I superflui
Il primo appuntamento del 2025 con le proposte di lettura del ciclo “Libri d’autore da riscoprire” è con il romanzo del 1949 di Dante Arfelli.
(Raffaele Santoro)07/01/2025
“I superflui”, scritto da Arfelli a ventotto anni, in soli dieci giorni, è considerato un assoluto capolavoro della nostra letteratura, purtroppo misconosciuto e dimenticato così come lo è il suo autore. Eppure, nel 1949, quando il romanzo uscì, produsse un notevole scalpore ed ebbe un grandissimo successo. Nel corso dei primi anni '50 fu un vero best-seller. Ne furono vendute oltre 100.000 copie e, cosa ancor più eclatante per allora, ebbe un imprevisto successo anche negli Stati Uniti dove fu tradotto e ne furono vendute oltre 800.000 copie. Il libro vinse altresì, in quello stesso anno, il Premio Venezia (l'attuale Premio Campiello). Ma un po' alla volta, dopo quel successo, sul libro e sul suo autore calerà progressivamente l'oblio.
A ciò contribuirà il progressivo “ritiro” di Arfelli dall'attività letteraria, nutrendo egli verso il mondo letterario un'istintiva ritrosia, estraneo come egli era alle luci della ribalta e alle logiche editoriali. Arfelli infatti nasce, nel 1921, a Bertinoro e quando è ancora adolescente la sua famiglia si trasferisce a Cesenatico città dove Arfelli trascorrerà la maggior parte della sua vita e alla quale sarà profondamente legato. Sceglierà quindi di vivere in provincia lontano dai luoghi e dagli ambienti “che contano”, pur avendo conosciuto e frequentato figure di spicco della cultura italiana di allora tra le quali Federico Fellini che era stato suo compagno di Liceo a Rimini. A “I superflui” seguì nel '54 un secondo romanzo “La quinta generazione” che non ebbe però lo stesso successo del primo. E a partire da allora, complice alcuni anni dopo l'insorgere di una malattia, il Parkinson, che lo debiliterà, costringendolo a vivere permanentemente in una casa di riposo, Arfelli smetterà di scrivere. E come la vita del suo autore anche la vita de “I superflui”, nel corso del tempo, è stata travagliata. Pubblicato nella prima edizione del '49 da Rizzoli, “I superflui” fu riedito nel '54 da Vallecchi. Ma intercorsero ben 40 anni prima di essere nuovamente pubblicato, nel '94, da Marsilio. E ne sono trascorsi altri 27 quando, nel 2021, è stato riedito dalla giovane casa editrice "Readerforblind".
E, a tutt'oggi, il valore di questo libro resta assolutamente intatto. Perché nonostante il suo essere calato in quella particolare realtà dell'Italia uscita dalla guerra con tutto ciò che questo comportava in termini di precarietà, miseria, desolazione e disperazione, costituendo in tal senso anche la testimonianza di un'epoca, tuttavia "I superflui" riesce ad emanciparsi dal contesto e dalle contingenze realistiche per raccontarci, da un punto di vista soggettivo, i percorsi dei suoi protagonisti e delle loro vite. Destinati, come essi saranno, a confrontarsi, a convivere e a combattere con una condizione dominata da uno squallore che sarà fisico, materiale, umano ed esistenziale pur non essendo essi, interiormente, partecipi di quello squallore.
Anzi, a fronte di quelle loro esistenze marginali, da perdenti, nelle quali sono trascinati, i protagonisti de "I superflui" mantengono dentro se stessi una loro innocenza e una loro voglia di pulizia, protesi verso una ricerca di liberazione e di redenzione di fronte a quella "esclusione" umiliante che li condanna ad essere "vinti" in partenza. C'è l'anelito a vivere non a morire nei personaggi protagonisti de "I superflui". C'è la voglia di una vita nuova che gli consenta di fargli ritrovare fiducia e dignità e, con esse, l'amore e il rispetto per se stessi. Ma la sconfitta e il fallimento si accaniranno su di essi intrappolandoli dentro quel loro destino di inservibili alla realtà. E quelle loro vite dominate da quel qualcosa che poteva essere e non è mai stato lasciano, a fronte della loro cruda e crudele realtà, un senso di sgomento e di commozione, di spaesamento e di rabbia che rendono questo libro impietoso un libro pieno di pietà.
