Autore: Iole Natoli
Data:
Sempre interessante poter disporre di un parere qualificato e ancor più poter ricevere chiarimenti.
Ho esposto il mio pensiero in due miei articoli (qui il primo http://femminismi-confronto-work.blogspot.it/2013/12/societa-e-diritto-la-sentenza-n-45179.html,
in calce invece il link del secondo), rilevando anch’io con quanta imprecisione sia stata riportata la notizia sulla stampa e offerta dunque all’opinione pubblica, che ovviamente non ha alle spalle o nel proprio DNA un’appropriata formazione giuridica.
A dire il vero non ce l’ho neanch’io. Ciononostante ho cercato di leggere la sentenza con tutta l’obiettività di cui mi è stato possibile avvalermi e le obiezioni cui sono pervenuta le espongo.
Sarei lieta che, in caso fossero infondate, il legale me ne spiegasse il perché.
“Vediamo adesso con quali argomenti la Cassazione ha spiegato la sua decisione, in merito a questa parte del ricorso.
«La corte d'appello in sostanza» motiva la Corte «ha omesso di prendere in esame le considerazioni della difesa, e si è limitata a negare l'attenuante per ragioni che però non sono conformi alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “la circostanza attenuante fondata sulla minore gravità del caso è riferibile tanto alle condotte di violenza sessuale (art. 609-bis, comma 3, cod. pen.), eventualmente aggravate per l'età inferiore ai dieci anni della vittima (art. 609-ter, comma 2, cod. pen.), quanto all'ipotesi di atti sessuali con minorenne di analoga età (art. 609 quater, comma 4, in relazione all'art. 609-ter, comma 2, cod. pen.)». Detto diversamente, la Cassazione ha rilevato che le attenuanti fondate sulla minore gravità del caso (previste senza eccezione alcuna dalla legge) sono state costantemente applicate dalla Corte alle condotte di violenza sessuale, pure in presenza dell’aggravante determinata dall’avere la vittima un’età inferiore ai dieci anni. Di conseguenza ogni altra aggravante considerata (anche quella relativa all'abuso di autorità) non inficia la necessità di valutare la possibile esistenza di attenuanti.
Poiché è ben noto come la giurisprudenza si fondi e sulle norme (che prevedono l'applicabilità della riduzione di pena) e sulle interpretazioni di queste effettuate mediante sentenze e decisioni, tale constatazione appare ben solida a condizione che possa dirsi altrettanto della minore gravità del caso.
«Ne consegue», leggiamo ancora nella sentenza «che la ricorrenza dell'attenuante non può essere negata per il solo fatto della tenera età della persona offesa, dovendosi piuttosto individuare dal giudice elementi di disvalore aggiuntivo, sulla base dei criteri delineati all'art. 133 cod. pen., rispetto all'elemento tipico dell'età inferiore ai dieci anni” (Sez. III, 9.7.2002, n. 37656, Capaccioli, m. 223672).
Strano ragionamento. Finché si dice che l’attenuante non può essere negata solo sulla base dell’età, siamo ancora sul filo della logica. Ci sembra che ne sia invece seriamente al di fuori l’affermazione in base alla quale il non accoglimento dell’attenuante debba dipendere NON dal contenuto ovvero dalla motivazione dell’attenuante richiesta, bensì dall’assenza di un disvalore aggiuntivo. Come dire che sì, tu sei colpevole col disvalore di 8, ma poiché non scatta un disvalore aggiuntivo che possa portare a 9 la tua colpa (quale ad es. l’età inferiore a 10 anni), allora il tuo punteggio scende a 7. Un vero e proprio salto di caselle in un qualche gioco da tavolo infernale.
Andiamo adesso alla motivazione che, IN SÉ CONSIDERATA, determinerebbe la minor gravità.
Scrive il giudice di Cassazione: «La sentenza impugnata, invero, ha motivato questa statuizione in considerazione del fatto che l'atto sessuale consumato dall'imputato costituiva la forma più invasiva e, pertanto, più grave di lesione dell'altrui integrità psicofisica; mentre non rilevava che l'imputato non avesse adottato forme di violenza o coartazione verso la vittima. Erano poi irrilevanti il consenso della vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati nell'ambito di una relazione amorosa». Ergo, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello avrebbe errato.
