Brainstorming. Che cos’è e a che cosa serve

Una nuova scheda del "manuale" sulle tecniche di partecipazione a cura di Sergio De La Pierre
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Letteralmente “tempesta di cervelli”, è un metodo di lavoro di gruppo consistente nel far emergere idee creative e innovative, perché tutti i partecipanti alla riunione "si lascino andare alla fantasia, alle libere associazioni, alle idee anche le più pazze ed eccentriche che possano venire in mente” con lo scopo di affrontare un dato problema.

A che cosa serve
Può essere usato un po’ in tutti i campi e fasi di lavoro di un gruppo, e in tutte le fasi di un percorso partecipativo. Possiamo dividerlo in due categorie:
a) un brainstorming di tipo conoscitivo/analitico (rispondendo alla domanda ad es.: Per quale motivo è successa questa cosa?);
b) di tipo “progettuale” (Come si risolve questo problema? Che idee vi vengono in mente per portare avanti questa attività?).
Quest’ultimo è chiaramente il caso che interessa più da vicino l’impianto generale delle presenti note. Come accenneremo più sotto, il brainstorming fa anche parte dei metodi per la soluzione dei conflitti.
Ecco come funziona: fasi e regole.

1° fase. La libera emersione delle idee/proposte

- il facilitatore definisce con chiarezza e nel modo più semplice possibile il tema del brainstorming;
- su una lavagna si scrivono (o si attaccano post-it con) le idee dei partecipanti, che devono essere scritte nel modo più chiaro, breve e leggibile;
- regole fondamentali: fare appello alla propria fantasia e immaginazione creativa. Di conseguenza, è vietato criticare o discutere le proposte di altri, piuttosto si possono aggiungere proprie proposte, opposte o diverse o come varianti di quelle espresse da un altro. Seconda regola: tutti seduti affiancati col cartello davanti (non ci sono nemici da “fronteggiare”, ma tutti “fianco a fianco” devono affrontare uno stesso problema).

2° fase. L'elaborazione collettiva delle idee
- Il facilitatore con l’aiuto del gruppo “dà un ordine” alle idee suggerendo un primo schema interpretativo, da rivedere o “rimescolare” anche con i suggerimenti del gruppo;
- Si inizia quindi a discutere i pro e i contro delle varie proposte. Qui è ammessa, con moderazione, la critica delle proposte di altri. È la fase più difficile. Si tratta di far emergere la o le proposte/soluzioni condivise dal gruppo. Per far ciò è necessario lavorare anche su criteri molto pratici: quali sono le idee immediatamente realizzabili e quelle da rinviare, in base a quali criteri e risorse disponibili (umane, materiali, economiche) si sceglie questa o quella soluzione (se passa la tale idea, chi fa che cosa?); quale risponde di più allo “spirito” del gruppo e alla voglia di fare e sperimentare in questo momento.

I vantaggi del metodo
- funziona come un gioco. Nessuno si sente impegnato a “difendere fino alla morte” una data proposta;
- tutte le idee hanno pari dignità, proprio perché vengono visualizzate senza eccezioni su un cartello;
- è uno dei metodi per la soluzione creativa dei conflitti. Infatti tra due o più “posizioni” contrapposte (o magari “ruggini” di vecchia data tra partecipanti), lo scatenamento giocoso della fantasia può far apparire soluzioni nuove e inattese, che vanno oltre le idee predeterminate. È lo stesso principio della soluzione dei conflitti – di cui abbiamo già parlato in altri articoli – che va sotto il nome di “allargamento della torta” (non si litiga più sulle fette di torta se si scopre che la torta può essere ingrandita);
- tutte le conclusioni sono ricavate da un confronto aperto dentro il gruppo. Ognuno deve avere apertura alle proposte degli altri.

Uno svantaggio
Il brainstorming. favorisce soluzioni intuitive e “giocose”, ma non l’approfondimento di un problema specifico. Quindi, se necessario, può essere affiancato o integrato col metodo del focus group (ne parleremo nel prossimo articolo).

Il ruolo del facilitatore
- definire con chiarezza e semplicità il tema del brainstorming;
- curare la tempistica: tempi e passaggio dalla prima alla seconda fase, sollecitare se necessario nuove proposte, vegliare sui turni di parola in modo che questa sia garantita a tutti specie nella seconda fase, curare insieme al gruppo l’”ordinamento” del materiale emerso nella prima fase, infine richiamare il gruppo a una riflessione sulla coerenza tra la/le soluzioni emerse e il problema iniziale da affrontare, ma
- il facilitatore non deve esprimere proposte o opinioni proprie.


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