Serve proprio questa città della salute?

Il progetto Città della Salute non ha mai ascoltato gli operatori degli istituti che dovrebbero essere spostati da Città Studi, il neurologico Besta e l'Istituto Nazionale dei Tumori. Un gruppo di professionisti ha cominciato a farlo, scoprendo esigenze ben diverse da quelle pubblicizzate ufficialmente. Al posto di progetti urbanistici calati dall'alto, emerge che l'Int non ha interesse a spostarsi, dati gli investimenti fatti. Mentre il Besta dovrebbe insediarsi nell'area di un grande Ospedale generale, per esempio Niguarda, con cui condividere i servizi. E' un quadro che Gigi Campolo, primario ospedaliero emerito, delinea passo dopo passo.
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istituto Besta

Gigi Campolo, primario emerito dell’ospedale di Niguarda, ha recentemente firmato, con altri colleghi, una lettera al Corriere della Sera in cui la questione Città della Salute è stata di fatto ribaltata. Invece di un progetto calato dall’alto, orchestrato dalla Regione, la lettera chiede di mettere al centro, nelle scelte sul futuro del Besta e dell’Istituto Tumori le esigenze concrete di chi lavora ogni giorno nei due istituti. Una richiesta che potrebbe apparire ovvia, ma che così non è. E che ha fatto un certo sclpore, facendo uscire la discussione sulla Città della salute dal limbo (un po’ malsano) dei soli progetti edilizi, o urbanistici, contrapposti. Verso requisiti sanitari e di sviluppo reali dei due istituti. Quali la non opportunità di spostare l’Istituto Tumori. E, per il Besta, la sua collocazione vicina a un grande Ospedale generalista.

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Come ricostruisci l’intera vicenda?

Tutta la discussione sulla Città della Salute si è caratterizzata, almeno finora, per la scarsa partecipazione della dirigenza sia dei tumori che del Besta. Si è svolta al di sopra degli operatori, prevedendo l’istituzione di questa Città della Salute come progetto capace di riunire in un unico punto una città di cura e di ricerca. Riunendo tre soggetti: due Ircs e l’ospedale Sacco di Milano. Su un territorio vicino a lui, ai confini con il comune di Nerviano. Un posto presentato come il polo pubblico di ricerca di alto livello.

Contro questo progetto si era già espressa la rappresentanza sindacale dell’Isituto dei tumori, sostenendo che era illogico un suo spostamento dato che aveva appena fatto grossi investimenti, come l’AmadeoLab, per arricchire la sua dotazione di ricerca e di laboratori.

In apparenza il Besta non diceva nulla. Anche perchè al Besta era stato messo un direttore generale  di sicura fede formigoniana. Che è apparso come il soggetto interno per far passare questa operazione.

Ma veniamo ai giorni nostri: due anni fa mettono in piedi un comitato per la città della salute, che ha sperperato un sacco di soldi per fare progetti, che poi si scioglie l’anno scorso.

A fine 2011 si capisce che l’area non ha i requisiti necessari, perché le passa in mezzo un torrente che mette a rischio la sua stabilità idrogeologica. In secondo luogo mancava delle infrastrutture di trasporto. O il Comune spendeva svariati miliardi per portare lì metropolitane leggere e quant’altro, oppure sarebbe rimasta una zona comunque non raggiungibile. A quel punto quell’ipotesi è caduta verticalmente. Ed è iniziato un gioco anche tra Comune e Regione su dove collocare alternativamente la Città della Salute. Sono state individuate due ipotesi. Per il Comune la caserma Perrucchetti, per la Regione l’area di Sesto San Giovanni, offerta dal sindaco di Sesto. Ambedue sono aree pubbliche senza costi particolari, con necessità di alcune bonifiche, più facili sulla Perrucchetti e meno su quella di Sesto, ma comunque questo un problema di chi dovrà eventualmente operare la bonifica.

Entriamo nella scelta tra Perrucchetti e Area Falck….

E’ una situazione di stallo trascinatasi da dicembre, a colpi di ripetuti ultimatum che si sono dati la Regione e Comune. Senza però uscire da questa dicotomia.

Il forum Salute di Sel, a cui partecipo, usciva nel frattempo con un documento in cui non si prendeva posizione né per l’una né per l’altra soluzione ma si indicavano semplicemente alcuni requisiti. A quel punto sono partite alcune manovre, anche sostenute da personaggi Pd, per spingere la soluzione Sesto. Ma è stata l’altra ipotesi, più pericolosa, quella che avanza l’ipotesi di trasferire questi istituti vicino al Cerba, ovvero quell’istituto privato che Veronesi ha avviato sui terreni di Ligresti vicino all’Ieo nel Parco Sud. L’unico che ha sposato l’ipotesi Cerba è stato Podestà della Provincia. Mentre Formigoni è rimasto defilato, ma molti pensano sia l’ipotesi che davvero preferisce.