C’è da chiedersi se esiste un qualche parametro oggettivo cui ancorare il significato delle parole o se tutto è opinabile al punto che si può nominare qualcosa per affermare il suo esatto contrario.
Dal codice penale: Art. 609-bis. Violenza sessuale.
«Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.( Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:(1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;(2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.(Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi».
Punto primo: cosa ha sostanzialmente affermato il giudice della Corte d’Appello definendo l’atto compiuto dall’imputato come «la forma più invasiva e conseguentemente più grave di lesione dell'altrui integrità psicofisica», senza richiedere perizie di un qualche tipo che accertassero il grado di gravità? Molto semplicemente che non si era trattato di un petting, ovvero di quell’insieme di pratiche ed effusioni di natura sessuale che non includono un rapporto sessuale completo, ma di congiungimento carnale vero e proprio, innegabile, non contestato, non da misurare e quantificare mediante perizie, perché facente parte del fatto accertato.
Punto secondo: cosa si intende per abuso di autorità? È seriamente possibile supporre che una bambina di 11 anni non consideri legittimamente dotato di autorità - ovvero persona a cui ubbidire - un adulto di circa 60, investito del compito di aiutarla, e che pertanto la trasformazione della relazione iniziale di aiuto in relazione sessuale, dall’adulto indotta e ottenuta, non configuri nettamente l’abuso?
Punto terzo: cosa si intende per inferiorità fisica o psichica? È da considerare inferiore quanto a possibile maturazione psichica una bambina di 11 anni rispetto a un adulto di 60, o per caso appare appare lecito supporre che un adulto di 60 abbia una pari maturazione psichica di una bambina undicenne, cosa che escluderebbe l’inferiorità della bambina?
Se l’abuso di autorità è riscontrabile - e lo è - e se l’inferiorità psichica della vittima al momento del fatto sussiste - e sussisteva - allora affermare che «l'imputato non avesse adottato forme di violenza o coartazione verso la vittima» (sic!) è un puro e semplice esercizio di delegittimazione del linguaggio, cui è totalmente impossibile attribuire il valore di verità.
Più corretto sarebbe stato sostenere che l'atto sessuale era stato ottenuto e consumato dall’imputato senza il ricorso ad altre forme di violenza o costrizione fisica esulanti l’abuso di quel rapporto di fiducia, mista a obbedienza e affetto, che connotava il sentimento della bambina verso di lui. Posta nelle sue giusta collocazione la cosa, non sarebbe sorta né sorgerebbe difficoltà alcuna nel riconoscere l’assenza di un disvalore aggiuntivo, fermo restando che detta assenza non può però tramutarsi in premiazione, determinando come detto prima la discesa del disvalore a un livello più basso di quello attribuito dal giudice di merito al reato. Per l’assenza di un’efferatezza ulteriore, quel disvalore non aumenta e nemmeno diminuisce: rimane dov’è. Ne consegue che la motivazione posta alla base della richiesta di attenuazione andava non accolta - e conseguentemente esaltata - ma rigettata dal Tribunale di legittimità.
Addirittura aberrante appare poi il ricorso a una formula come “relazione amorosa”, che presuppone la libertà di autodeterminazione di entrambe le parti e non di una soltanto, per connotare quel rapporto di abuso psichico, che si è tradotto in abuso anche fisico, instauratosi tra il sessantenne e la piccola.
Quand’anche in relazione al proprio bisogno d'affetto e/o alla particolare età prepuberale o già puberale in cui si trovava all'epoca, la bambina avesse realmente sviluppato un qualsiasi sentimento di “amore” implicante un desiderio sessuale, questo avrebbe dovuto indurre l’adulto a porre in atto un piano specifico di aiuto e non uno di utilizzazione, a scopo di libidine personale, della piccola affidata alle sue cure. Se anche la bambina, per una serie di problemi suoi, avesse "amato" non ci sarebbe stata "relazione amorosa" libera e simmetrica - dunque degna di tale nome - ma una relazione assolutamente sbilanciata, nella quale la bambina sarebbe stata in ogni caso una vittima della libera volontà altrui e l'uomo, che ha peraltro dimostrato di posporre ogni presenza da lei richiesta alle proprie comodità familiari, un semplice approfittatore senza scrupoli”.
(2º articolo: http://femminismi-confronto-work.blogspot.it/2013/12/la-sentenza-della-iii-sez-di-cassazione.html)
Grazie,
Iole Natoli
giornalista pubblicista e blogger
|
|