Un film attuale, Nomadland
Una riflessione personale sul disagio sociale della nostra epoca rappresentato senza cedere al pietismo e alla commiserazione.
(Xavier Vigorelli)13/06/2021
Nomadland porta alle estreme conseguenze le tendenze verso cui ci spinge la nostra società occidentale.
Nell’accentuare chiarisce e illumina il nostro presente. Nella vita nomade riconosciamo le tensioni che abitano nella nostra vita stanziale.
Nel film si intrecciano la storia sociale collettiva e la storia individuale.
Il fatto che costringe la donna protagonista a cambiare vita è la morte del suo compagno e la contemporanea chiusura della fabbrica che dava da vivere a tutto il paese, che quindi si spopola completamente.
Eppure non è solo un film di denuncia sociale.
Cosa rimane di una persona dopo che ha perso le “formazioni sociali dove si svolge la sua personalità?” (Costituzione italiana art.2). E senza il conto in banca per fluttuare da un’esperienza all’altra?
Questa mi sembra essere una delle domande più originali che affronta il film.
La donna incontra un gruppo di persone single e avanti con gli anni come lei (e come l’Italia!).
Come lei senza disponibilità economiche. Sono quindi costrette a trovare nuove risorse economiche, psichiche e sociali per affrontare i momenti duri che può riservare la vita da soli: dal bucare una gomma in mezzo al deserto all’affrontare una malattia. Ma anche sopportare la quotidianità di un lungo inverno passato in un furgone o il pensiero terribile di un figlio finito male.
La socialità tra queste persone è mostrata nelle sue molte sfaccettature. Ognuno trova il suo personale equilibrio tra due bisogni opposti: tra il bisogno di compagnia e di supporto, e il bisogno di non rinunciare alla propria individualità di persone che ormai hanno alle spalle storie diverse.
Come non vedere in queste due polarità una delle tensioni che riempiono le vite della nostra epoca?
L’assenza della casa e della famiglia, assente o patologica, si avverte come fattore importante nella vita affettiva di queste persone. Davanti alla telecamera sono individualità nude, persone reali e non attori, vestiti di dignità.
La socialità nel film è fatta anche di condivisioni a distanza su FB di momenti importanti con amici nuovi ma molto prossimi in spirito.
I social sono quindi una risorsa, come lo è la possibilità di lavorare per una piattaforma Amazon, che offre uno stipendio senza chiedere un curriculum pentastellato.
Il film ha il coraggio di dire che ormai la realtà è questa. Indietro non si è mai tornati nella storia (a meno di catastrofi ancora maggiori) e non si tornerà. Bisogna trovare risorse nuove.
Questo è anche il coraggio della protagonista. Lo si vede nella scena in cui torna a vedere la casa, ormai vuota come un guscio, dove aveva vissuto vent’anni con suo marito, e guarda il panorama che ha visto tante volte. Accenna a un sorriso, forse pensando a un bel ricordo col suo uomo, ma non cede alla nostalgia. Va avanti senza per questo indurire il suo cuore. Accetta di guardare il dolore e ne usa la tenerezza per prendere il coraggio e la forza.
L’attrice interpreta ancora una volta in modo esemplare, come nel film “Tre manifesti a Ebbing”, il ruolo di una donna che affronta i grandi dolori di una piccola vita con spirito di grande guerriera.
Nell’accentuare chiarisce e illumina il nostro presente. Nella vita nomade riconosciamo le tensioni che abitano nella nostra vita stanziale.
Nel film si intrecciano la storia sociale collettiva e la storia individuale.
Il fatto che costringe la donna protagonista a cambiare vita è la morte del suo compagno e la contemporanea chiusura della fabbrica che dava da vivere a tutto il paese, che quindi si spopola completamente.
La donna, ormai più che cinquantenne, si ritrova senza famiglia ma è anche sparito l’ambiente sociale che poteva supportarla. Ha perso la fonte di sostentamento e l’attività che le riempiva le giornate. Il sussidio di disoccupazione non basta a coprire le spese di una casa.
Eppure non è solo un film di denuncia sociale.
Cosa rimane di una persona dopo che ha perso le “formazioni sociali dove si svolge la sua personalità?” (Costituzione italiana art.2). E senza il conto in banca per fluttuare da un’esperienza all’altra?
Questa mi sembra essere una delle domande più originali che affronta il film.
La donna incontra un gruppo di persone single e avanti con gli anni come lei (e come l’Italia!).
Come lei senza disponibilità economiche. Sono quindi costrette a trovare nuove risorse economiche, psichiche e sociali per affrontare i momenti duri che può riservare la vita da soli: dal bucare una gomma in mezzo al deserto all’affrontare una malattia. Ma anche sopportare la quotidianità di un lungo inverno passato in un furgone o il pensiero terribile di un figlio finito male.
Un signore ha avuto l’idea di creare l’occasione di periodici raduni stanziali di furgoni, proprio come fanno i nomadi.
La socialità tra queste persone è mostrata nelle sue molte sfaccettature. Ognuno trova il suo personale equilibrio tra due bisogni opposti: tra il bisogno di compagnia e di supporto, e il bisogno di non rinunciare alla propria individualità di persone che ormai hanno alle spalle storie diverse.
Come non vedere in queste due polarità una delle tensioni che riempiono le vite della nostra epoca?
L’assenza della casa e della famiglia, assente o patologica, si avverte come fattore importante nella vita affettiva di queste persone. Davanti alla telecamera sono individualità nude, persone reali e non attori, vestiti di dignità.
La socialità nel film è fatta anche di condivisioni a distanza su FB di momenti importanti con amici nuovi ma molto prossimi in spirito.
I social sono quindi una risorsa, come lo è la possibilità di lavorare per una piattaforma Amazon, che offre uno stipendio senza chiedere un curriculum pentastellato.
Che questi colossi siano anche co-responsabili delle trasformazioni che hanno portato all’impoverimento e alla perdita di quella socialità territoriale che ha sempre fatto da sostegno non si fa cenno, ma è implicito.
Il film ha il coraggio di dire che ormai la realtà è questa. Indietro non si è mai tornati nella storia (a meno di catastrofi ancora maggiori) e non si tornerà. Bisogna trovare risorse nuove.
Questo è anche il coraggio della protagonista. Lo si vede nella scena in cui torna a vedere la casa, ormai vuota come un guscio, dove aveva vissuto vent’anni con suo marito, e guarda il panorama che ha visto tante volte. Accenna a un sorriso, forse pensando a un bel ricordo col suo uomo, ma non cede alla nostalgia. Va avanti senza per questo indurire il suo cuore. Accetta di guardare il dolore e ne usa la tenerezza per prendere il coraggio e la forza.
L’attrice interpreta ancora una volta in modo esemplare, come nel film “Tre manifesti a Ebbing”, il ruolo di una donna che affronta i grandi dolori di una piccola vita con spirito di grande guerriera.
