I quartieri del Municipio 3: il Quartiere Feltre

Un esempio riuscito della nuova architettura "neorealista" al servizio dell'edilizia popolare nel secondo dopoguerra. Il Quartiere Feltre è la prima tappa di un percorso attraverso il territorio del nostro Municipio, per scoprirne caratteristiche e peculiarità. ()
quartiere feltre
Inauguriamo oggi una serie di articoli sui quartieri del Municipio 3, sulla loro storia, sulle loro caratteristiche sociali, imprenditoriali, artistiche e ambientali.

Il Municipio 3 si estende verso est dal centro cittadino e comprende i seguenti quartieri: Cimiano, Rottole-Quartiere Feltre, Buenos Ayres-Porta Venezia, Città Studi, Lambrate-Ortica, Loreto e Parco Forlanini-Cavriano.

Iniziamo con il quartiere che prende nome dalla via Feltre, arteria che congiunge la città con il vasto Parco Lambro, posto immediatamente a nord del quartiere. Si tratta di un quartiere relativamente recente costruito negli anni ’50.

L’emergenza post bellica indirizzò la politica verso l’opera di ricostruzione e lo sviluppo dell’occupazione, ponendo come prioritario il tema della “casa per tutti”.

INA Casa

Una svolta significativa è impressa dalla “Legge Fanfani” del 1949, che avvia un piano settennale finalizzato a “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori”

Il piano INA-Casa fu un piano di intervento dello stato per realizzare edilizia residenziale pubblica economica su tutto il territorio italiano. Un grandiosa macchina per l’abitazione” senza uguali nel secolo scorso che consentì la realizzazione di un notevole numero di case (per metà assegnate in locazione e per metà cedute in proprietà). Il piano aveva a disposizione dei fondi gestiti da un'apposita organizzazione presso l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), la Gestione INA-Casa.

Inizialmente il piano prevedeva una durata settennale, ma successivamente venne prorogato di ulteriori sette anni.

Grande promotore dell'iniziativa fu l'allora ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Amintore Fanfani, tanto che, successivamente, il piano nei commenti giornalistici e nell’uso comune venne spesso denominato "Piano Fanfani".

L'intervento gestito dall'INA-Casa voleva favorire, oltre al rilancio dell'attività edilizia, anche l'assorbimento di un considerevole numero di disoccupati e la costruzione di alloggi per le famiglie a basso reddito. Molti hanno definito l'intervento come ispirato alle teorie economiche di Keynes, assumendo come modello di riferimento l'Inghilterra del "Piano Beveridge", che è servito da base per la riforma dello stato sociale britannico messa in atto dal governo laburista eletto nelle elezioni generali del 1945. Teorie keynesiane mediate da una componente di solidarismo cristiano.

Il piano venne finanziato attraverso un sistema misto che vide la partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti. I lavoratori dipendenti attraverso una trattenuta sul salario mensile furono in grado di aiutare i compagni più bisognosi che non avevano lavoro. La trattenuta resterà in vigore per 50 anni finanziando gran parte dell’edilizia pubblica.

Lo stile architettonico

Il motto “costo a vano uguale per tutti, ma case tutte diverse” consentì di realizzare un modello abitativo del tutto più libero dai rigidi schemi che improntavano le case popolari prebelliche.

Giò Ponti, durante l'iter della legge di istituzione dell'INA-Casa, criticherà il piano e la sua architettura giudicata troppo uniforme e scontata. Ma la maggioranza dei migliori architetti del’epoca , soprattutto i più giovani diedero il loro apporto al progetto: tutti destinati a divenire famosi: Irenio Diotallevi, Mario Ridolfi, Michele Valori, Giorgio Raineri, Roberto Gabetti, Carlo Aymonino, Franco Albini, lo studio BBPR, Castiglioni, Ignazio Gardella, Daneri, Figini e Pollini, Ettore Sottsass e Enea Manfredini. Fu pure coinvolta una moltitudine variegata di professionisti, che comprendeva, oltre agli architetti, urbanisti, ingegneri, geometri, che parteciparono alla realizzazione dei molti quartieri popolari, con i più svariati nomi, disseminati in tutto il territorio nazionale.