Arfelli infatti narra ne “I superflui” esistenze di personaggi sperduti, destinati ad una parabola che li renderà perduti a se stessi oltre che perduti nel mondo. Esposti. senza difese e senza protezioni. alle vicissitudini della vita e del caso, in balia di se stessi e degli altri. Alla deriva in un loro eterno presente dove c'è solo un arrangiarsi continuo, un adattarsi in attesa che accada qualcosa. Ad incarnare tutto ciò saranno Luca e Lidia i due assoluti protagonisti de "I superflui" che appaiono da subito sulla scena in quel loro incontro casuale fuori dalla stazione Termini, nella quale Luca è appena sceso da quel suo treno della "speranza" e Lidia vi bazzica facendovi la prostituta. Luca e Lidia sono due giovani e questo rende, a suo modo, "I superflui" un romanzo generazionale ma, da questo punto di vista, non certo un romanzo di formazione bensì, al contrario, il romanzo di una impossibile formazione, di una formazione negata, in quanto non sarà dato loro modo di esprimersi, di mettersi alla prova, di esistere. E, in questo senso, "I superflui" va oltre lo specifico generazionale e il contesto storico-sociale in cui è ambientato, illuminando una condizione umana ed esistenziale assai più ampia: quella degli "esclusi" tout-court, di coloro che vengono triturati nei meccanismi sociali e umani della storia e della vita.
Siamo quindi a Roma nell' immediato dopoguerra e Luca, venuto dalla provincia, vi sbarca per effetto di una “spinta” che l'ha portato lì: tentare l'avventura nella grande città. Ma egli in realtà non ha un progetto su di sé, una indicazione precisa sul che fare ed egli stesso si sente come portato lì dagli eventi più che da un disegno che lui ha determinato. Un vissuto, quello di Luca, di chi è in balia di un destino, un destino che in lui abita e con cui sarà destinato a fare i conti ma, in relazione al quale, scoprirà che a lui e a quelli come lui il proprio destino non appartiene. Ed, in questo senso, l’ incontro con Lidia ne sarà, da subito, una fatale dimostrazione. Perché quell' incontro non cercato e non voluto segnerà e fisserà invece il futuro di Luca e anche quello di Lidia, rivelando tutta l' indeterminatezza dello svolgersi delle cose nella vita di entrambi. Lontano da qualsiasi impatto positivo, Luca si troverà da subito immesso in una situazione dominata dallo squallore e dall' indigenza e, soprattutto, indotto a scelte in cui è stato trascinato dalla necessità, dagli eventi, dagli altri ma senza essere mai realmente lui a padroneggiarle. In altre parole appare, sin dall'inizio, in quella condizione di "ostaggio" nei confronti delle cose e della vita che lo intrappolerà, come se un' inettitudine alla vita lo dominasse suo malgrado, a prescindere dalla sua volontà. Perché Luca non è oggetto inconsapevole di se stesso, egli capisce che quella non è la vita che aveva in mente e vorrebbe fuoriuscire al più presto da quello squallore e da quella miseria sia materiale che esistenziale nelle quali si è ritrovato. Ma Luca che non è un essere arido, che non vive rinchiuso nella mediocrità si troverà, ben presto, di fronte un mondo dominato proprio dalla mediocrità, dall'indifferenza, dall'incomprensione. Infatti l'altro fronte, che si rivelerà per lui frustrante ed avvilente, che doveva essere peraltro determinante ai fini della sua “emancipazione”, sarà quello della ricerca di un posto di lavoro. Giunto a Roma con in tasca due lettere di raccomandazione di altrettanti compaesani, il parroco e il segretario della sezione socialista, Luca constaterà l'abissale distanza fra le aspettative che in quelle due lettere nutriva e la realtà impietosa e impotente che le persone a cui quelle due lettere erano indirizzate gli metteranno di fronte. I vari pellegrinaggi di Luca dal monsignore e dal vecchio funzionario socialista, i destinatari appunto di quelle lettere, i quali gli avrebbero dovuto aprire le porte di una qualche opportunità si riveleranno avari ed inutili, facendo