era in via Gaffurio al civico 4.

Chi era Goffredo Fofi? Difficile se non impossibile definire una personalità così ricca di contenuti anche contrapposti.
Colto come pochi, burbero, a volte sprezzante, spesso incazzoso. Sempre disponibile però al confronto ma anche allo scontro, alla reprimenda ma anche alla comprensione.
Con lui se ne va una delle ultime voci lucide e coerenti di questi nostri tormentati anni. Va da sé che ci mancheranno i suoi graffianti giudizi, il suo bisogno estremo di libertà e di giustizia.
Alla fine degli anni ’90 Fofi lasciò Milano anche avvilito dal clima della città di quegli anni per avviare altre esperienze in altre città.
Quando gli scrissi per complimentarmi per il suo ottimo libro “Il cinema del no”, così mi rispose:” Ciao, sono contento di leggerti e vedrai che prima o poi ci si reincontra…Invecchio rapidamente, ma per ora reggo. E continuo per fortuna a incazzarmi…Ti abbraccio. Goffredo”.

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