La diatriba giuridica sui beni comuni

“Lo sfruttamento privato di un bene comune porta all'impoverimento della comunità”. Lo afferma il Consiglio di Stato, ma sulla materia è necessaria una nuova disciplina. ()
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Vi sono incertezze dal punto di vista giuridico sulla nozione di "bene comune".

La nostra Costituzione ha infatti previsto all'art. 42 che “la proprietà è pubblica e privata" e la proprietà pubblica è stata finora intesa come proprietà demaniale, cioè come una proprietà la cui difesa e gestione è demandata e affidata allo Stato che può agire in proprio o a mezzo di persone giuridiche pubbliche.

Da molti è stata perciò invocata una nuova disciplina dei beni pubblici che è vivacemente dibattuta e studiata in questi ultimi anni.


Bene pubblico e bene comune
Vi sono infatti incertezze sulla tipologia dei beni che potrebbero entrare a far parte di questa categoria e anche sul concetto di "comunità". Secondo alcuni i beni comuni sono quelli che potrebbero essere condivisi da tutti, che cioè sarebbero di uso comune. Secondo altri l'uso pubblico di un bene spetterebbe a tutti i cittadini indistintamente e quindi nessuno potrebbe essere escluso dal loro utilizzo. Le principali discussioni giuridiche vertono proprio sulla categorizzazione dei beni stessi. È bene comune solo quello che si trova nella disponibilità di tutti (e quindi nessuno è escluso dal suo utilizzo) o trattasi di bene che appartiene a tutti a prescindere dall'uso? Occorre infatti riflettere e distinguere "l'uso comune" per descrivere l'uso di un bene da parte di una comunità in contrapposizione all'uso pubblico che spetta a tutti i cittadini indistintamente.

Il ruolo della comunità
L'uso comune si differenzia dall'uso pubblico perché i beni comuni cui afferiscono sono essenziali per la vita e si relazionano ai diritti fondamentali delle persone. Può esservi anche conflitto tra bene pubblico e bene comune (ad esempio un parco che è un bene comune per chi risiede stabilmente nella zona, ma bene pubblico per chi volesse visitarlo pur non essendo residente) è evidente che il ruolo della comunità in relazione a questi beni va disciplinato in maniera nuova, riconoscendo la necessità di sistemi decisionali condivisi, ispirati alle forme di democrazia partecipativa piuttosto che da superati e antiquati modelli di gestione.

I patti per i beni comuni
È di questi giorni la notizia dei cd "patti per i beni comuni" che in Lombardia riguardano 22 comuni e 200 in tutta Italia. Si tratta in pratica di patti di collaborazione tra cittadini e Amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni e rappresentano un fattore di innovazione in quanto favoriscono la condivisione della responsabilità e della cura di un bene comune.
A Lecco ad esempio alcuni condomini hanno approntato un progetto di restauro di una cappella in rovina prospiciente il loro edificio. A Bellusco un gruppo di studenti universitari ha proposto di gestire un cineforum attraverso il "Patto per i beni comuni" siglato con il Comune. A Cremona l'Associazione "Città Rurale- ODV" ha proposto corsi e distribuzioni di sementi per promuovere azioni a tutela delle api quale bene comune da proteggere.
Per la prima volta si assiste a interventi spontanei di cittadini e di associazioni per la gestione di beni comuni e a mio avviso anche la tutela giurisdizionale di tali beni da parte degli stessi soggetti andrebbe prevista e valorizzata, ad esempio prevedendo la possibilità che associazioni e comunità possano agire in giudizio per il risarcimento dei danni arrecati ai beni comuni.

Come già detto, molti Comuni hanno approvato regolamenti per la cura e la gestione dei beni comuni, ma in alcuni casi a parte queste buone pratiche, vi sono stati casi di occupazioni abusive di beni pubblici o privati rivendicati come comuni da parte di gruppi di cittadini.
La dottrina (Marinelli Cerulli, Irelli) ha riconosciuto la categoria dei beni comuni come una sorta di contenitore dove collocare gli usi civici previsti dalla L1766/27. Questo porta a ritenere che la categoria dei beni comuni già esista nel nostro ordinamento.
La tesi è confermata dal fatto che le Sezioni Unite della Cassazione hanno riconosciuto alcuni beni demaniali (le valli da pesca venete) come funzionali ai diritti fondamentali di certe comunità, definendole espressamente “beni comuni”.

Un caso interessante
Anche il Consiglio di Stato ha affermato che lo sfruttamento privato di un bene comune porta all'impoverimento della comunità... (Sentenza n.4679 del 4/08/2011)
Il pronunciamento riguardava il caso della Sorgente Boschetto, al confine fra il territorio di Gualdo Tadino e quello di Nocera Umbra, che era stata utilizzata a fini idropotabili dai due comuni, sulla base di un Protocollo d’Intesa e con la partecipazione anche di un Comitato costituito tra gli abitanti della zona.
Il fitto contenzioso innanzi al giudice amministrativo si è sviluppato a seguito di un’iniziativa di sfruttamento privato delle acque minerali collegate alla sorgente. In particolare, i due Comuni hanno impugnato i provvedimenti con i quali la Regione Umbria aveva rilasciato una concessione per lo sfruttamento delle acque minerali ad una impresa privata. Nel giudizio intervenivano ad adiuvandum dei ricorrenti l’associazione Italia Nostra e un Comitato di cittadini. Il TAR Umbria e successivamente il Consiglio di Stato hanno infine annullato i provvedimenti concessori dati dalla Regione all’impresa privata.

Esistono quindi precedenti interessanti, ma la disciplina sui beni comuni è ancora materia controversa. Si auspica quindi un miglioramento in senso positivo della tutela giurisdizionale di tali beni in considerazione dell'interesse che il bene stesso è preposto a realizzare e cioè secondo criteri oggettivi finora estranei alle discipline finora adottate.

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