"Sia lode ora a uomini di fama": Claudio Sanfilippo

Nella nostra zona ci sono e ci sono state persone importanti che contribuiscono e hanno contribuito al progresso sociale, civile e culturale della nostra città e del nostro Paese. L’occasione di conoscerle è un modo per stare nella storia e nelle stagioni. ()
Claudio Sanfilippo

Musicista e cantautore raffinato, Claudio Sanfilippo è autore di numerosi album in lingua italiana e in lingua milanese. Ha composto canzoni, tra le altre e gli altri, per Mina, Eugenio Finardi, Pierangelo Bertoli e Cristiano De Andrè. I nostri lettori hanno avuto modo di ascoltarlo e apprezzarlo nel corso della serata dedicata a Nanni Svampa all’Auditorium Cerri di via Valvassori Peroni.

Chi è Claudio Sanfilippo e cosa dicono di lui?

Forse la ragione per cui cerco di tenere aggiornato il mio sito sta nel rispondere a una domanda così, il resto sarebbe difficile in poche righe, per sintetizzare davvero dovrei farlo con la musica…

Quali sono i tuoi riferimenti musicali e culturali?

Quelli culturali, se vogliamo interpretarli come tempo, sono gli anni Settanta, anche nella musica. Quelli dell’adolescenza, quando iniziavo a suonare la chitarra e ogni giorno era una scoperta. Un mix fitto di musica, cinema, fotografia, letteratura. E ancora prima, parlando specificamente di musica, la canzone melodica, ascoltata in casa dai miei genitori e da mia nonna, in casa cantavano tutti bene; poi è arrivata la filodiffusione, che aveva una programmazione di prim’ordine. La radio la facevano Arbore e Massarini o il mio amico Paolo De Bernardin, leggevo Linus e Muzak, Corto Maltese e Hemingway, e poi Milano, il jazz e il cabaret. Sono stati anni “scuri” ma molto vitali, io vengo da lì, sono nato nel 1960, sono un uomo del Novecento… Nei gusti musicali sono abbastanza onnivoro, come a tavola, non ho un genere di riferimento ma ancora per via dei Settanta ci sono alcune radici: la canzone d’autore, il jazz e lo swing, il bluegrass e la bossanova, il blues e il rock. 

Ammesso che esistano i maestri, chi consideri il tuo Maestro?

Ce ne sono tanti. Se penso alla musica al volo dico Jobim, Jannacci, James Taylor, Joni Mitchell, Dylan, Paolo Conte, Chet Baker, Vinicius de Moraes, Mina, Gaber, John Martyn, De Gregori, Svampa, Leo Ferrè, Doc Watson, De Andrè, Bill Evans, Joao Gilberto, Sinatra, Coltrane, Neil Young, Nick Drake, ciascuno per ragioni diverse. Se rispondo tra un quarto d’ora me ne vengono in mente altri… Se devo sceglierne uno per la scrittura dico Jobim, il più elegante e il più magico, ma raramente scriveva le parole. Molte, tra le sue più belle, hanno il testo di Vinicius, che è un maestro per un preciso modo di “sentire” la vita. Chet Baker è Chet Baker, Sinatra è il cantante. Conte è quello che mi racconta un tempo come nessun altro. E via così, lasciando nel cassetto il primo Tom Waits, Ray Charles e altro ancora…

Perché la gran parte delle tue canzoni sono in dialetto milanese?

Ho sempre scritto prevalentemente in italiano, ma negli ultimi quindici anni mi è capitato di farlo sempre di più in milanese. Tutto è iniziato una quindicina di anni fa quando mi ero trasferito da poco a Siziano, tra Milano e Pavia. Dal panettiere sentivo ancora qualche battuta in dialetto, non precisamente in milanese ma di stretta parentela, la lingua è quasi la stessa, cambia solo l’inflessione di certe parole. Ho iniziato a scrivere alcune poesie in milanese e poi per qualche mese ho scritto solo canzoni in milanese, fin lì capitava di scriverne una ogni tanto, ma anche nelle mie canzoni in italiano il fondale è spesso Milano. Non faccio fatica a scrivere in milanese, sono cresciuto in una casa dove oltre ai miei genitori c’erano la nonna e la bisnonna, tra loro parlavano in dialetto. Poi ho imparato a leggerlo con i poeti, un po’ il Porta ma soprattutto Tessa e Franco Loi, un altro maestro. 