subentrare la delusione, la sfiducia, lo scoramento. Luca scopre così che in quella nuova realtà non vi era nulla di scontato, bensì essa gli si rivelava con tutte le sue complicazioni, mostrandosi, di fatto, inafferrabile e irraggiungibile. Arfelli muove i personaggi in contesti più interni che esterni. Di Roma vie e piazze non sono mai nominate, la città resta sullo sfondo, sfuggente ed estranea, diventando per lo più un fondale. Il romanzo si svolge perciò, prevalentemente, nei miseri e ristretti ambienti dell'appartamento abitato dai due protagonisti. Con una prosa pacata e lineare che depura le tensioni e le angosce riuscendo, nel contempo, a mantenere sempre alta la tensione narrativa, Arfelli ci descrive, anche minuziosamente, i particolari delle vite dei personaggi. In un convivere del loro quotidiano, finanche nei suoi risvolti più banali, con il “racconto” dei loro sentimenti che lo svolgersi di quelle loro vite produrrà in loro. Ma "I superflui" non è certo un romanzo fatto di buoni sentimenti, bensì c'è in questo raccontare e raccontarsi lo sfogo per quanto dentro di sé si è accumulato senza trovare risposte, la rabbia per quella sensazione di essere sempre allo stesso punto, la messa a nudo impietosa del proprio destino. Lontano da appartenenza neorealistiche "I superflui" si rivela quindi, a suo modo, un romanzo esistenzialista, centrato, come esso è, sulla lotta del singolo per affermare se stesso nel mondo e, in questa sua lotta, egli appare come uno straniero nella società dove vive finendo per errare nei meandri di una vita privata isolata e di una vita sociale estranea. Più che la denuncia, l'impegno, la radicalità del messaggio sociale sono perciò il senso di angoscia esistenziale e la sensazione di irresolubile incomunicabilità tra sé e il mondo a trasparire e a prevalere ne "I superflui". E proprio in virtù di questa impronta esistenzialista c'è, non a caso, chi ha definito Arfelli l' Albert Camus italiano.
Se Luca finirà irretito in quella esistenza “liquida” a tentare di non abdicare ad essa sarà Lidia che è spinta da una forza interiore che la muove, quella del riscatto. Lidia sta cercando di fare soldi il più in fretta possibile per pagarsi il viaggio in Argentina dove intende emigrare, facendola così finita per sempre con il mestiere. Ella cura con dedizione questo suo progetto nel quale vede la possibilità, l’ unica possibilità, per rifarsi una vita. Ma gli sforzi di Lidia sono vani perché senza rendersene conto ella sta combattendo con una realtà più grande e più forte di lei, rispetto alla quale sarà lei ad uscirne sconfitta. In quella loro convivenza, nata dal caso e dalla necessità, Luca e Lidia finiscono così per condividere il quotidiano di quella vita ma anche una intimità di fatto che finisce per legarli. E sarà Lidia, ancora una volta, ad avere slanci ed aperture e a cercare un "incontro" con Luca che introduca in quelle loro vite, prosciugate da qualsiasi contenuto affettivo, un po' di amore. Ma in quelle vite dove persino sperare diventa un lusso, l'amore finirà per essere un sentimento troppo complicato e difficile e Lidia che, a suo modo, si innamora di Luca, si dovrà arrendere a quell'evidenza. Tuttavia il loro sarà un rapporto profondissimo e commovente perché l' unica appartenenza, nelle loro vite, su cui potranno contare e in cui, soprattutto, si riconosceranno reciprocamente sarà proprio quel loro modo di "stare insieme", privo di vincoli, privo di passione amorosa, privo di progetti ma libero in realtà proprio da quella distruttività a cui la vita li aveva costretti ed abituati e dalla quale, alla fine, Lidia sarà colpita in modo quasi sacrificale. Accomunati da quella condizione di esclusione che li separava dal mondo Luca e Lidia restano, in conclusione, figure indimenticabili per quel loro essere, in modo così tragico, vittime della realtà ma anche di se stessi. Interpreti di un destino che coincide con quello degli ultimi e dei dimenticati.