Il Piano seguiva precise direttive, che si ricollegavano e facevano propria, in primo luogo, la tendenza architettonica prevalente in quel periodo in Italia che era quella del Neorealismo architettonico. Il Neorealismo nell’arte assunse la stessa definizione del cinema italiano. In pittura vi furono Guttuso, Sassu, Cassinari. L'architettura inizia così ad abbandonare il Neoclassicismo semplificato ed il Monumentalismo del ventennio fascista.

In architettura il Neo Realismo segnò il passaggio dal repertorio razionalista a esperimenti più legati alla tradizione, reinterpretando i temi razionalisti sulla base di materiali più tradizionali, il laterizio ad esempio, sulla base delle interpretazioni sociologiche, psicologiche e sociali. In secondo luogo, proprio per garantire il ritorno occupazionale, era previsto l'utilizzo nelle varie fasi realizzative di imprese locali e di piccoli imprenditori.

Si cercò poi di mettere a fuoco un diverso concetto di quartiere, più variato nelle sue caratteristiche architettoniche e urbane . L’orientamento fu quello di puntare alla costruzione di “quartieri autosufficienti” con criteri assai distanti dalla tradizione dell’isolato chiuso e dall’allineamento sul filo stradale. Bassa densità di popolazione e generosa dotazione di verde erano alla base di “composizioni urbanistiche varie,mosse e articolate , tali da creare ambienti accoglienti e riposanti, con vedute in ogni parte diverse, dove ogni edificio abbia la sua distinta fisionomia”. Una modernità radicata nella tradizione suggerisce l’attenzione alle caratteristiche dell’ambiente e l’invito alla valorizzazione del paesaggio.

Una singolare caratteristica del progetto fu quella di far apporre, su tutti gli edifici realizzati, una targa in ceramica policroma (alcune delle quali realizzate da grandi artisti quali Alberto Burri, Duilio Cambellotti, Tommaso Cascella, Pietro De Laurentiis, Piero Dorazio) che alludesse o al tema del progetto o, più in generale, al tema della casa come luogo felice. L'applicazione delle targhe sugli immobili, per le quali erano stabilite le misure, la posizione e i prezzi massimi, era una delle condizioni per il rilascio del certificato di collaudo.

Dati e statistiche

I risultati del piano, come risultano dalle pubblicazioni in materia, rilevarono una grande vitalità ed impatto del medesimo sulla vita economica e sociale del paese. Infatti, solo pochi mesi dopo l'approvazione della legge, nell'estate del 1949, verrà aperto il primo cantiere dei 650 che risulteranno aperti nell'autunno dello stesso anno. Il ritmo di costruzione, reso possibile dalla struttura organizzativa Ina-Casa, sarà estremamente efficiente e, con l'entrata a regime, produrrà circa 2.800 unità abitative a settimana, con la consegna, sempre settimanale, di circa 550 alloggi alle famiglie assegnatarie.

Nei primi sette anni di vita verranno investiti complessivamente 334 miliardi di lire per la costruzione di 735.000 vani, corrispondenti a 147.000 alloggi. Alla fine dei quattordici anni di durata del piano, i vani realizzati saranno in totale circa 2.000.000, per un complesso di 355.000 alloggi. Il Piano Ina-Casa alla sua scadenza avrà aperto 20.000 cantieri che porteranno, come era negli intenti dei legislatori, ad impiegare molta manodopera stabile: circa 41.000 lavoratori edili all'anno, costituenti un impiego pari al 10% delle giornate-operaio dell'epoca.

