Aldo dice: 26 x 1


è la parola d'ordine che a Milano, il 25 Aprile 1945, dà il via all'insurrezione. Dal libro "Oltre il ponte - storie e testimonianze della resistenza in zona 3", pubblichiamo il racconto di quei giorni che segnarono la fine "dell'incubo nero".
donne liberazione Milano
È l’alba del 25 aprile 1945, per via radio arriva finalmente la parola d’ordine della rivolta: “Aldo dice: 26 x 1” anche se l’insurrezione a Milano è già in atto. Le fabbriche sono i veri motori della rivolta.

Quartiere dopo quartiere inizia la liberazione della città. Tedeschi e fascisti si arrendono o fuggono. Lo stesso Mussolini scappa, dopo qualche giorno viene arrestato a Dongo e in seguito fucilato a Giulino di Mezzegra. Il proclama del Clnai è inequivocabile: “arrendersi o perire”. Una dopo l’altra vengono occupate la prefettura, le caserme, le fabbriche e i palazzi delle istituzioni. Diversi reparti tedeschi cedono le armi, altri tentano attacchi per uscire dalla città. I partigiani di montagna scendono a Milano su autocarri. Gli sbandati in camicia nera sono pronti a tutto pur di salvare la pelle. Qualche fascista cerca di assicurarsi la libertà e la vita a suon di soldi, ma non ha scampo. È la fine dell’oppressione, della paura, della fame, della guerra. È il tempo della libertà.

Il 27 aprile nelle strade, nelle piazze e tra gli edifici si spara ancora. La liberazione della città deve essere completata. Si cerca di snidare i cecchini repubblichini che, dai loro nascondigli, sparano sulla gente. Via via vengono catturati i torturatori, le spie e quelli che si sono macchiati di crimini: li aspetta la fucilazione.
La città combatte, ma fa anche festa e sventola le bandiere della libertà, tuttavia non dimentica le sue vittime e le piange. A sera, un tam tam spontaneo richiama la Milano degli uomini e delle donne liberi a piazzale Loreto per ricordare i 15 partigiani uccisi il 10 agosto del ’44.

Il 27 e il 28 sono i giorni delle ultime rese e dell’ingresso in città dei garibaldini dell’Oltrepo pavese, della Valsesia e della Valdossola.
Nelle prime ore del mattino di domenica 29 vengono portati in piazzale Loreto i corpi del dittatore Mussolini e dei gerarchi catturati a Dongo che hanno così pagato per i loro crimini.
Lunedì 30, all’Hotel Regina, il comando delle SS e della Gestapo, circondato da giorni dalle forze partigiane e senza nessuna possibile via d’uscita, decide di consegnarsi agli americani. Le truppe tedesche, con ufficiali e sottufficiali, in colonna, percorrono le vie di Milano tra due ali di folla che guardano questo esercito del male con rabbia e disprezzo.
L’incubo nero in città finalmente finisce. Milano liberata gioisce e torna a vivere, ma quanto dolore e quante vittime ha lasciato dietro di sé in quei terribili venti mesi di lotta al nazifascismo; ben 515 sono i combattenti per la libertà, tra uomini e donne, caduti nelle vie e nelle piazze di Milano, 383 i feriti e
centinaia i dispersi. E se a questi si aggiungono coloro che hanno combattuto in montagna, gli scomparsi nei campi di concentramento e i deportati per motivi razziali, il numero delle vittime milanesi sale a oltre quattromila.
Questo il prezzo di vite umane pagato dalla città di Milano per la democrazia e per una primavera di libertà.



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