Marx può aspettare
La terribile vicenda familiare viene meticolosamente ricostruita attraverso le testimonianze dei fratelli ancora in vita, tra cui Piergiorgio (1931), intellettuale e critico letterario, Alberto, sindacalista e poeta, e le sorelle Letizia e Maria Luisa.
Rampolli di una borghese famiglia piacentina in cui il ruolo centrale, con la sua religiosità al limite del bigotto, è rappresentato dalla madre, i cinque fratelli Bellocchio superstiti (oltre a Camillo, sono mancati nel tempo anche Tonino e Paolo) cercano di ricostruire il clima della loro famiglia e la fragilità avvertita ma non compresa del fratello che sceglie il suicidio come manifestazione di affermazione di sé, mentre altri membri della famiglia raccolgono successi e impegni nella vita sociale, politica e culturale.
In parallelo alla raccolta di testimonianze dei suoi familiari, Marco Bellocchio ripercorre le pagine più emblematiche della sua cinematografia da quel “I pugni in tasca” (1965), che anticipava lucidamente i temi del ’68, a “Nel nome del padre” (1972), “Gli occhi, la bocca” (1982) e “L’ora di religione” (2002), solo per citare alcuni dei suoi film in cui compaiono nettamente i temi del disagio e del conflitto familiare, culminato con morte del fratello gemello Camillo che compare invidiabile nella bellezza dei suoi vent’anni, nei filmini d’epoca, durante i suoi viaggi, nelle sue frequentazioni amicali e amorose che sembrano non preludere al dramma della sua morte.
Marco Bellocchio, la madre e i suoi fratelli non hanno colto quali nuvole si stessero addensando ed è questo il cruccio più grande che ancora, oltre cinquant’anni dopo, arrovella chi ha vissuto quella storia.
A dispetto dell’argomento però il film non è tetro, non è espiativo, ha anzi una sua solarità nel raccontare la breve vita di un personaggio per cui il dolore, per quanto decisivo, è contemporaneamente fondamentale per capire e interpretare, per ricordare senza sollecitare troppo i sentimenti del rimpianto e del rimorso. Di grande pulizia e rigore il montaggio e la fotografia.
Assolutamente da non perdere questo film così sobrio, così profondamente leggero, così teneramente ironico che restituisce valori veri e si contrappone coraggiosamente al nulla che sempre più spesso ci circonda.
In programmazione al Cinema Palestrina.