Everything Everywhere All at Once

Grande confusione sotto il cielo (del cinema). Situazione scadente. ()
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Per raccontare due banali vicende di conflittualità, una familiare e una burocratica, gli autori del film non hanno badato al risparmio, inserendo nella narrazione tutto e il contrario di tutto per rappresentare:” Tutto ovunque tutto in una volta”, come letteralmente si può tradurre il titolo originale del film che ha recentemente incassato ben sette statuette nell’ultima notte degli Oscar.
E non statuette secondarie: film, regia, attrice protagonista, attore non protagonista (quasi insopportabile la sua acutissima voce nella versione originale), attrice non protagonista, sceneggiatura originale, montaggio. Paradossalmente “Everything, Everywhere, All at Once” non ha vinto il premio per gli effetti speciali, categoria in cui non aveva neppure ricevuto la nomination.
Decisamente strano per un film concepito proprio per fare effetto.
Per descrivere il super film degli Oscar gli aggettivi si sprecano: esorbitante, violento, sconclusionato, eccessivo, inconcludente, lungo, strabordante, provocatorio, limitato, deludente, spiazzante e, persino, buonista.
Dimenticatevi la geniale creatività di “Helzapoppin’”, questo sì capolavoro del non senso, ma anche il peggior Tarantino, in “Everything ecc.ecc.”, ancorché in presenza di labilissima trama, volano ciambelle giganti, le dita delle mani si trasformano in salsicciotti, sventolano falli allegorici e si sprecano dimostrazioni estreme di arti marziali, anche se nessuno si fa veramente male.
C’è poi la questione del multiverso e degli universi paralleli in cui si scompone/ricompone la vicenda di una famiglia di origine cinese che gestisce una lavanderia a gettoni e deve sbrogliare una questione con l’Agenzia delle entrate, rappresentata da una solerte e scrupolosa impiegata (l’irriducibile Jamie Lee Curtis).
Film lungo e noioso, parodia di parodie, con qualche citazione colta e meno colta , in cui i registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert (rinominati “Daniels”) si confermano principalmente come autori di videoclip e di un solo non memorabile lungometraggio. Dopo la vittoria agli Oscar non osiamo ipotizzare cosa mai combineranno in futuro.
Senza enfatizzare, anche perché non sarebbe proprio il caso, il valore degli Oscar, resta però un mistero cosa abbia spinto i componenti dell’Academy Award a riconoscere così tanti premi a un film che neppure nella categoria degli incassi risulta memorabile.
Tra le nomination brilla per esser stato totalmente trascurato quel “Gli spiriti dell’isola” che in una competizione non gonfiata avrebbe vinto e stravinto anche per l’interpretazione crepuscolare di Colin Farrell e di Brendan Gleeson che, loro sì, avrebbero meritato miglior sorte.
De gustibus? De gustibus. Ma vuoi mettere un buon film?

In programmazione al Cinema Plinius e all’Arcobaleno Film Center

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