A ciò contribuirà il progressivo “ritiro” di Arfelli dall'attività letteraria, nutrendo egli verso il mondo letterario un'istintiva ritrosia, estraneo come egli era alle luci della ribalta e alle logiche editoriali. Arfelli infatti nasce, nel 1921, a Bertinoro e quando è ancora adolescente la sua famiglia si trasferisce a Cesenatico città dove Arfelli trascorrerà la maggior parte della sua vita e alla quale sarà profondamente legato. Sceglierà quindi di vivere in provincia lontano dai luoghi e dagli ambienti “che contano”, pur avendo conosciuto e frequentato figure di spicco della cultura italiana di allora tra le quali Federico Fellini che era stato suo compagno di Liceo a Rimini. A “I superflui” seguì nel '54 un secondo romanzo “La quinta generazione” che non ebbe però lo stesso successo del primo. E a partire da allora, complice alcuni anni dopo l'insorgere di una malattia, il Parkinson, che lo debiliterà, costringendolo a vivere permanentemente in una casa di riposo, Arfelli smetterà di scrivere. E come la vita del suo autore anche la vita de “I superflui”, nel corso del tempo, è stata travagliata. Pubblicato nella prima edizione del '49 da Rizzoli, “I superflui” fu riedito nel '54 da Vallecchi. Ma intercorsero ben 40 anni prima di essere nuovamente pubblicato, nel '94, da Marsilio. E ne sono trascorsi altri 27 quando, nel 2021, è stato riedito dalla giovane casa editrice "Readerforblind".
E, a tutt'oggi, il valore di questo libro resta assolutamente intatto. Perché nonostante il suo essere calato in quella particolare realtà dell'Italia uscita dalla guerra con tutto ciò che questo comportava in termini di precarietà, miseria, desolazione e disperazione, costituendo in tal senso anche la testimonianza di un'epoca, tuttavia "I superflui" riesce ad emanciparsi dal contesto e dalle contingenze realistiche per raccontarci, da un punto di vista soggettivo, i percorsi dei suoi protagonisti e delle loro vite. Destinati, come essi saranno, a confrontarsi, a convivere e a combattere con una condizione dominata da uno squallore che sarà fisico, materiale, umano ed esistenziale pur non essendo essi, interiormente, partecipi di quello squallore.
Anzi, a fronte di quelle loro esistenze marginali, da perdenti, nelle quali sono trascinati, i protagonisti de "I superflui" mantengono dentro se stessi una loro innocenza e una loro voglia di pulizia, protesi verso una ricerca di liberazione e di redenzione di fronte a quella "esclusione" umiliante che li condanna ad essere "vinti" in partenza. C'è l'anelito a vivere non a morire nei personaggi protagonisti de "I superflui". C'è la voglia di una vita nuova che gli consenta di fargli ritrovare fiducia e dignità e, con esse, l'amore e il rispetto per se stessi. Ma la sconfitta e il fallimento si accaniranno su di essi intrappolandoli dentro quel loro destino di inservibili alla realtà. E quelle loro vite dominate da quel qualcosa che poteva essere e non è mai stato lasciano, a fronte della loro cruda e crudele realtà, un senso di sgomento e di commozione, di spaesamento e di rabbia che rendono questo libro impietoso un libro pieno di pietà.
