Leggi razziale e antifascismo al Carducci


Tratta dal libro “Oltre il Ponte”, riportiamo la testimonianza di Gianfranco Maris, presidente nazionale dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati politici nei campi di concentramento nazisti), partigiano combattente, deportato a Mauthausen, che così ricorda la sua esperienza di studente del Carducci.
binario
“C’è un inizio, che si possa ricordare, della propria scelta di vita? Se c’è, io lo ritrovo nei banchi della scuola, di quel liceo Carducci di Milano che conoscerà un largo,
sofferto, coraggioso impegno antifascista che darà vita e vittime alla lotta partigiana.
Siamo nell’autunno del 1938, ho quasi 18 anni e frequento la 3a liceo. Alle spalle una storia familiare lontana da qualsiasi compromissione fascista, senza un iscritto al partito, ma senza neppure un impegno culturale-politico di opposizione militante al fascismo.
Come professore, supplente, credo, per un’assenza prolungata del titolare della cattedra, un giovane ebreo, che non ha molti anni più di noi e che tenta invano di gestire nell’amicizia una classe chiassosa e che si sforza di far capire e amare i lirici greci a ragazzi del tutto distratti dai lieviti urgenti della vita.

Sono gli ultimi giorni di novembre e nella mia ‘porta’ sento i ragazzi ebrei che stanno al primo piano che parlano agitati di partire, di trasferirsi; quelli che abitano al piano rialzato nella casa di fronte, sono i più ricchi, parlano addirittura di partire per l’estero.
Cosa succede?
Un mattino, grigio e piovoso, entra in classe il giovane professore ebreo, ci parla brevemente, ironico, forse, sicuramente commosso, lo capii più tardi, con un tono così basso di voce che ci fece stare tutti zitti; solo per dirci che quello è l’ultimo suo giorno di scuola, dopodiché non verrà più, perché, ‘non essendo egli come noi’, non può più essere nostro insegnante.
Non essendo egli come noi…?
E i nostri compagni ebrei non sono neppure loro come noi?
Non so comprendere, ma mi sento improvvisamente vile e umiliato per tutti gli scherzi, le parole, il disturbo voluto e cattivo che ho portato alle sue lezioni.

Dopo cinquant’anni Ti ricordo. Dove sei professore?
Vorrei dirTi che Ti capii, che poi, subito, fui comunista, che feci sì la guerra e fui al fronte, ma che partecipai alla Resistenza, che fui catturato dalla Gestapo, che fui deportato a Fossoli e a Mauthausen, come Te, forse, e che conobbi e amai tanti,
tanti uomini e donne come Te; e odiai l’antica ingiustizia, anzi l’antico delitto di cui sei stato vittima nell’autunno del 1938 e tutti i più grandi delitti che a questo primo atto seguirono.
Vorrei dirTi che le Tue parole resero più maturi i miei pensieri e più motivata la mia scelta di vita”

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