La crisi della rappresentanza, la crisi della partecipazione, la fine della democrazia.

Breve, ma importante, convegno giovedì 16 febbraio 2017 nella sala del Consiglio Comunale di Palazzo Marino, promosso da Lamberto Bertolé sul tema “Le assemblee rappresentative tra crisi di ruolo e strategie di rilancio. Il punto di vista degli enti locali”. ()
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Il tema era per me stimolante e pertanto ho subito aderito all’invito a partecipare al convegno promosso dal Presidente del Consiglio Comunale di Milano, a latere della tavola rotonda organizzata tra i Presidenti dei Consigli Comunali delle città capoluogo delle Città metropolitane. Un incontro aperto alla cittadinanza nella sala ove si svolge di regola il consiglio comunale

Bertolé ha ammesso che in ogni assemblea istituzionale a tutti i livelli, e tanto più quanto più alto è il grado di rappresentanza, si sta vivendo una situazione di innegabile crisi. Le decisioni vengono prese nella maggior parte dei casi non in seno ai consigli e al parlamento, ma al di fuori delle aule in cui dovrebbero avvenire il confronto e la discussione (abbiamo perso la passione politica del confronto, è rimasto solo lo scontro, hanno fatto notare in seguito sia Carlo Sini, sia Valerio Onida). Nel contempo ai cittadini va attribuito un concorso di colpa se anch’essi non partecipano e non riconoscono il ruolo e l’importanza che gli organismi assembleari rivestono, alimentando con ciò l’ondata di antipolitica, di populismo, di richiesta dell’uomo forte al comando.

Dobbiamo fare un passo avanti, dice Bertolé, capire come uscire da questa crisi per fare in modo che i consigli, gli spazi in cui si agisce la rappresentanza, non si sentano svuotati di potere e abbiano la possibilità di incidere. L’opinione pubblica, i cittadini non fanno che avvalorare questa difficoltà ritenendo che le decisione vengano prese da altre parti, che sia inutile andare a votare per eleggere rappresentanti che non saranno in grado di influire su scelte predeterminate. Chi presiede gli organismi assembleari ha allora il compito di affrontare il problema per rispondere alla verticalizzazione (ndr decisioni prese dall’alto) in atto, una utile scorciatoia per risolvere i problemi, ma anche un gioco pericoloso che mette a rischio la democrazia stessa. Questo lo scopo della tavola rotonda svoltasi a Palazzo Marino.

Riferisco in estrema sintesi gli esemplari interventi di Carlo Sini, filosofo, e Valerio Onida, costituzionalista.

Carlo Sini, ha ricordato che il principio su cui si basa la democrazia è quello della sovranità popolare e che questa si può esercitare solo se c’è da un lato qualcuno che dispone del potere e dall’altro la partecipazione dei cittadini. La democrazia moderna si è intrecciata con la rivoluzione industriale, ha dovuto fare i conti con la produzione di massa, con il modello del cittadino consumatore, spinto a consumare sempre di più. Questa rivoluzione ha portato grandi benefici, il benessere economico, sociale, morale e quindi politico, ma ha anche risvolti negativi. In questa trasformazione si annida un grande pericolo, la degenerazione che consiste nell’applicare ai prodotti della cultura e alla politica la mentalità prodotta dalla rivoluzione industriale per cui tutto è merce. Questo è un punto fondamentale.

Altrettanto fondamentale è la considerazione che se l’autorità dello stato deriva dal popolo e il popolo la conferisce attraverso una scelta, occorre che chi vota sia informato, sia consapevole e disponga di una cultura sufficiente per sapere cosa fa. Negli ultimi decenni non sembra le democrazie si siano preoccupate di questo, a giudicare da quanto è stato fatto per la scuola.

In una società complessa che si vuole democratica è necessario poi che coloro che devono esprimere una scelta siano messi nelle condizioni di farla, sia per quanto attiene la capacità di giudizio, sia per quanto attiene l’informazione, che non può e non deve essere una merce privata e non deve essere un'informazione prezzolata. E bisogna dedicare soldi e risorse, a tal fine.