Cos’è la Scuola Milanese e qual è il suo obiettivo?

E’ nata a pranzo a casa di Carlo Fava, nell’estate del 2013. L’altro invitato era Folco Orselli. Carlo aveva in testa uno spettacolo a tre, aveva già in testa il nome, che ci è piaciuto subito. La sua idea iniziale si è poi sviluppata a tre, in collaborazione con Gianluca Martinelli e con un team di amici appassionati, tutti grandi professionisti. Abbiamo costruito questo spettacolo che è andato in scena per due stagioni alla Salumeria della Musica. E’ un modo per raccontare la città con gli ospiti che ogni volta intervengono “a tema” e la musica che lega e accompagna, con una super band (Danilo Minotti, Marco Ricci, Marco Brioschi e Maxx Furian). Noi in fondo siamo tre chansonniers, la scuola da cui proveniamo è quella, in quella dimensione ci troviamo a nostro agio. In più ci lega la stima reciproca e l’amicizia, credo che il pubblico che ci ha seguiti per venticinque serate abbia avvertito un certo spirito. Siamo molto diversi, ognuno ha uno stile preciso, raccontiamo visioni di Milano che diventano pretesti per allargare lo sguardo. Ci siamo fermati nel 2015, due anni di cavalcata avevano bisogno di una pausa. Nel 2016 e nel 2017, a Settembre, abbiamo accompagnato Fuoricinema. L’obbiettivo è trovare la situazione giusta per riprendere il filo, ci stiamo lavorando.

Quali sono i tuoi rapporti con la nostra zona?

Sono nato in Piazza Leonardo, quando avevo nove anni ci siamo trasferiti dalla parte opposta della città, ma ha sedici anni sono tornato da quelle parti, prima in Via Guerrini e poi in Via Tallone, e ci ho vissuto fino ai quaranta, prima di spostarmi nella Bassa. 

È la mia “città nella città”, ho imparato a nuotare alla piscina Ponzio e ad andare in bicicletta nei giardinetti di Piazza Leonardo, il primo film l’ho visto al cinema Leonardo. Ho ancora diversi amici che abitano da quelle parti, anche musicisti, spesso vado a bere un negroni o un martini al pub che sta quasi all’angolo con Via Pascoli, che negli ultimi anni ha sostituito il Bar Basso, per lungo tempo uno dei miei riferimenti “alcolici”. I miei album li ho registrati quasi tutti in Via Hayez, mia madre è cresciuta in Via Pacini, mia nonna in Via Noe e mia bisnonna in Corso Buenos Aires. E soprattutto le due pasticcerie di famiglia, in Via Sangallo dal 1964 al 1966 e in Via Aselli dal 1973 al 1986. E’ un legame profondo.

Progetti per il futuro?

C’è un nuovo album che dovrebbe uscire entro la primavera del 2018, una cosa per chitarra e voce, cruda, mi sono fatto un bel viaggio tra canzoni scritte nel corso di trentacinque anni, cantate e suonate in diretta con una qualità altissima dal punto di vista sonoro, merito del lavoro di Rinaldo Donati. Ci alterno le chitarre che suono anche quando scrivo, la classica e l’acustica, l’elettrica e la baritono. Poi sto iniziando a lavorare per un nuovo progetto con Ilzendelswing, un progetto tutto dedicato alle ispirazioni americane, potrebbe uscirne un album doppio, in italiano e in milanese. E poi c’è Scuola Milanese, e i concerti con Swing Power. C’è un film che si intitola Pane dal cielo, diretto da Giovanni Bedeschi, che uscirà tra qualche mese e che contiene alcune mie canzoni nella colonna sonora. Come minimo non dovrei annoiarmi...



L’immagine è di Lorenzo De Simone


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