Arfelli infatti narra ne “I superflui” esistenze di personaggi sperduti, destinati ad una parabola che li renderà perduti a se stessi oltre che perduti nel mondo. Esposti. senza difese e senza protezioni. alle vicissitudini della vita e del caso, in balia di se stessi e degli altri. Alla deriva in un loro eterno presente dove c'è solo un arrangiarsi continuo, un adattarsi in attesa che accada qualcosa. Ad incarnare tutto ciò saranno Luca e Lidia i due assoluti protagonisti de "I superflui" che appaiono da subito sulla scena in quel loro incontro casuale fuori dalla stazione Termini, nella quale Luca è appena sceso da quel suo treno della "speranza" e Lidia vi bazzica facendovi la prostituta. Luca e Lidia sono due giovani e questo rende, a suo modo, "I superflui" un romanzo generazionale ma, da questo punto di vista, non certo un romanzo di formazione bensì, al contrario, il romanzo di una impossibile formazione, di una formazione negata, in quanto non sarà dato loro modo di esprimersi, di mettersi alla prova, di esistere. E, in questo senso, "I superflui" va oltre lo specifico generazionale e il contesto storico-sociale in cui è ambientato, illuminando una condizione umana ed esistenziale assai più ampia: quella degli "esclusi" tout-court, di coloro che vengono triturati nei meccanismi sociali e umani della storia e della vita.
Siamo quindi a Roma nell' immediato dopoguerra e Luca, venuto dalla provincia, vi sbarca per effetto di una “spinta” che l'ha portato lì: tentare l'avventura nella grande città. Ma egli in realtà non ha un progetto su di sé, una indicazione precisa sul che fare ed egli stesso si sente come portato lì dagli eventi più che da un disegno che lui ha determinato. Un vissuto, quello di Luca, di chi è in balia di un destino, un destino che in lui abita e con cui sarà destinato a fare i conti ma, in relazione al quale, scoprirà che a lui e a quelli come lui il proprio destino non appartiene. Ed, in questo senso, l’ incontro con Lidia ne sarà, da subito, una fatale dimostrazione. Perché quell' incontro non cercato e non voluto segnerà e fisserà invece il futuro di Luca e anche quello di Lidia, rivelando tutta l' indeterminatezza dello svolgersi delle cose nella vita di entrambi. Lontano da qualsiasi impatto positivo, Luca si troverà da subito immesso in una situazione dominata dallo squallore e dall' indigenza e, soprattutto, indotto a scelte in cui è stato trascinato dalla necessità, dagli eventi, dagli altri ma senza essere mai realmente lui a padroneggiarle. In altre parole appare, sin dall'inizio, in quella condizione di "ostaggio" nei confronti delle cose e della vita che lo intrappolerà, come se un' inettitudine alla vita lo dominasse suo malgrado, a prescindere dalla sua volontà. Perché Luca non è oggetto inconsapevole di se stesso, egli capisce che quella non è la vita che aveva in mente e vorrebbe fuoriuscire al più presto da quello squallore e da quella miseria sia materiale che esistenziale nelle quali si è ritrovato. Ma Luca che non è un essere arido, che non vive rinchiuso nella mediocrità si troverà, ben presto, di fronte un mondo dominato proprio dalla mediocrità, dall'indifferenza, dall'incomprensione. Infatti l'altro fronte, che si rivelerà per lui frustrante ed avvilente, che doveva essere peraltro determinante ai fini della sua “emancipazione”, sarà quello della ricerca di un posto di lavoro. Giunto a Roma con in tasca due lettere di raccomandazione di altrettanti compaesani, il parroco e il segretario della sezione socialista, Luca constaterà l'abissale distanza fra le aspettative che in quelle due lettere nutriva e la realtà impietosa e impotente che le persone a cui quelle due lettere erano indirizzate gli metteranno di fronte. I vari pellegrinaggi di Luca dal monsignore e dal vecchio funzionario socialista, i destinatari appunto di quelle lettere, i quali gli avrebbero dovuto aprire le porte di una qualche opportunità si riveleranno avari ed inutili, facendo