La multinazionale del tabacco Philip Morris perde la causa intentata contro lo stato dell’Uruguay

Riportiamo la notizia circolata in questi giorni della vittoria dell’Uruguay nella disputa internazionale promossa da Philip Morris. Reclamava un’indennizzo multimiliardario per la perdita di profitti derivanti dalla legislazione contro il fumo dello stato sudamericano.


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pm vs Uruguay

Philip Morris, la multinazionale del tabacco che fattura 80 miliardi di dollari nel mondo, nel 2010 aveva trascinato l’Uruguay (tre milioni di abitanti, PIL intorno ai 50 miliardi di dollari) davanti al Centro Internazionale per il Regolamento delle Controversie relative agliInvestimenti (International Centre for Settlement of Investment Disputes, ICSID, una commissione arbitrale della Banca mondiale con sede a Washington), per avere danneggiato, con la sua politica antifumo, gli interessi della multinazionale, in virtù di un accordo di liberalizzazione degli investimenti siglato nel lontano 1988 tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica dell’Uruguay. L’accordo prevedevala possibilità di ricorrere in giudizio da parte degli investitori qualora ritenessero che i loro interessi venissero danneggiati dallenormative più rigide che un paese avesse imposto, rispetto a quelle in vigore nell’altro paese contraente,ricorrendo ad un arbitrato internazionale.

Philip Morris, che ha sede inSvizzera e la sua società licenziataria in Uruguay, contestavano l’obbligo di indicare la pericolosità del tabacco coprendo una superficie almeno dell’80 % del pacchetto (mentre in Svizzera tale superficie è inferiore) e la possibilità di vendere un solo tipo di sigarette per ciascuna marca, chiedendo un indennizzo di qualche miliardo di dollari.

Il presidente dell’Uruguay Tabaré Vazquez, che per la cronaca è un oncologo e che nel 2009 aveva sottoscritto la legge antifumo, ha dichiarato che questa è una vittoria di tutte le nazioni contro la pretesa di anteporre il profitto ignorando i diritti fondamentali di ciascuno alla salute e alla vita.

Questa notizia merita attenzione non solo per l’importanza che riveste nella sfida lanciata dalle multinazionali del tabacco e fa seguito a cause simili già perse in Norvegia, Australia e Inghilterra, ma per i riflessi che può avere sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il negoziato in corso USA-UE di cui nei prossimi mesi si decideranno le sorti, che nella clausola sulle dispute internazionali tra gli investitori e gli stati ha uno dei punti più emblematici e controversi.

Il TTIP, sotto la proclamata intenzione di liberalizzare gli scambi commerciali e gli investimenti per favorire lo sviluppo economico dei paesi contraenti, è in effetti uno strumento che serve a proteggere più gli interessi delle multinazionali e del capitale che non quelli dei cittadini, tanto che Cecilia Malmstrom, commissario europeo per il commercio, a chi la interrogava su come potesse continuare a sostenere il TTIP di fronte ad una sempre più ampia opposizione popolare candidamente ha risposto: “il mio mandato non mi è stato conferito dal popolo europeo”.

Sotto questo riguardo non c’è quindi da stupirsi se qualcuno vuole uscire dall’Europa, mentre risulta quanto mai evidente, se ce ne fosse bisogno, che la classe politica europea (ma tutto sommato anche quella nazionale) nel suo complesso interpreta il mandato di rappresentanza come un incarico burocratico da svolgere assecondando i prevalenti interessi del“mercato”.

Attendiamo di vedere se l’opposizione popolare, dopo aver sollevato il velo di mistero che copriva il negoziato e poi portato a conoscenza del pubblico il fatto che tra USA e Europa si stava trattando un accordo di portata assolutamente rilevante per la democrazia, la qualità della vita, la salute dei cittadini, sarà riuscita a evitare l’esito, inizialmente dato per scontato, di una rapida conclusione al di fuori delle sedi parlamentari dei paesi coinvolti.


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