INA Casa a Milano: il quartiere Feltre

Ponti, che rifiutava la denominazione di “casa popolare”, diceva: “passiamo pure, come siamo passati, attraverso le case operaie (vedi Viale Lombardia), poi passiamo attraverso le case popolari (vedi Mugello, San Siro,… con la rigida struttura razionalista), ma queste siano tappe per raggiungere la “casa civile”, cioè la civiltà delle case per gli uomini in quanto tali e non in quanto differenziati.

Questa esortazione sembra trovare un’applicazione anche nel quartiere Feltre, destinato tra l’altro non solo agli operai, ma anche agli impiegati statali in una prospettiva di politica espansiva rispetto ai ceti medi.

Il quartiere prende nome dalla via Feltre, che,come detto, congiunge la città con il vasto Parco Lambro, posto immediatamente a nord del quartiere. E’ un quartiere residenziale realizzato in regime di edilizia sovvenzionata dagli enti IACP e INCIS. E’ un quartiere per i lavoratori, infatti gli alloggi, in parte in affitto e in parte in vendita, furono assegnati a operai ma anche a dipendenti pubblici, insegnanti, ecc., in risposta a una nascente politica espansiva rispetto ai ceti medi.

All'interno del quartiere sono riconducibili due aree:

un'area composta da edifici in linea di 4 piani, a corte aperta, disposti intorno al centro civico, (comprendente negozi, spazi pubblici e la chiesa parrocchiale), secondo gli schemi propri dei quartieri INA-Casa; quest'area si trova a contatto con i quartieri preesistenti;

un'area di 5 edifici alti 9 piani, disposti a nastro intorno ad un ampio spazio verde, che individuano una zona centrale destinata a verde pubblico e ai servizi scolastici, asilo e scuola elementare, che è in stretta continuità con il limitrofo Parco Lambro, di cui costituisce un’estensione all’interno del tessuto residenziale. C’è nel quartiere una grande attenzione al verde : è il verde che domina e mette gli edifici ai bordi.

Il progetto urbanistico fu l’esito di un lavoro collettivo. Il quartiere Feltre fu realizzato fra il 1957 e il 1960 da dieci gruppi di architetti (capigruppo Baciocchi, Baldessari, De Carlo, Gardella, Giordani, Mangiarotti, Pollini, Terzaghi, Trolli, Varisco) coordinati dall'arch. Gino Pollini , che con Figini aveva collaborato anche con Adriano Olivettj a Ivrea, sia nel periodo razionalista tra le due guerre che nel periodo neorealista.

I capigruppo stabilirono i seguenti criteri progettuali: “L’obiettivo sono le case immerse nel verde e non il verde ricostituito tra le case . Il Parco Lambro dovrà compenetrarsi nell’area il più possibile, stemperandosi verso il centro del quartiere “.

Un grande sforzo fu fatto dai 46 architetti coordinati da Gino Pollini per realizzare un linguaggio unitario e l’unificazione degli elementi costruttivi che procurò anche indubbi vantaggi economici in sede di produzione: tutti gli edifici alti presentano tamponamenti in mattoni pieni a vista , cordoli e cornici prefabbricate in cemento, intonaco tipo Terranova, di spessore 5 mm, inalterabile, impermeabile, nelle logge; i parapetti in ferro verniciato , serramenti e tapparelle in legno, gronde di cemento intonacato. Sono stati unificati anche alcuni elementi dimensionali (altezze di gronda, posizione dei corpi scala, altezza dei porticati, sezioni dei serramenti,ecc.) e alcune soluzioni compositive (attacchi a terra, arredo urbano, linee di gronda, colorazioni, ecc.). A partire da questi dati comuni,per evitare un effetto monotono e ripetititivo aggravato anche dalla notevole lunghezza delle cortine edilizie, ad ogni gruppo è stata affidata la progettazione di una porzione di fabbricato, ottenendo con la composizione “a mosaico” un repertorio significativo di variazioni a partire dallo stesso tema progettuale e quindi riproponendo quella successione regolata di interventi propri della città storica.