subentrare la delusione, la sfiducia, lo scoramento. Luca scopre così che in quella nuova realtà non vi era nulla di scontato, bensì essa gli si rivelava con tutte le sue complicazioni, mostrandosi, di fatto, inafferrabile e irraggiungibile. Arfelli muove i personaggi in contesti più interni che esterni. Di Roma vie e piazze non sono mai nominate, la città resta sullo sfondo, sfuggente ed estranea, diventando per lo più un fondale. Il romanzo si svolge perciò, prevalentemente, nei miseri e ristretti ambienti dell'appartamento abitato dai due protagonisti. Con una prosa pacata e lineare che depura le tensioni e le angosce riuscendo, nel contempo, a mantenere sempre alta la tensione narrativa, Arfelli ci descrive, anche minuziosamente, i particolari delle vite dei personaggi. In un convivere del loro quotidiano, finanche nei suoi risvolti più banali, con il “racconto” dei loro sentimenti che lo svolgersi di quelle loro vite produrrà in loro. Ma "I superflui" non è certo un romanzo fatto di buoni sentimenti, bensì c'è in questo raccontare e raccontarsi lo sfogo per quanto dentro di sé si è accumulato senza trovare risposte, la rabbia per quella sensazione di essere sempre allo stesso punto, la messa a nudo impietosa del proprio destino. Lontano da appartenenza neorealistiche "I superflui" si rivela quindi, a suo modo, un romanzo esistenzialista, centrato, come esso è, sulla lotta del singolo per affermare se stesso nel mondo e, in questa sua lotta, egli appare come uno straniero nella società dove vive finendo per errare nei meandri di una vita privata isolata e di una vita sociale estranea. Più che la denuncia, l'impegno, la radicalità del messaggio sociale sono perciò il senso di angoscia esistenziale e la sensazione di irresolubile incomunicabilità tra sé e il mondo a trasparire e a prevalere ne "I superflui". E proprio in virtù di questa impronta esistenzialista c'è, non a caso, chi ha definito Arfelli l' Albert Camus italiano.
Se Luca finirà irretito in quella esistenza “liquida” a tentare di non abdicare ad essa sarà Lidia che è spinta da una forza interiore che la muove, quella del riscatto. Lidia sta cercando di fare soldi il più in fretta possibile per pagarsi il viaggio in Argentina dove intende emigrare, facendola così finita per sempre con il mestiere. Ella cura con dedizione questo suo progetto nel quale vede la possibilità, l’ unica possibilità, per rifarsi una vita. Ma gli sforzi di Lidia sono vani perché senza rendersene conto ella sta combattendo con una realtà più grande e più forte di lei, rispetto alla quale sarà lei ad uscirne sconfitta. In quella loro convivenza, nata dal caso e dalla necessità, Luca e Lidia finiscono così per condividere il quotidiano di quella vita ma anche una intimità di fatto che finisce per legarli. E sarà Lidia, ancora una volta, ad avere slanci ed aperture e a cercare un "incontro" con Luca che introduca in quelle loro vite, prosciugate da qualsiasi contenuto affettivo, un po' di amore. Ma in quelle vite dove persino sperare diventa un lusso, l'amore finirà per essere un sentimento troppo complicato e difficile e Lidia che, a suo modo, si innamora di Luca, si dovrà arrendere a quell'evidenza. Tuttavia il loro sarà un rapporto profondissimo e commovente perché l' unica appartenenza, nelle loro vite, su cui potranno contare e in cui, soprattutto, si riconosceranno reciprocamente sarà proprio quel loro modo di "stare insieme", privo di vincoli, privo di passione amorosa, privo di progetti ma libero in realtà proprio da quella distruttività a cui la vita li aveva costretti ed abituati e dalla quale, alla fine, Lidia sarà colpita in modo quasi sacrificale. Accomunati da quella condizione di esclusione che li separava dal mondo Luca e Lidia restano, in conclusione, figure indimenticabili per quel loro essere, in modo così tragico, vittime della realtà ma anche di se stessi. Interpreti di un destino che coincide con quello degli ultimi e dei dimenticati.