Occorre certo la partecipazione popolare, ma cosa si fa per far partecipare i cittadini, che hanno lavoro, bisogni, affetti di cui occuparsi come necessità primarie. La politica deve decentrare e stimolare, cosa che i partiti non fanno più. Occorre un investimento pubblico, democratico, civile, culturale, una nuova coscienza politica per animare la partecipazione dei cittadini.

Stiamo invece assistendo all’interno di tutti i partiti a contese tra personalità e correnti, che non producono alcuna proposta traducibile in programma politico. In queste condizioni i partiti non sono in grado di accogliere i problemi, le opinioni, le spinte che vengono dal basso per farne un programma. Il messaggio che si riceve è allora desolante, la conclusione è che non si può fare o modificare nulla, che tutto viene ridotto alla ricerca dell’affermazione personale.

Non può essere così, abbiamo bisogno di coraggio e di una svolta e si deve partire proprio dal livello locale, quello prossimo ai cittadini come i consigli comunali e i municipi. Per far ciò occorre impegnarsi in una battaglia culturale, una battaglia delle idee e tutta la cultura che si riconosce in questa visione deve combattere per sganciare la produzione e il lavoro dal puro profitto, è una battaglia a livello mondiale. Produzione e lavoro non possono avere come unico scopo il profitto, il lavoro è ben altro.

Occorre liberare i lavoratori dalla dipendenza culturale con un sistema che vede solo il profitto unico valore da perseguire. Se non ci impegniamo tutti in queste battaglie sarà difficile uscire dalla situazione di ristagno politico in cui ci troviamo.

Valerio Onida ha illustrato gli aspetti legislativi che riguardano le riforme introdotte dalla legge Del Rio, su cui ha espresso numerose riserve e che deve essere ripensata. Va riaffermato che gli enti a livello provinciale hanno dignità costituzionale, non sono semplici organismi di coordinamento dei comuni, sono enti intermedi tra comuni e regione. In particolare le città metropolitane non possono essere considerate enti di secondo grado in cui i rappresentanti vengono eletti, non dai, ma tra i consiglieri comunali dell’area metropolitana, che conservano la loro funzione primaria. I consiglieri di una città metropolitana dovrebbero essere eletti e quindi ricevere il mandato direttamente dai cittadini per rappresentare realmente gli interessi della comunità metropolitana. Autonomia locale significa riconoscere alle comunità locali uno spazio di autogoverno e i rappresentanti locali hanno il compito di rappresentare gli interessi di queste comunità locali.

Il tema rappresentanza e governo è di grande attualità. I consigli, dice la legge, sono organismi DI INDIRIZZO e DI CONTROLLO, ossia di orientamento delle scelte e di verifica che gli organi esecutivi dell’amministrazione realizzino le scelte adottate. Per svolgere la funzione di controllo occorre avere una concezione della democrazia un po’ diversa da quella che oggi sembra prevalere e che considera l’investitura la modalità con cui possono operare coloro che vengono chiamati a ricoprire le cariche esecutive.

Si dice, devono essere lasciati liberi di lavorare, mentre la democrazia consiliare appare come un inciampo e un ostacolo. In quest’ottica l’istituzione consiliare diventa un ambito di puro scontro politico, dove le forze in campo devono per forza esprimere posizioni contrapposte.

Una democrazia non può essere così. Sono necessarie le investiture, ma le diverse opinioni si devono confrontare, e il confronto non può essere solo scontro aprioristico.

I parlamenti sono nati per parlare, non per votare e basta. Una democrazia senza confronto non è una democrazia, è un’altra cosa. L’idea che la messa in discussione di posizioni diverse sia di per sé negativa o implichi un inciucio, un patteggiamento tra opposti è un’idea errata. E’ chiaro poi che si devono avere esecutivi espressione della maggioranza, ed è auspicabile che ci sia una maggioranza sufficientemente compatta e in grado di esprimere idee precise, ma è anche chiaro che non può nemmeno esistere soltanto la “democrazia della maggioranza”, si deve consentire di esprimere opinioni diverse e si devono ascoltare le altre voci.