Collocazione topografica

A sud il quartiere è delimitato dalla via Rombon, penetrazione urbana della provinciale Cassanese.

Il Feltre fu localizzato in un’area all’epoca estremamente periferica ad est della ferrovia, a nord del borgo di Lambrate, già trasformato da tempo in periferia industriale, appena a sud del Parco Lambro.Ciò ha permesso di ottenere quell’unità nella molteplicità oggi difficile da trovare nelle realizzazioni contemporanee.

Il Feltre è un ‘esempio di dialogo fra scale diverse: se gli edifici a corte si confrontano con la spazialità del tessuto storico milanese attuando un “passaggio graduale” tra le preesistenze e il nucleo di edifici alti, questi ultimi cercano invece un rapporto con elementi a scala maggiore come il Parco Lambro e il fiume. Il cambiamento del tipo insediativo corrisponde ad un cambiamento della concezione urbana: dalla città chiusa fatta di strade e piazze si passa ad uno spazio “topologico” costituito da luoghi aperti di densità variabile che cambiano le loro qualità a seconda della presenza del costruito e della natura.

Dal punto di vista tipologico gli edifici presentano diverse soluzioni ricche di interesse: la distribuzione a corpo scala non è certo un tema innovativo ma alcuni punti, ad esempio i nodi, dove gli edifici si piegano, sono risolti in modo magistrale: nell’edificio 12, del gruppo De Carlo, la congiunzione tra due corpi di fabbrica angolati di poco più di novanta gradi è risolta configurando un nucleo edilizio quadrilobato in cui un singolo corpo scala distribuisce quattro alloggi, tutti dotati di doppio affaccio. Per quanto riguarda le scelte espressive gli edifici presentano alcuni caratteri comuni che contribuiscono a definire l’identità del quartiere: uno dei più evidenti è il rivestimento in mattoni “faccia a vista” arricchito da misurate ricerche decorative. Ad esempio sempre nell’edificio ma nel blocco realizzato dal gruppo Pollini (scala M) il fronte in mattoni, che appare come un “pieno” scavato dalle finestre, è interrotto dalle logge protette da un sistema filtrante formato dai montanti delle logge stesse e da grigliati in laterizio.

Fin dagli anni della sua costruzione, il quartiere Feltre si è contraddistinto fra le altre cose per essere una sorta di “zona franca”, un agglomerato di case e verde (tanto verde) dove tutti si conoscevano, dove ognuno era a disposizione dell’altro, dove vigeva un codice di solidarietà non scritto; la vita del quartiere è da sempre ruotata attorno a 2 punti, il Parco Lambro e la parrocchia di Sant’Ignazio di Loyola.

Il Parco Lambro è tuttora il fulcro ed il centro vitale di tutti i residenti che vogliono fare sport, di chi vuole rilassarsi in mezzo al verde, di chi vuole passeggiare da solo od in compagnia, ma è anche un luogo per famiglie per giochi e pic-nic, senza dimenticare lo storico Centro Schuster, un vero e proprio centro sportivo attrezzato alla pratica degli sport più popolari L’altro punto focale è rappresentato invece dalla parrocchia di Sant’Ignazio, un cuore pulsante che ogni weekend riunisce i fedeli e contemporaneamente offre un’ottima area divertimento grazie all’annesso oratorio.

Nei primi decenni il quartiere è stato amministrato né più né meno come una zona di Milano fra le tante, ma ha sempre goduto di una vita quasi “di paese”, come se effettivamente non ci si trovasse nella periferia milanese ma in un paesino qualsiasi della Bassa Padana, con tutti i privilegi che la struttura del Feltre offriva ai propri abitanti grazie alla completezza dei propri servizi quali scuole, mezzi pubblici ecc. ecc. (da Luca Trazzi – Milano all news)


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