L'abbaglio
Un riuscito esercizio di storia patria ben raccontato da Roberto Andò e dai suoi attori.
(Massimo Cecconi)28/01/2025

Abbondante è la letteratura sull’impresa dei Mille sia romanzata che storica, mentre la cinematografia riserva non molte opere tra cui forse la più famosa è “Viva l’Italia” (1961) di Roberto Rossellini, senza dimenticare “Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno mai raccontato” (1972) di Florestano Vancini.
Roberto Andò, nel suo recente “L’abbaglio”, confeziona tra storia e finzione una rilettura alquanto attendibile dell’impresa garibaldina, affidando la recitazione a una terna di attori già brillantemente collaudata nel suo precedente film “La stranezza”.
A Toni Servillo tocca il serioso ruolo del colonnello Vincenzo Giordano Orsini, militare siciliano di lungo corso che, per convincimento, si trova ad assecondare da protagonista l’impresa di Garibaldi. Domenico Tricò (Salvatore Ficarra) e Rosario Spitale (Valentino Picone) rappresentano invece personaggi di assoluta fantasia: due siciliani emigrati al nord che colgono al volo l’opportunità di tornare a scrocco nella loro isola grazie all’arruolamento tra i garibaldini.
A partire dal 5 maggio del 1860, quando i volontari in camicia rossa si imbarcarono a Quarto sui piroscafi Piemonte e Lombardo per sbarcare l’11 maggio a Marsala, accolti bellicosamente dall’esercito borbonico, il film segue le vicende storiche dell’impresa.
Il percorso fantastico invece prevede l’immediata diserzione dei due improbabili volontari e il loro vagabondaggio errabondo per ritrovare frammenti del loro precario passato.
Attraverso alterne fortune, Tricò e Spitale tornano di nuovo agli ordini del colonnello Orsini che non si crea problemi di avere con sé due sottoposti inaffidabili.
Quando le vicende della guerra con il Borbone si mette male, Garibaldi (Tommaso Ragno) escogita una disperata manovra diversiva e l’affida al battaglione comandato dal colonnello Orsini che dovrà depistare l’esercito nemico per consentire all’Eroe dei Due Mondi di entrare senza problemi a Palermo.
L’impresa, contro ogni previsione, riesce anche grazie a un inaspettato gesto di audacia di Tricò e Spitale che ricorda da vicino la drammatica scelta dei soldati interpretati da Alberto Sordi e Vittorio Gassman in “La grande guerra” (1959) di Mario Monicelli.
Per il gustoso finale si rientra nel regno della fantasia e si lascia allo spettatore il piacere di assaporarne gli sviluppi.
In oltre due ore di proiezione “L’abbaglio”, pur non qualche sbavatura di contenuto, non annoia e riporta alla memoria con efficacia una vicenda che è alla base del contrastato processo di unità del nostro Paese.
Impeccabili gli attori protagonisti con il sobrio Servillo a compensare la simpatica esuberanza di Ficarra&Picone a cui si affiancano, tra le altre, le eccellenti presenze di Giulia Lazzarini (la madre di Orsini), Tommaso Ragno, Aurora Quattrocchi, Giulia Andò e Rosario Lisma, il pavido prete di Sambuca.
Va da sé che con il termine “abbaglio“ non si intende tanto l’errore strategico commesso dal generale borbone Jean Luc Von Mechel (Pascal Greggory) quanto le errate valutazioni dei garibaldini stessi i cui ideali di libertà e di giustizia finirono infranti sulle barriere della storia così come del resto insegna Tomasi di Lampedusa nel suo “Il Gattopardo”: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Prossimamente in programmazione al Cinema Palestrina
Roberto Andò, nel suo recente “L’abbaglio”, confeziona tra storia e finzione una rilettura alquanto attendibile dell’impresa garibaldina, affidando la recitazione a una terna di attori già brillantemente collaudata nel suo precedente film “La stranezza”.
A Toni Servillo tocca il serioso ruolo del colonnello Vincenzo Giordano Orsini, militare siciliano di lungo corso che, per convincimento, si trova ad assecondare da protagonista l’impresa di Garibaldi. Domenico Tricò (Salvatore Ficarra) e Rosario Spitale (Valentino Picone) rappresentano invece personaggi di assoluta fantasia: due siciliani emigrati al nord che colgono al volo l’opportunità di tornare a scrocco nella loro isola grazie all’arruolamento tra i garibaldini.
A partire dal 5 maggio del 1860, quando i volontari in camicia rossa si imbarcarono a Quarto sui piroscafi Piemonte e Lombardo per sbarcare l’11 maggio a Marsala, accolti bellicosamente dall’esercito borbonico, il film segue le vicende storiche dell’impresa.
Il percorso fantastico invece prevede l’immediata diserzione dei due improbabili volontari e il loro vagabondaggio errabondo per ritrovare frammenti del loro precario passato.
Attraverso alterne fortune, Tricò e Spitale tornano di nuovo agli ordini del colonnello Orsini che non si crea problemi di avere con sé due sottoposti inaffidabili.
Quando le vicende della guerra con il Borbone si mette male, Garibaldi (Tommaso Ragno) escogita una disperata manovra diversiva e l’affida al battaglione comandato dal colonnello Orsini che dovrà depistare l’esercito nemico per consentire all’Eroe dei Due Mondi di entrare senza problemi a Palermo.
L’impresa, contro ogni previsione, riesce anche grazie a un inaspettato gesto di audacia di Tricò e Spitale che ricorda da vicino la drammatica scelta dei soldati interpretati da Alberto Sordi e Vittorio Gassman in “La grande guerra” (1959) di Mario Monicelli.
Per il gustoso finale si rientra nel regno della fantasia e si lascia allo spettatore il piacere di assaporarne gli sviluppi.
In oltre due ore di proiezione “L’abbaglio”, pur non qualche sbavatura di contenuto, non annoia e riporta alla memoria con efficacia una vicenda che è alla base del contrastato processo di unità del nostro Paese.
Impeccabili gli attori protagonisti con il sobrio Servillo a compensare la simpatica esuberanza di Ficarra&Picone a cui si affiancano, tra le altre, le eccellenti presenze di Giulia Lazzarini (la madre di Orsini), Tommaso Ragno, Aurora Quattrocchi, Giulia Andò e Rosario Lisma, il pavido prete di Sambuca.
Va da sé che con il termine “abbaglio“ non si intende tanto l’errore strategico commesso dal generale borbone Jean Luc Von Mechel (Pascal Greggory) quanto le errate valutazioni dei garibaldini stessi i cui ideali di libertà e di giustizia finirono infranti sulle barriere della storia così come del resto insegna Tomasi di Lampedusa nel suo “Il Gattopardo”: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Prossimamente in programmazione al Cinema Palestrina