Gli organismi rappresentativi sono i luoghi ove si portano in discussione le questioni che riguardano il territorio, e dove si possono fare “istruttorie” in relazione alle scelte da compiere, istruttorie che devono essere avviate PRIMA che le scelte siano state fatte.

Spesso oggi le decisioni non si prendono nelle assemblee consiliari e quindi sfuggono ad un effettivo meccanismo di controllo. Se i consigli non restano i luoghi in cui si fanno istruttorie, si confrontano, discutono, e prendono le decisioni le assemblee consiliari diventano solamente della casse di risonanza della politica e assistiamo alla crisi di rappresentanza di cui si è parlato, ha concluso Valerio Onida.

Confesso che mai come in questa occasione ho misurato la distanza, che separa me, in quanto cittadino, diciamo così, attivo, dalla propria rappresentanza politica.

Le analisi di Carlo Sini e le considerazioni di Valerio Onida espresse in linea del tutto generale, mi sembra trovino un immediato e drammatico riscontro se calate nelle vicende più importanti che riguardano oggi la vita politica milanese, e mi riferisco alla questioni del dopo Expo e degli Scali Ferroviari.

Non siamo dii fronte a scelte verticalizzate, che non vengono poste in discussione nei termini e con le modalità necessarie nelle sedi a ciò deputate? Quale partecipazione si può pretendere quando le scelte sono state fatte e vengono portate avanti secondo percorsi e modalità che prescindono da un reale confronto sull’indirizzo politico da cui le scelte dovrebbero derivare. Di quale partecipazione stiamo parlando se nel momento in cui andrebbero messe in pratica le linee di indirizzo politico, non se ne tiene conto e quando dalle parole si passa alla pratica procedure, definizione dei contenuti, selezione delle competenze e affidamento degli incarichi avvengono al di fuori delle possibilità di controllo degli organismi rappresentativi?

Le critiche e obiezioni sollevate da tante parti, dal mondo della cultura, delle professioni, della cittadinanza non vengono minimamente tenute in conto e si procede senza “istruttorie”, anticipando soluzioni che dovrebbero derivare invece dalle scelte operate dagli organismi di “indirizzo e di controllo”, che si troveranno poi a dover ratificare, magari dopo un vivace “scontro” tra maggioranza e opposizione, decisioni prese altrove, in nome del “mercato” e del “profitto”.

Che fare? Fare opposizione e non stare zitti, partecipare nonostante tutto agli incontri e alle assemblee pubblicheda cittadini attivi (coloro che possono permetterselo lo fanno anche per gli altri che hanno altre incombenze a cui non possono rinunciare) mentre il solco che ci separa dalla rappresentanza eletta aumenta sempre più.



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Re: La crisi della rappresentanza, la crisi della partecipazione, la fine della democrazia.
05/03/2017 Gianluca Bozzia
Mi pare lodevole l'iniziativa di Bertolè. A me sembra che anche le istituzioni (se non i partiti e i movimenti) debbano usare la RETE per dare le informazioni complete e precise in tempo utile perchè cittadini e rappresentanti eletti svolgano la funzione di indirizzo e poi controllo. Poi il potere e la responsabilità della decisione in sè lo detengono i governanti (sindaco e assessori), così come ai cittadini spetta studiare e partecipare in modo qualificato. Certo, la scuola è la base, ma anche un minimo di educazione civica fai da te fatta da adulti aiuta molto (tra uno sguardo alla Gazzetta, la visione dell'ultimo film di Ficarra e Picone e un inutile, noioso e disinformativo talk show di infotainment, da Vespa a Floris). Sulla Città Metropolitana, Pisapia canaglia doveva fare molto molto di più in attuazione della Del Rio e oggi saremmo un esempio per tutte le città metropolitane italiane,avremmo completato noi localmente nei fatti le mancanze della legge nazionale: invece abbiamo galleggiato come un De Magistris, un Fassino, un Marino qualsiasi e ora siamo nel caos denunciato da Onida e che non credo Sala sia in grado o voglia impegnarsi risolvere.


 
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