Lambrate, un quartiere tra storia e futuro (III parte)

La presenza dei rom fra sgomberi e gare di solidarietà è una delle tematiche più sentite nel quartiere. Ne parliamo  in quest’ultimo incontro con Sergio De La Pierre. ()
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Il tema della sicurezza è centrale in qualsiasi comunità e la ricerca condotta per Vivilambrate lo affronta con interviste agli abitanti. Secondo alcuni, la questione qui, è legata soprattutto alla presenza dei rom.

Dalla tua indagine, però, emerge una realtà estremamente composita. Puoi descrivercela?
La sensazione di insicurezza viene attribuita da molti cittadini, spesso a ragione, alla presenza di rom sulla “piazza” Rimembranze di Lambrate, i quali hanno comportamenti a volte impropri. Ma, a detta anche di cittadini particolarmente “arrabbiati”, non si tratta solo di rom, ma anche di altri migranti senza fissa dimora e anche di italiani in condizione di forte emarginazione. Anche se la presenza di rom in tutta Lambrate è diminuita rispetto a otto anni fa, permangono alcuni “campi” abusivi di rom provenienti soprattutto dalla Romania.

Dalle dichiarazioni dei lambratesi emergono almeno due versioni diverse a conferma del fatto che “il percepito” può essere anche molto lontano dalla realtà dei fatti. Ma tu, proprio su questo punto proponi un’attenta riflessione sull’importanza della dimensione soggettiva.
Come affermano importanti studi di sociologia urbana, non è sufficiente fermarsi alla dimensione “oggettiva” di qualunque fenomeno sociale, tanto più in ambiti di questo genere dove non conta solo l’aspetto razionale, ma anche il vissuto, l’immaginario, i fantasmi di tutti i soggetti in campo: sulla questione rom, ad esempio, il cittadino che ha il degrado sotto casa vede di questo solo la realtà “oggettiva”, e non si interroga sui motivi profondi delle sue paure. Il cittadino “democratico e aperto”, a sua volta, magari sottolinea il fatto “oggettivo” della ridotta presenza di rom e magari di una minor incidenza della microcriminalità, ma non solo è portato a svalutare la “percezione” di insicurezza del cittadino “comune”, ma non si interroga neppure sulla propria tendenza “inconscia” a non voler vedere gli aspetti negativi  che riguardano i soggetti responsabili del degrado. Ai “pregiudizi negativi” si rischia di rispondere solo con “pregiudizi positivi”. In entrambi i casi l’“altro”, ad esempio il rom ma il discorso potrebbe essere molto ampliato, è ridotto a categoria oggettiva: portatore di degrado, o portatore di semplice povertà e miseria. Se invece si pone attenzione anche alla dimensione soggettiva allora, come si dice nel Report, si scopre che è possibile il dialogo con l’altro, perché la relazione è alla base della possibile messa in gioco sia delle percezioni che dei vissuti reciproci.

Hai intervistato anche alcuni Rom. Qual è il loro punto di vista?
Abbiamo intervistato una donna rom che ha seguito un percorso molto positivo di integrazione. Ha lavorato come colf e adesso vive in una casa popolare. Dall’intervista emergono anche le differenze interne alla comunità rom, che lei chiama la componente dei rom “romanizzati” (che si sono integrati alla cultura romena) e quella dei rom “puri” (che tendono all’auto-ghettizzazione). Questa donna ha rivelato una visione ottimistica sull’atteggiamento dei lambratesi – quasi a conferma del loro spirito di accoglienza che abbiamo già analizzato -, ma dichiara di non conoscere bene i rom “problematici” che frequentano la piazza Rimembranze, e che non siamo riusciti a intervistare.

