Alabama

Un bel racconto, costruito in un flusso continuo di ricordi, per affermare ancora una volta che è necessario meditare su ciò che è stato, anche se il rischio è sempre quello di rimanere inascoltati. ()
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Alessandro Barbero, storico, come suol dirsi, di chiarissima fama, nonché esperto di storia militare, si cimenta con un romanzo d’ambientazione che rievoca episodi della guerra civile americana (1861-1865), raccontati da un vecchissimo reduce schierato con i Confederati.
Il presupposto narrativo è offerto da una ricerca che una giovane studentessa universitaria deve svolgere intorno a un episodio estremamente cruento, tra i tanti altri, di quella lontana guerra.
Anche se taciuto, l’intervista si colloca poco prima dell’entrata in guerra degli USA nel secondo conflitto mondiale, quando cominciano ad arrivare notizie poco rassicuranti dal Pacifico.
Dick Stanton è un ultra-vecchio che vegeta ormai su una sedia a dondolo di un ospizio nel profondo sud degli States. Stimolato dalla studentessa, dà la stura ai suoi ricordi che ci catapultano nel bel mezzo della guerra civile americana quando i contadini poveri del sud, ancorché bianchi, si erano trovati coinvolti in un conflitto di cui non comprendevano il senso, ritenendo di essere perfettamente nel giusto rispetto ai signorini nordisti del presidente Lincoln.

Barbero racconta una piccola storia di cittadini chiamati alle armi che pensavano di combattere una guerra sacrosanta, in una sorta di sogno americano con abbondanti pezze al sedere.
Nel clangore delle battaglie, nell’afrore nauseante di fango, sudore e polvere da sparo, Dick Stanton e i suoi amici vivono quasi senza accorgersene una pagina di storia destinata a lasciare segni profondi nella già allora frastornata democrazia USA.
Solo alla fine del racconto, dopo battaglie, bivacchi, marce forzate e morti in quantità, la studentessa riesce a raccogliere la testimonianza desiderata: l’eccidio di neri inermi c’è stato, proprio perché era inconcepibile per un bianco del sud che un nero potesse imbracciare un fucile contro il suo padrone bianco. Colpevoli, i “negri”, di essersi ribellati ai dettati di quelle Bibbie balzane che i soldati bianchi del sud portavano con sé quale talismano contro ogni malasorte.
In un racconto che ha avuto una lunghissima gestazione creativa, Barbero utilizza tutte le ruvide accortezze della lingua parlata, sgrammaticata e afona, roboante e ammiccante, per restituire sagacia e credibilità a una storia che nel massacro razziale trova la sua tragica risoluzione.
Va da sé che il pensiero corre a George Floyd e a tutti i suoi simili, oltraggiati e vilipesi, ancora oggi, da quei bianchi che allora come oggi pensano che un nero sia un essere inferiore, indegno di vivere alla pari.
Dick Stanton, nel suo delirio affabulatorio, nel suo flusso inconscio di coscienza, sostiene infondo che l’eccidio perpetrato nei confronti di neri inermi fosse inevitabile, anzi fosse una sacrosanta necessità. Allora come ora, verrebbe da dire.
E verrebbe anche da dire che la storia, per quanto sia maestra di vita, non ha allievi.



Alessandro Barbero
Alabama
Sellerio, pp. 262, € 15

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