Pallottole e Paillettes. A spasso per corso Buenos Aires e dintorni (I parte)


Un racconto di strada. Nomicosecittà organizza una serie di passeggiate “narrative” per la città, guidate da artisti, scrittori ed esperti per conoscere storie e luoghi di Milano. Il primo appuntamento è stato condotto da Piero Colaprico in zona 3.
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IMG 0093 Colaprico e pubblico

Ci ritroviamo in una cinquantina di persone davanti al civico 3 di via Malpighi. Abbiamo di fronte una delle case più belle di Milano e forse d’Italia, un inno al Liberty, un palazzo (Casa Galimberti) splendidamente decorato in ceramica dipinta. Ma non siamo qui per ammirare l’opera d’arte. Nomicosecittà ha organizzato una passeggiata culturale che, dal cuore di Porta Venezia, si sviluppa lungo l’asse più commerciale di Milano, corso Buenos Aires. Il mentore di questa iniziativa è Piero Colaprico, scrittore, giornalista di “La Repubblica”. Che per lavoro e per passione conosce perfettamente la città, nella luce del sole e soprattutto nelle ombre delle innumerevoli reti sotterranee.


Al civico 3 di via Malpighi, dove oggi c’è il “Panino Giusto”, c’era un tempo il ristorante-pizzeria “Transatlantico”, molto famoso e molto frequentato anche perché stava aperto sino alle ore piccole. Per esperienza diretta la pizza era molto buona, sicuramente migliore di “Rosy e Gabriele”, distante poche decine di metri in via Sirtori, che era la pizzeria preferita di un certo Bettino Craxi.


Racconta Colaprico, anche leggendo alcuni brani del libro di Giorgio Bocca Il partigiano delle parole, che la sera del 22 gennaio 1979 una banda di malavitosi di modesta tacca fece irruzione nel ristorante “Transatlantico” per compiere una rapina. Vittima designata il gioielliere Pier Luigi Torregiani. Il gioielliere estrae la rivoltella, legalmente detenuta, e cerca di difendersi. Risultato: muore un rapinatore e un cliente del ristorante, Torregiani resta ferito leggermente. 


In quegli anni, Milano è funestata da rapine, furti, fatti di sangue vari legati alla malavita (ma non solo) che controlla il territorio. E Porta Venezia è spesso al centro dell’attenzione dei balordi, numerosi sono gli episodi che coinvolgono ristoranti e locali della zona, con morti e feriti. 

In questo clima, accade anche che muoia un boss del quartiere e al suo funerale la banda esegue le musiche di Il Padrino.

Ma torniamo a Torregiani, per onore di storia, il 16 febbraio dello stesso anno, un commando del Pac (Proletari armati per il comunismo), gruppo nel quale militava Cesare Battisti, quello che oggi vive impunito in Brasile, “giustizia” il gioielliere nel suo negozio per vendicare il fatto del “Transatlantico”, in nome di una presunta lotta di classe.

Inizia quindi con le pallottole il racconto di strada di Colaprico. 


Facciamo poche decine di metri e in via Melzo, nel palazzo accanto a quello dove abitava Giovanni Raboni, un giovane testimone racconta un’altra storia. Dove ora c’è una lavanderia, sino a pochi anni fa c’era il “Bar Paradiso” con bigliardo, molto frequentato dagli uomini del quartiere. 

Dal retro del bar, si accedeva ad un altro frequentatissimo “paradiso”, un autentico bordello che è sopravvissuto sino agli anni ’90 e i cui movimenti erano visibilissimi dalle case di fronte.


Ancora poche decine di metri e ci si ferma quasi all’angolo con corso Buenos Aires, gli organizzatori (davvero ben organizzati) ci fanno ascoltare alcune strofe della canzone Corso Buenos Aires di Lucio Dalla (anno 1977) nella quale esplodono vivacissimi elementi di vita (si parla di terroni, cani, bambini, ladri di tonno, salame e banane) di questa strada che sembra rappresentare il volto feroce della metropoli: “Dev’essere uno slavo/ che dorme alla stazione/ quegli occhi senza luce/ è senz’altro un mascalzone”, un testo quanto meno premonitore, molti anni prima dell’avvento dell’esecrata Lega.


Subito dopo, Colaprico legge e fa leggere alcune brani del suo libro Manuale di sopravvivenza per immigrati clandestini in cui un tale Joan Lovinescu, un rumeno giunto da poco a Milano, viene pedinato per un mese da due studenti con lo scopo di documentare appunto la sua esperienza di sopravvivenza. L’uomo sbarca la mattina presto in zona Buenos Aires, si va a lavare e a sbarbare (perché ci tiene alla decenza) nei bagni di un fastfood, si profuma gratis nelle profumerie del corso, va a chiedere l’elemosina davanti alla chiesa di Santa Francesca Romana. Poi, prima di notte, si ritira perché non si sente sicuro con tutta quella gente strana che frequenta Buenos Aires e dintorni, un’autentica “zona di scambio” dove, un tempo, arrivavano i treni dal sud.

Ma in corso Buenos Aires accade anche che, pochi anni fa, alcuni aderenti ai Centri sociali, per protestare contro una manifestazione fascista, mettano a ferro e fuoco il quartiere ed è una delle rare volte che la gente comune, sconvolta da tanta violenza, incita la polizia a fare giustizia, anche sommaria.


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