Raccontando le vicende dei Rom di Lambrate e dei loro ripetuti sgomberi tu intitoli un capitolo con queste parole: “il contagio della solidarietà”. Bellissimo. Puoi ricordarci he cosa è accaduto il 19 novembre 2009? e che lettura dai di quell’episodio?
Quel giorno, dietro ordine del vice-sindaco De Corato, arrivano le ruspe e sgomberano 350 rom del campo abusivo del Rubattino. Siamo nel bel mezzo della campagna di sgomberi a raffica che l’amministrazione Moratti ha compiuto tra il 2008 nel 2011 (540 sgomberi e 2.593 baracche distrutte, come si vanterà De Corato), e che, con costi altissimi anche economici ma soprattutto umani, porterà tante famiglie a spostarsi da un’altra parte della città salvo poi venire ri-sgomberate.
Ebbene, al Rubattino accade un fatto inatteso. 36 bambini rom si erano da poco iscritti alle scuole, grazie a programmi di accompagnamento della Comunità di S. Egidio; così diverse maestre e famiglie si rifiutano di vedere bambini lasciati per strada e al freddo. Li accolgono in casa, scatta una gara di solidarietà. I bambini rom a scuola erano tra i più diligenti, alcuni di loro continuano a frequentare la loro scuola di Lambrate anche se “trasferiti” in un quartiere lontano. Molte componenti dell’opinione pubblica milanese protestano, com’è testimoniato dal bel libro di testimonianze che cito più sotto.
Quale il senso di questa esperienza? Appunto, come dicevo sopra, al di là dei pregiudizi (positivi o negativi) verso i rom, è stata la conoscenza personale, la relazione concreta tra cittadini, maestre, famiglie e rom a sciogliere le visioni “oggettive” e i “vissuti irrazionali” cristallizzati.

Qui, la Comunità di Sant’Egidio, insieme a una folta “schiera” di volontari, è stata attivissima e ha raccolto molti successi. Hanno affrontato la questione dell’integrazione agendo su tre versanti: scuola, lavoro, casa. Ma, se non ho capito male, tu aggiungi qualcosa in più: la reciprocità della relazione e dello scambio culturale.
La comunità di S. Egidio, e per lei un giovane dalla carica umana straordinaria che si chiama Stefano Pasta, ha svolto un ruolo di grande valore. Tra il 2009 e il 2016 ha coordinato complessi percorsi di accompagnamento, cercato fondi per creare borse di studio/lavoro e per pagare all’inizio affitti alle case popolari, sollecitato l’aiuto di una miriade di gruppi e associazioni. Il risultato: sui circa 350 rom sgomberati nel 2009, 56 famiglie (circa 250 persone) hanno trovato casa, 76 uomini e 33 donne il lavoro, 157 ragazzi sono stati scolarizzati.
Nel Report accenno a una qualche perplessità sull’impianto “culturale” della pur mirabile attività di S. Egidio. Sembra che questa associazione cattolica mostri una qualche prevenzione contro un approccio “culturalista” al mondo rom, dato che alcuni aspetti (negativi?) della cultura rom vengono usati dagli avversari per definirli irrecuperabili e refrattari a ogni integrazione. Io sostengo che se si nega lo scambio anche culturale col mondo rom non solo si svaluta la loro cultura, ma si rischia di non valorizzare abbastanza anche la dimensione “relazionale” e “di reciprocità” della bella storia dei rom del Rubattino, di cui la Comunità di S. Egidio ha così grande merito. In questa idea ho trovato conforto nel bel libro, citato più sotto, di Santino Spinelli, che è nientedimeno che un professore universitario di etnia rom.

Sulla base del tuo studio e di quanto emerso dalle interviste fatte, quale possibile sviluppo vedi per il quartiere in termini di integrazione, crescita delle relazioni, superamento della paura o del senso di insicurezza”? Quale ruolo i cittadini, le associazioni, le istituzioni locali?
Le possibilità di veri percorsi di integrazione ci sono – come insegna l’esperienza dei rom dal 2009 – e non riguardano solo la questione rom. Tutte le componenti sociali vecchie e nuove di Lambrate, e quelle della “città visibile” e della “città dell’esclusione”, della società civile e delle istituzioni devono però essere coinvolte. Sarà un lavoro lungo e complesso, irto di ostacoli ma, io penso, alla lunga la gente – se si attiva davvero per affrontare i tanti problemi del quartiere – scoprirà quanto più piacevole, rispetto all’abbandonarsi ai propri fantasmi, sia costruire nuove relazioni, nuova socialità, nuova fiducia in se stessi e negli altri.



Per saperne di più:
E. Giunipero, F. Robbiati, I rom di via Rubattino. Una scuola di solidarietà, Paoline Editoriale Libri, Milano 2011;
S. Spinelli, Rom questi sconosciuti. Storia, lingua, arte e cultura e tutto ciò che non sapete di un popolo millenario, Mimesis, Milano-Udine 2016.


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