Questa ipotesi però ha ricevuto risposte negative piuttosto dure da parte dei due istituti, che non vogliono farsi colonizzare da Veronesi.

Ovvero: quello che ha scelto la strada del privato ora vuol cavalcare due strutture pubbliche, ciascuna con 30-40 anni di storia.

Mentre questo avveniva, l’interlocuzione con i responsabili operativi sia dell’Istituto Tumori che del Neurologico non è mai avvenuta. Quando abbiamo cominciato a parlare con loro abbiamo scoperto alcune cose. Primo, i due istituti sono strutture monospecialistiche, e come tali con molti difetti. E quindi aveva senso non tanto mettere insieme loro due, ma con un ospedale generale. Con i vantaggi di avere tutte le strutture e tutti i servizi che la struttura monospecialistica fa difetto ad avere. Dato che è saltata l’operazione con il Sacco questa opportunità è venuta meno.

Secondo, viene fuori che le due strutture hanno degenze molto diverse. Il Besta ormai non ha più spazio, non è in grado di allargarsi di un solo metro. Ha già un sacco di attività fuori, de localizzate, e per crescere ha bisogno di un’area assolutamente nuova. Mentre il Tumori non ha questo problema di aver riempito già tutti gli spazi, o quantomeno non è così impellente. In più tra i due istituti, che pure si rispettano a vicenda, l’idea che possano formare un polo di ricerca è una stupidata. Non hanno mai fatto una ricerca in comune. I partner li trovano a livello internazionale, ma non tra di loro perché fanno cose davvero diverse.

Il neurologico ritiene davvero di aver bisogno di un ospedale generale, perché la sua monospecialità è isolante, e non la fa crescere.

Questa è la situazione ad oggi. Le ipotesi sul tappeto sono due palesi e una nascosta. Le palesi sono Sesto-Falck e la Perrucchetti, la terza nascosta è l’adesione al Cerba di Veronesi.

 

Il che salverebbe anche gli interessi del gruppo immobiliare Ligresti, proprietario di quei terreni, oggi in gravi difficoltà…

Il nostro problema non è salvare gli immobiliaristi. Ma di dare un futuro a due istituti di grande valore.


Come è nata la lettera al Corriere?

 

La lettera sul Corriere è nata da un articolo di Schiavi, in cui si cominciava a parlare di temi concreti. Noi abbiamo solo detto che per fare questa scelta bisognava sentire i diretti interessati, senza imporre soluzioni sopra la loro testa.

In fondo la scelta dell’uno o dell’altro è indifferente. Quindi non è detto che le interazioni tra i due istituti siano così grandi, nè è detto che abbiano lo stesso bisogno di nuovi spazi per svilupparsi, non è detto che almeno uno dei due istituti non abbia bisogno di un ospedale generale per crescere. Quindi bisogna coinvolgere i responsabili operativi, oltre i direttori generali.

Le differenze sono evidenti. L’Istituto dei tumori ha già avuto molte estensioni in città Studi, ha acquisito un notevole complesso ex Siemens a Via Amadeo.

Per il Besta c’è invece un  problema centrale. Ha il massimo interesse alla prossimità di un grande ospedale. E qualcuno ha proposto il Niguarda, che ha costruito vari palazzi nuovi al suo interno e ha dismesso una serie di corsie, che potrebbero essere riattate. O in alternativa potrebbe essere il Policlinico, usando gli spazi del Pini… tante ipotesi, ma la necessità è quella di stare vicini all’ospedale generale.

Conseguenze per la Zona Tre?

Questi sono istituti non solo di rilievo nazionale, ma internazionale. Certo, alla Zona 3 può dispiacere che vadano via queste strutture di prestigio, ma la realtà è quella che è. Il punto però è: se vanno via, non permettiamo che quegli spazi vadano solo a edilizia privata, ma a strutture sanitarie alternative, magari ambulatoriali. Ormai la zona non ha quasi più nulla di sanitario.

Il messaggio riassuntivo?

Il punto è che siano costretti a uscire allo scoperto gli operatori, in particolare quelli del Besta. Non possiamo progettare o programmare sulla loro testa.

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Sul futuro e i problemi dell'Istituto Nazionale dei Tumori un'intervista a Pasquale Brunacci, coordinatore dell'Rsu dell'Int (continua a leggere).

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A cura di: Beppe Caravita


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