I miserabili

La collera e la violenza sembrano essere le uniche strade percorribili per riscattarsi dall’oppressione della società in un film lucido e lungimirante, ben raccontato e interpretato senza facili scorciatoie. ()
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Montfermeil, nella banlieue parigina, è uno dei luoghi in cui è ambientato il romanzo di Victor Hugo al quale si deve la frase che chiude il bel film di Ladj Ly, vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes dello scorso anno: “Ricordate, amici miei, non ci sono né cattive erbe, né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”. Riflessione che esprime bene il clima del film in questione che, in attesa che riprendano le attività delle sale cinematografiche, è visibile a pagamento sulla piattaforma www.miocinema.it

La Montfermeil di oggi è degradata come molte periferie, ha un tessuto multietnico spinto in cui convivono, nel bene e nel male, musulmani osservanti e non, malavitosi, spacciatori e prostitute, sotto gli occhi a volte compiaciuti e compiacenti delle forze dell’ordine.
Ma si sa che chi traffica in sporchi affari non ama richiamare l’attenzione su di sé e cerca di convivere con la polizia che quotidianamente pattuglia le strade e i quartieri.
In autonomia però si muovono bande di ragazzini che sembrano non gradire l’ordine costituito, in qualche modo condiviso da poliziotti e malavitosi.

Per quanto schematico e déjà vu, va da sé che le anime della polizia sono complesse, per cui convivono, come da prassi, il poliziotto buono e quello cattivo, in un combinato composto di cinismo, legge e ordine.
Accade così che il furto di un leoncino, commesso da un ragazzino in un circo gestito da rom, scateni una caccia al colpevole che degenera in una guerriglia (condominiale) finale.
La violenza della polizia fa il paio con quella dei giovanissimi antagonisti, nel sottilissimo confine tra bene e male dove il male sembra costituire l’aspetto comunque prevalente.
Le dinamiche di gruppo e di ruolo non possono contenere la collera che cresce dal basso dove cova il rancore alimentato dall’indigenza e dall’emarginazione.

I poliziotti, da parte loro, sembrano incapaci di gestire lo stress, e preferiscono rifugiarsi nel solito cliché secondo cui un poliziotto non si scusa mai.
Anche il rispetto, sentimento condiviso sia dai “buoni” che dai “cattivi”, risulta essere un alibi utile per tenere sotto la cenere i fuochi della rivolta.
“I miserabili” racconta senza manicheismo alcuno uno spaccato di società sempre più diffuso e sembra presagire ciò che sta accadendo giusto in questi giorni negli Stati Uniti, dove lo scontro tra le classi, come si sarebbe detto un tempo, è sempre più aspro.
Meglio di un trattato di sociologia.

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